Teseo e il minotauro:mosaico romano al museo del Bardo di Tunisi |
Per districare il groviglio |
Il teatro africano.
Cerchiamo di affrontare la ricerca sul teatro africano,prima di
tutto con una prospettiva storica per cercare di scoprire non solo i nodi della
sua identità attuale,ma anche le ragioni che essi sottendono
e le tappe che hanno segnato il percorso che ha permesso di
tratteggiarne il profilo.
A rappresentare questo complesso intreccio di elementi abbiamo
scelto un drammaturgo ,Sony Labou Tansi,che ci è subito apparso significativo
per un insieme ricco e originale di motivi.
E’ noto come in Africa il teatro sia stato lo strumento
privilegiato dagli intellettuali per provare a regolare i conti con il
colonizzatore,che già se ne era servito per cercare di tenere sotto controllo
la loro resistenza.
E’ quindi ancora mediante il teatro che con la decolonizzazione –
quando siamo negli anni ’60 – i drammaturghi provano a infondere speranza nel
popolo perché creda nella possibilità di diventare
attore del proprio destino. Basta ricordare quanto impegno Aimé
Césaire dedicò al teatro
africano,convinto di quanto esso fosse più utile della sua poesia
a sostenere la causa della
négritudine.
Nel decennio successivo si manifesta la necessità di denuncia di
nuovi problemi che logorano
il tessuto socio-politico del continente. Il potere della borghesia
nera ha rivelato il suo volto
autoritario e corrotto. la satira entra allora da aspra
protagonista nelle rappresentazioni che devono
peraltro rinunciare ad ogni forma di realismo per poter mantenere
la propria forma di denuncia. E’ infatti indispensabile distogliere
l’attenzione del censore,che è sempre in agguato,col ricorso al registro
fantastico. Mettere in discussione l’arte teatrale occidentale porta a ridiscutere
inoltre del tutto naturalmente anche gli strumenti linguistici
perché favoriscano il coinvolgimento dello spettatore e che siano funzionali
all’allargamento del pubblico In primis è certamente l’uso del
francese a far discutere. si è consapevoli di come esso favorisca
la comunicazione con l’universo
della francofonia,ma non si ignora neppure come sia insita in
quella lingua la sopravvivenza di una connotazione che la storia ha reso
piuttosto ambigua. Che la forte diffidenza nei confronti di una lingua
introdotta e imposta dal colonizzatore sia un problema che sopravvive,lo
testimonia,ad esempio,l’affermazione del drammaturgo congolese Tchicaya U
Tam,che,però,lo affronta costruttivamente:”La
lingua francese mi colonizza,io la colonizzo a mia volta.”Altri
preferiscono
far coesistere con funzioni di definizione di identità sociale la
lingua francese,parlata dunque dai personaggi che rappresentano il potere in
opposizione con il français de moussa (il
gergo parlato
nei vicoli delle città della Côte d’Ivoire,ad esempio) con cui si esprimono i personaggi popolari.
Altri autori,invece,preferiscono intervenire riforgiando quella
lingua.
E’ quello che comincia Sony Labou Tansi negli anni’70.Egli infatti
adotta un atteggiamento più libero dei suoi predecessori nei suoi
confronti,giocando con le strutture grammaticali e con il lessico. La sua
lingua deriva dall’evoluzione del rapporto con la lingua francese e dalla
concezione
del suo controllo. Al di là della sua creatività linguistica,del
suo personalissimo universo,il suo teatro rappresenta una svolta nella
drammaturgia dell’Africa nera francofona nella misura in cui
i suoi personaggi si caricano di una parola individuale e non sono
più i rappresentanti di una comunità.
Intanto ,però,decostruendo e destrutturando – siamo in piena età
strutturalistica – la lingua,fino a mescolare quella della classe dirigente con
quella parlata dal popolo nei vicoli delle città,i drammaturghi africani
permettono una più forte adesione del pubblico alla comprensione dello
spettacolo.
La contaminazione più interessante,più creativa,più originale
della lingua è dunque il lavoro compiuto in Congo da Sony Labou Tansi con il
suo teatro terapeutico,che gioca con risultati di grande suggestione con il
lessico come con le strutture grammaticali.
E la funzione di questa drammaturgia che chiama anche “teatro della
guarigione”,una sorta di psicodramma curativo consiste nel dare un ruolo a un
malato – il più spesso a un malato mentale – in una storia che doveva coinvolgere l’intero villaggio durante i
pleniluni fino al momento in cui il malato.
L’opera che abbiamo scelto è inoltre tra le sue più particolari
perché – scritta con un carattere di sperimentalismo molto radicale per
l’editore belga Lansman nel 1992 dal titolo Une
vie en arbre[1]
et chars…bons,con evidente gusto di citazione evocativa e di gioco con le
sonorità omofone – approda per lo stesso editore nel 1998 ad una riscrittura,dove l’autore confessa – in
una lettera allo stesso – di aver sentito
il forte impulso a una comunicazione allargata,riconoscendo”qu’on ne pouvait pas le presente à qui que
ce soit tel qu’il était…[2]”che lo porta a
scegliere perfino un nuovo titolo Monologue
d’or et noces d’argent pour douze personnages[3], prima e poi
,semplicemente,il definitivo Monologue
d’or et noces d’argent.In questa stessa lettera egli afferma di valutare il notevole
progresso della propria scrittura drammaturgica non solo rispetto alla pièce del 1992,ma anche a Une
chouette petite vie bien osée[4],sempre per
Lansman,del 1992.
Il lavoro acharné[5] sulla
lingua,dunque,è elemento fondamentale che appare in tutta la sua splendente
evidenza.e’ lui stesso ad affermare che nella sua pièce celebra la più tropicale,lussureggiante,“noce du verbe”[6].
Ma per dire cosa? ancora una volta è lui stesso a
rivelarcelo:”En terme d’Afrique la
macdonaldisation du monde.Je retourne à ma vieille effronterie de vouloir
engrosser non point
une histoire,mais
un dire assez dur pour défoncer tous les sommeils de ce monde.[7]” La trama resiste
quindi semplicemente come pretesto
per la denuncia,appena camuffata dal velo mitico,dal tono fiabesco.
Ai piedi del gran mambarino,Charlotte
e Colette piangono il rimpianto Georges,venuto
a sprecare otto anni in quel buco con l’ingannevole impegno di studiare
l’albero più vecchio della terra.Intanto l’uomo-mostro e
l’uomo-orologio,seguiti da una triste colonna di amaricnsfascisti,si avvicinano
al villaggio Carmanio- svuotato nel passato dei suoi abitanti in un sol giorno-
per chieder conto a quell’albero,che ha bevuto tanti annida esserne caduto
ebbro di vita,come gli uomini sono ebbri d’alcool,di denaro,di potere,di
suicidio,di fantasmi o d’insanità.
Ascoltiamo le intenzioni di messa in scena dell’autore per meglio
apprezzare il senso del tentativo in atto:
“Le pari est
énorme de vouloir mettre une forêt dans une
salle.mais les moyens de langages sont énormes[…]Il s’agit avec des mots,des
musiciens,des instruments,des formes – l’arbre[…]a vu
les dinosaures,il
faut en faire une magnifique marionette
géante dans un champ d’instruments de musique-,dans un village de donner la
parole à un univers mourant. une mort-mutation qui déménage les habitudes,les
coutumes,les acquis et les certitudes,pour donner plus d’espace à
l’interrogation,à la spontanéité,au brut vital.”[8]
Identità innovatrici emergono alla modernità e il pensiero
dominante diffuso dai centri del potere si lacera.le letterature
post-coloniali,che hanno forgiato in questa lotta per la libertà il loro
linguaggio,manifestanola loro attitudine alla destabilizzazione del sistema
stabilito. Consapevoli che gli elementi drammaturgici della tradizione africana
e quelli del teatro all’occidentale si
fiancheggiano sulla scena senza penetrarsi,alcuni autori cercano
gli strumenti drammaturgici per rendere possibile quest’incontro.
Riflettendo sulle forme spettacolari della loro cultura
comunitaria gli artisti africani hanno messo in discussione i fondamenti della
forma teatrale occidentale ,che,peraltro,già le avanguardie europee avevano
fatto vacillare.
Le forme di spettacolo africane hanno tradizionalmente una natura multidisciplinare,ed ecco che
gli artisti cercano ora di integrare la musica,la danza,il canto nelle loro drammaturgie,rimettendo
in discussione il primato del testo nello spettacolo teatrale.
ecco allora un altro elemento caratterizzante del percorso che gli
autori di teatro in africa hanno intrapreso e che ritroviamo in Sony Labou
Tansi:la multidisciplinarità ovvero la mescolanza e la contaminazione dei
generi.
Si torna inoltre alla cultura ancestrale,si rivolge una nuova
attenzione alla tradizione animista.
In Africa la Parola è legata al gesto,al ritmo,implica
in modo stringente il corpo .E il
teatro,a partire soprattutto dagli anni ’80 ,manifesta la volontà esplicita di
restituirgli un ruolo centrale,in forme che discendono da una cultura dove
realtà e immaginario non si oppongono,anzi,compenetrandosi,si completano.
Come permeabile è anche la separazione tra sacro e profano,fra le
lingue e il sistema religioso:la costola
metafisica affiora costantemente nelle manifestazioni culturali. Il rituale,ad esempio,tra
le forme spettacolari endogene comprende una serie di attività che
includono narrazione,musica e movimenti,con sequenze spesso animate da maschere.”Il portatore presta la realtà alla
maschera,che ne prende possesso durante i riti e la danza A quel punto è lo
spirito rappresentato dalla maschera,che danza,che parla,non è più né l’uomo,
che la porta né l’oggetto scolpito”,come ci spiega Ousmane Diakhaté.
In modo più generale ,questo ritorno alle sorgenti del sacro si
manifesta con un lavoro drammaturgico che passa anche attraverso
l’utilizzazione della letteratura orale sacra,esoterica e profonda,costituita dalla preghiera e ancor più dal mito,quest’ultimo ponendosi in
relazione diretta con le forze che governano l’architettura del mondo,il senso
dell’universo,nei limiti in cui il mito è un punto d’incontro tra la durata storica
e l’extratemporalità,un luogo dove la dimensione simbolica ha la meglio.
E’ ancora Sony labou Tansi che ci racconta della sua pièce:”je
parled’une magnifique femme,qui a nom “la Terre”.Et pouquoi une femme? Parceque,même si tous les hommes l’ont oublié, la femme
La letteratura profana,che contemporaneamente viene utilizzata,con
la sua costante funzione ludica ed educativa,è fondamentalmente costituita da
proverbi,racconti,leggende,favole,canti popolari,poemi epici,liriche d’amore. Il racconto,dal profilo quasi sempre
mitico,è il nutrimento più adottato per il teatro,dove gli esseri,i fenomeni,le
cose della civiltà africana vivono tutti una doppia vita:una
concreta,percepibile dai nostri sensi come dal buon senso,dalla ragione,e una
che trascende la prima,animata –nel senso pieno dei dare un’anima e di
costituirla- così che il personaggio appare la manifestazione della seconda
vita degli esseri e delle cose,come animali e vegetali,dai tratti fortemente
umanizzati.
Queste forme spettacolari tradizionali servono in modo particolare
nel teatro di Sony Labou Tansi,oltre all’incredibile forza della sua parola,per
la riappropriazione delle funzioni sociali e “terapeutiche” che sono proprie
del teatro,in particolare del suo teatro.
Il Teatro-Rituale d’oggi cerca di favorire con la sua partitura
l’accesso a un livello di coscienza superiore,dove si possa recuperare in se
stessi la maniera di liquidare le forze negative e risolvere i propri problemi.
Nella giungla della società
moderna,insomma,l’eroe appare come un giustiziere incaricato di difendere la
società civile,ordinaria,la nostra,contro le forze che tentano di distruggerla.
I predatori sono tutti i dittatori del mondo,tutti gli squali degli affari,i
mostri,con il loro esercito di
tori-tangheri,che non si contentano soltanto di arricchirsi,ma diventano
banditi.
Siamo,insomma,di fronte a un teatro
utile che promuove a modo suo il miglioramento sociale. Assistiamo alla
riappropriazione di funzioni sociali con l’utilizzazione di elementi culturali
ancestrali. Una drammaturgia dove si osa confondere i riferimenti e decostruire
i referenti,ricca di esuberanza e di fantasia,con una capacità di inventare che
ha aperto la via.
Cerchiamo allora di fissare i punti emersi lungo questo percorso
d’analisi..
Primo nodo: la contaminazione più
interessante,più creativa,più originale della lingua è dunque il lavoro
compiuto in congo da sony labou Tansi,che gioca con risultati di grande
suggestione con il sessico come con le strutture grammaticali.Il lavoro acharné[9]
sulla lingua ,dunque è elemento fondamentale.
Secondo nodo:Ma per dire cosa?Una
trama che resiste quindi semplicemente come pretesto per la denuncia,appena camuffata dal velo mitico,dal
tono fiabesco.
Terzo nodo:natura
multidisciplinare,ricerca per integrare la musica,la danza,il
canto nelle loro drammaturgie,rimettendo in
discussione il primato del testo nello spettacolo teatrale. La mescolanza e
la contaminazione dei generi porta una nuova attenzione alla tradizione
animista,dove la Parola è legata al gesto,al
ritmo,implica necessariamente il corpo,in forme che discendono da una
cultura dove realtà e immaginario non si oppongono,anzi,compenetrandosi,si completano.. Il rituale,tra
le forme spettacolari endogene,comprende una serie di attività che includono
narrazione,musica e movimenti,con sequenze spesso animate da maschere.E’lo spirito rappresentato ad agire servendosi del portatore e
dell’oggetto scolpito.[10]
In modo più generale si può affermare che questo ritorno alle
fonti del sacro si manifesta con un lavoro drammaturgico che passa anche
attraverso l’utilizzazione del mito,che
si pone in relazione con le forze che governano l’architettura del mondo,il senso dell’universo,nei limiti in
cui è un punto di incontro tra la durata storica e l’extratemporalità,un luogo
dove la dimensione simbolica
ha la meglio. Ecco allora
la costola metafisica affiorare
costantemente nelle manifestazioni culturali
Tutto questo lo lasciamo ,però,affermare ,a
conclusione,direttamente al nostro drammaturgo con
due domande che egli stesso
si pone per attirare l’attenzione sulla funzione dei contenuti e del genere
della struttura drammaturgica:
“Voici une histoire qui ,au
lieu de faire rire les bouches et les mains,décide subitement de faire rire les
coeurs et les cervelles[…]Comment mettre en scène tout un village mangé par un
arbre?Et à une époque où les gens ont une trouille bleue du rire qui secoue
toute chair à lui faire lâcher les repères coutumiers
de l’être légalisé[11]?
-A cui segue un’affermazione messianica per indicare l’obiettivo
dell’azione dei personaggi:
“Ils ont rêve et mission d’inaugurer une terre potable au sens
que l’eau potable a des vertus d’incoloration,dinodoration et d’absence de
saveur:comme notre civilisation perd de saveur.”[12]
Ecco
,infine, offrirci l’anello che mette in
connessione il Continente Nero con l’Umanità
dell’intero
pianeta e permetterci di leggere una conclusione che si riferisce a se stesso e
al suo strenuo impegno per contribuire alla
costruzione di un futuro universale degno del nome:
“Je déferle comme la forêt
vierge dans tous les domaines privés du langage parce qu’il serait tragique que
la liberté vieillisse nous avons besoin que
l’avenir dure longtemps.[13]”
“Je déferle comme la forêt
vierge dans tous les domaines privès du langage parce qu’il serait tragique
que la liberté vieillisse nous avons tous
besoin que l’avenir dure longtemps.- -[14]
*°*°*
[1]
Colette:”Le bleu en herbe”,1954.
[2] Non lo
si poteva presentare a chiunque,così com’era …
[3] Monologo
d’oro e nozze d’argento per dodici personaggi.
[4] Una
bella vitarella molto osata.
[5] Accanito
[6] Nozze
del verbo
[7] In
termini africani la macdonaldizzazione del mondo,ritorno alla mia vecchia
sfrontatezza di voler ingravidare tanto una storia ,ma un linguaggio
sufficientemente duro da sfondare tutti i sonni di questo mondo”
[8] “La
scommessa è enorme nel voler mettere una foresta in una sala,ma le potenzialità
dei linguaggi sono enormi[…]
Si tratta di lavorare con
parole,musicisti,strumenti,forme-l’albero […]ha conosciuto dinosauri,occorre
farne una magnifica marionetta gigante in
un campo di strumenti musicali- in un villaggio dare la parola a un universo
che sta morendo. Un morte-mutazione che fa traslocare le abitudini,i costumi,le
acquisizioni e le certezze,per far più posto al dubbio,alla spontaneità,al
vitale grezzo.”
[9]Accanito.
[10] come ci
spiega Ousmane Diakhaté
[11] “ecco
una storia che invece di far ridere le bocche e le mani decide all’improvviso
di far ridere i cuori e i cervelli[…]-Come mettere in scena un intero villaggio
mangiato da un albero?E per giunta in
un’epoca in cui la gente ha una paura matta del riso che scuote le carni al
punto di fare abbandonare i riferimenti abituali dell’essere legalizzato?”
12Hanno il sogno e la missione d’inaugurare una terra
potabile nel senso che l’acqua potabile ha proprietà incolore,inodore e
insapore. Come la nostra civiltà perde il sapore.
[13] “Io
tracimo, come la foresta vergine in tutti gli aspetti privati del linguaggio,perché
sarebbe tragico che la libertà invecchiasse:abbiamo bisogno che l’avvenire duri
a lungo.-”
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