Da "La regina degli zingari a Venezia" di Michela Gambillara.
La Signora mi chiede della
nostra vita, dei nostri piatti tipici, delle cose che mi piacciono di piu’.Come
la musica, così la nostra cucina racconta la nostra vita di continua
peregrinazione. La cucina zingara è, infatti, una cucina
"contaminata" dalle culture alimentari dei paesi attraversati. E le
racconto il "dolma", con i peperoni ripieni di riso, carne tritata e
pomodoro, oppure i "sarma", gli involtini di cavolo con lo stesso
ripieno. O la “djota”, una buonissima zuppa di patate, carne, crauti e fagioli
che mangiavamo in inverno, nelle lunghe sere nei Balcani, davanti al fuoco
tutti insieme.
Una volta quando ho tempo
potrei preparare per la Signora anche il nostro pane caratteristico, chiamato
"pitta", che ricorda l’azzimo degli ebrei, una sfoglia di acqua e
farina non lievitata dalla forma rotonda, al centro una sacca da riempire con
il cibo. E la Signora mi dice: proprio
simile al nostro, perché la sua famiglia e’ di origine ebraica, antichi
mercanti arrivati dalla Germania ai tempi della Serenissima, per quello si
chiama Sara anche lei, che vuol dire “principessa” e per quello è bionda e con
gli occhi così chiari.
La nostra carne, utilizzata
in zuppe e soffritti, viene prima sempre bollita, anche il montone come questo che a Venezia chiamano la
castradina, prima di essere messo sotto sale. E poi ceniamo all'orientale, con il cibo
disposto contemporaneamente sulla tavola
e ciascuno prende la propria porzione. E mi vengono in mente tante sere,
nelle quali mangiavamo tutti insieme, eravamo tanti, c’erano musica e allegria.
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