Il
teatro francofono contemporaneo in America
Il teatro del Québec.
Per districare il groviglio. |
La storia del teatro francofono del Québec ha origini relativamente recenti e si fonda su una
paradossale
contraddizione.
L’opposizione
della Chiesa Cattolica alle rappresentazioni pubbliche teatrali è sempre stata
uno dei primi
ostacoli alla sua espansione nel Canada francese,ma,incredibilmente, è anche
il clero che,con
il suo incoraggiamento dell’arte drammatica come strumento pedagogico,
ha inculcato
la conoscenza e l’apprezzamento dei differenti generi teatrali,condizione
preliminare/viatico
al successo delle rappresentazioni pubbliche. Si può dunque in gran
parte
attribuire al clero addirittura la nascita del teatro contemporaneo in Québec.
Considerazione
che giustifica la scelta di far partire la ricerca più dettagliata direttamente
dagli anni ’60
del ‘900.
La Rivoluzione Tranquilla degli anni ’60,infatti,aveva infuso alle arti drammatiche un
vigore senza precedenti e un nuova professionalità fiduciosa. Dal 1959
al 1968,il numero
di nuove
compagnie si era triplicato, soltanto a voler considerare Montréal. Negli anni
’60
si era
sviluppato un fenomeno che oggi
chiamiamo “teatro alternativo”,che si opponeva
a ciò che un buon numero di persone percepiva
invece come una “istituzione”teatrale in
crescita e
minacciosa per la sua originalità e
’improvvisazione. Le dinamiche comunità
teatrali del Québec si aprono allora a considerazioni più universali.
Quello che
colpisce nell’analisi del teatro in Québec è il fatto che la storia di quel
paese si
racconta soprattutto in opere il cui soggetto non è la Storia. E’ infatti
piuttosto la famiglia
che diventa il cardine di quelle rappresentazioni. Un’osservazione
apparentemente
banale ,ma che la dice lunga sul
“nuovo”teatro del Canada francofono.
Lungi però dal praticare forme intimiste,dal realizzare un ritratto di vita privata –basti
pensare a Michel Tremblay,a Garneau,ai fratelli
Ducharme,a Germain,i drammaturghi
più noti del periodo – il teatro degli anni
’70 è prima di tutto lo strumento collettivo di
una presa di coscienza nazionale. Nei limiti in cui tale collettività
è definita dalla
nozione di
famiglia,questo nuovo genere di spettacolo
costituisce un cambiamento
radicale nella
evoluzione delle forme dell’arte teatrale in Québec.Eroismi libertari
sono proposti al pubblico attraverso le situazioni
più semplici e quotidiane perché si
identifichi
e scopra la necessità di liberarsi sia dalle costrizioni del passato che
dalle
imposizioni di una certa struttura sociale del
presente.
Senza
rifiutare la più tradizionale rappresentazione storica del passato l’opera
storica
degli anni ’70 propone una storia di famiglia:quasi a dire che la cucina è diventata in
quegli anni
campo di battaglia,campo in cui si affrontano diverse forze in lotta nella
società del Québec. I Canadesi francesi sono un popolo
fondamentalmente infelice,
sosteneva Tremblay
.E tale infelicità derivava soprattutto dal passato,da una concezione
cattolica e conservatrice delle relazioni
uomo-donna. Da cui emergeva la necessità di
reinventare la famiglia,di farla finita con le strutture del passato. E’ la società stessa
in tutto quel
che ha ereditato dal passato che è in gioco. La famiglia,cardine dell’ideologia
cattolica del
XIX secolo e della prima metà del XX s., diventa,nel teatro di questi anni,il
simbolo stesso
di una società che sta subendo importanti cambiamenti.
“Quel che è importante-afferma Tremblay- non è avere
un’unica interpretazione della
rappresentazione,quanto piuttosto che gli
spettatori ne parlino quando lasciano la sala.”
Si propone il
presupposto di un’appartenenza alla nazione quebecchese,condivisa anche
per
l’utilizzazione d’un linguaggio culturalmente intimo(il joual),come la
rappresentazione
di situazioni
e di riferimenti etnici.
Negli anni ’70 appaiono le prime
compagnie interamente femminili. Mettono in scena
opere collettiviste create da donne per donne. Verso la fine degli anni ’70 le donne
cominciano a occupare posti influenti.
Il 1980
segna una sorta di rottura concreta e simbolica ad un tempo per il
teatro
quebecchese.La disfatta del referendum
sulla sovranità-associazione,sostenuto
soprattutto da
tutto l’ambiente artistico,è percepita
come un vero schiaffo e
porterà con sé un‘ondata d’inevitabili delusioni. Durante tutto il
decennio degli
anni ’80 la drammaturgia continua quindi a disinteressarsi di soggetti politici
in senso stretto. Gli anni ’80- e questo vale
anche per tutti gli anni ’90 – si
caratterizzano
anche per problemi finanziari persistenti in ragione
dello scarso
appoggio da parte degli organismi di
finanziamento pubblico e di un’economia
generalmente in crisi. Anzi è più corretto
,forse ,affermare che il teatro socialmente
e politicamente impegnato degli anni ’70 non
sopravvivrà negli anni ‘80 ,quando
emergono nuove
scommesse sociali.
Mentre la
scrittura drammatica ,che aveva un poco ceduto il passo alle
sperimentazioni
delle
creazioni collettive,ritorna in forze, a partire dall’alba di questo
nuovo decennio,
con due nuove
voci che annunciano un cambiamento
radicale .La scrittura che
N.Chaurette e
René-Daniel Dubois sviluppano è molto formalista ,lontanissima
dalle
preoccupazioni nazionali e dal joual.
Sensibili alla
lingua,nelle loro opere incontriamo complesse
invenzioni formali,che
privilegiano la
dimensione onirica,l’interrogazione identitaria spostata sui territori
dell’intimo;le forme
sono esplosive,metateatrali,eterogenee,che le avvicina,quasi
a farle
coincidere,con un movimento artistico internazionale investito dai
fenomeni
d’ibridazione
e di pluralità che alcuni associano all’estetica moderna. Durante gli
anni ’80
si costituisce dunque una drammaturgia che privilegia un dibattito
identitario,
che si svolge nei
territori dell’intimo,del soggetto e che pratica vie formali e insieme
riflessive ed
esploratrici.
Negli anni ’90
si osserva un doppio fenomeno:da un lato,l’affermazione nuova
d’un teatro che si professa impegnato socialmente e che è legato a una nuova
generazione,dall’altro
il dispiegamento di una scrittura profondamente poetica,
metaforica,insomma
formalista .Emergono due tendenze estetiche
presenti ancor
oggi nel panorama delle scritture del Québec:l’una,in presa diretta sul
reale,
l’altra che si
impegna piuttosto sulla dimensione della teatralità e della poesia
della lingua. In mezzo,un largo spettro di variazioni ,miscele di toni e di
stili.
giovani
autori come J.F.
Caron,M.Monty,D.Champagne e Y.Bienvenue la
ripropongono,mettendola
all’o.d.g. con rappresentazioni che si interrogano sullo
stato di una società
che sembra aver abdicato ai suoi sogni,che non ha niente di
positivo da offrire
alle giovani generazioni. Le loro opere evocano la disgregazione
del tessuto sociale e
lo smarrimento affettivo dei giovani e
degli artisti in cerca di
un senso collettivo. La
loro lingua è aspra,diretta,improntata a un’oralità che fa
emergere la violenza
sottesa ai rapporti sociali. L’Altro
si è introdotto nella
drammaturgia
del Canada Francese in relazione con le altre culture, con le
lingue
straniere nelle loro scritture Lo spazio identitario con questi giovani autori diviene
un luogo di tensione,di incrocio e di
appartenenze multiple. Si può notare un
cambiamento di valore legato all’alterità:questa
generazione d’artisti si sente
“altra”,messa al
bando dalla società,cosa che la rende tanto più sensibile all’altro,
alla sua differenza. Voci che rivelano la mutazione in atto della società del Québec,
soprattutto in
ciò che ha rapporti con il vacillare delle identità.
Il Québec
entra nel XXI secolo,e la sua scena resta viva
e innovativa,grazie
all’attuale
generazione di autori, di registi,di attori e di scenografi estremamente
dinamici .
In effetti la drammaturgia del Québec,ancora così
particolarmente giovane,in quest’ultimi anni,
s’è arricchita di voci diversificate e
questa particolare realtà rende poco agevole tratteggiarne un
profilo.
Cosa notevole è intanto il fatto che sembra esserci una trasformazione nello statuto dell’autore
in Québec,che sempre più riveste tutti i ruoli
creativi:attore,regista-dei suoi propri testi- e autore:lavora spesso in gruppo
e il suo modo di procedere si avvicina a una scrittura scenica
da cui sarà tratto il testo finale. Indice di creatori tuttofare per i quali il teatro
è un ‘arte
globale dove la creazione drammatica non può
essere tagliata fuori dal suo rapporto con il
palcoscenico?O di autori impazienti di
aspettare che un regista si interessi alla sua opera per essere
rappresentata?quel che è certo è che questa circostanza contribuisce alla
evoluzione della scrittura drammatica. Olivier
Kemeid, Évelyne de la Chenelière, Olivier Choinière, Christian Lapointe
sono i drammaturghi che dialogano con quella scena che frequentano
abitualmente quanto la
pagina
bianca.
Olivier Kemeid, regista e uomo di teatro profondamente impegnato nella
società civile ha scritto
con L’Énéide (ispirato a Virgilio), un affresco
contemporaneo sugli immigrati e tutti gli sradicati
della terra,che ha messo in scena in uno stile spoglio e
immaginifico.
Évelyne de la Chenelière commediografa e attrice ha sviluppato due tipi di scrittura:una
in collaborazione con Daniel Brière da iscrivere in seno alle creazioni del
Nouveau Théâtre
Expérimental de Montréal (Désordre public
(2006), Le américain (2008)),l’altra,più strettamente
personale (Bashir Lazhar (2003), Les
pieds des anges (2009)).La sua scrittura plan collaborativa
è
spesso ludica,esplora diverse forme della parola e le scene sottolineano la
teatralità e
l’artificio delle situazioni come in “Le plan américain
D’altra parte nella sua opera personale
Évelyne de la Chenelière esplora con raffinatezza la
debolezza e le ferite degli esseri,mostrando contemporaneamente
che è lì che si annida la
loro umanità .Dopo Des fraises en janvier (1999),non ha smesso di
sondare con vivacità
temi che si interrogano ,con la comunità,con
la creazione dei nostri rapporti con
l’altro .
La sua commedia Bashir Lazhar,ad
es.,mette in scena un istitutore algerino impegnato in una scuola
del Québec da supplente .le sue tribolazioni
in seno all’istituzione fanno apparire un volto nascosto,
poco brillante,dei nostri rapporti con
l’altro,pur mostrando una indistruttibile fede nell’umanità .La
sua drammaturgia ,per certi aspetti
,ricorda Carole Fréchette,per quel miscuglio di leggerezza e
gravità,e quella sensibilità verso le
difficoltà dell’esistenza degli esseri .E’ delicato creare filiazioni,
in quanto gli stili di scrittura sono
radicalmente diversi da un autore all’altro,ma si può osservare uno
slancio nella drammaturgia québecchese
contemporanea che è percorsa da un realismo distanziato
posato sul mondo,allorché i loro
personaggi non arrivano mai ad
appartenere interamente al reale,
come se vivessero in un mondo parallelo
.L’opera Porc-épic (2009),del
giovane autore David Paquet
partecipa,in qualche modo,di questa
estetica dell’immaturità”tuttavia con un po’ più di ferocia.Disegna una società
di esseri
profondamente pazzi,disadattati,maldestri e soli,le cui relazioni sono
contemporaneamente
tenere e feroci. Ritratto lucido e
strano evoca pure l’indurirsi dei rapporti umani e la solitudine
che genera tale stato.
All’opposto di questi autori che
affrontano il mondo con quel che ho chiamato,in seguito a
Gombrowicz,l’”immaturità”,si ritrovano voci caustiche che fanno una critica
virulenta
della
società contemporanea e delle sue derive mercantili:le scritture di Geneviève Billette
e di Olivier Choinière,anche se situate a
mille leghe l’una dall’altra quanto allo stile,pongono
in essere meccanismi implacabili che
smontano(esponendoli)i valori economici e mediatici che
sottende il mondo attuale . Billette, con Crime contre
l’humanité (1999), inventa una favola
grottesca che si svolge nel mondo
industriale del potere, dove i discorsi sul deficit,la negoziazione,
l’efficacia si intrecciano con le
pulsioni sessuali e le bassezze di ogni ordine con una verve
indiavolata. L’opera di tale autrice è
segnata da una lingua netta ,acuta e
piena di spirito come
testimonia l’ultima pièce , Évariste Galois
contre le temps (2009),ritratto di un giovane genio
matematico le cui scoperte e la portata degli sguardi sono avversari feroci d’un
conservatorismo
cui interessa solo il profitto
immediato. Quanto a Choinière,firma Félicité (2007) una pièce in
forma di anamorfosi che tratta dell’ipermediatizzazione del reale:tre
personaggi che lavorano
in un Wal-Mart riferiscono sulla vita di una
star internazionale della canzone (si riconosce
subito Céline Dion);ma il loro racconto
prende la forma di fantasmi proiettati a partire da letture
della stampa sensazionalista .Questa
realtà mediatizzata delle riviste delle stars diventata la realtà
di riferimento dei personaggi,a partire dalla
quale esplode un immaginario d’un voyeurisme
malsano e deviante.
In una vena un po’ più Hard Core,la
pièce Rouge gueule del giovane
autore Étienne Lepage,
crea una
serie di quadretti che mettono in scena le violenze,i fantasmi e le
perversioni
latenti o represse di personaggi
completamente “nella norma”,che ci fanno entrare nel
loro spazio interiore estremamente
sconveniente. La lingua è acidamente cattiva,e lo
stile molto ritmato .Ancora una volta
,si può pensare che esiste una trasposizione in
immagine dell’infiltrazione dei nostri immaginari più intimi con la
violenza mediatica
e tutto ciò a nostra insaputa. Queste
due voci della scrittura del Québec
attuale ,fra
(falso)candore e virulenza,operano una critica sociale praticando cammini distinti:
uno più rivolto verso il rapporto degli esseri
fra loro,l’altro verso la relazione degli esseri
col mondo del potere economico-mediatico. Quel che è certo è che questi autori
testimoniano la perdita concreta del legame che unisce all’altro,alla sua collettività,
cioè alla sua lingua. Sarebbe stato
necessario parlare di François Godin,che per l’appunto
lavora una lingua
ibrida,attraversata dall’inglese in Louisiane Nord 2004),che evoca le
complessità identitarie in un mondo
sempre più aperto alle traversate geografiche e
culturali (Je suis
d’une would be pays (2008)).E autrici come Fanny Britt (Hôtel Pacifique
(2009)) e Catherine Léger (Voiture américaine (2007)),che esplorano l’americanità
nel cuore della cultura québécoise.Insomma
tutte queste scritture attuali del Québec
testimoniano con una certa vivacità della
complessità del mondo in cui viviamo,che si fa
fatica a cogliere con chiarezza,e che si
impadronisce di noi violentemente,strappandoci
il potere della nostra lingua nonché del
nostro immaginario.
In conclusione una generazione di autori, di registi,di attori e
di scenografi,quella
attuale,
estremamente variegata e dinamica,capace di mantenere una fertile dialettica
interna ,il cui talento complessivo saprà assicurare senza alcun
dubbio la sopravvivenza
del teatro francofono in Canada.
Una generazione di cui Évelyne de la Chenelière e Daniel Brière,
ci sono sembrati i perfetti
rappresentanti. E della loro ricca produzione
drammaturgica ci è sembrato particolarmente esemplare Le plan américain(il piano americano),quella commedia satirica che graffia
l’immagine nonché il modello della
famiglia nord-americana ideale,montando e smontando i suoi
clichés sia sul piano della forma che
del proposito,riproponendo una stessa scena sotto diverse angolazioni
o
sostituendo i protagonisti,ciò che crea effetti di mutamento di senso nello stesso tempo critici e comici .
Un fratello e
una sorella,virgulti viziati
fradici/marci di una coppia molto famosa si danno per missione di sabotare il
piano americano, un sogno che consiste nel riuscire nella vita avendo anche pensieri attenti per coloro che non hanno
tale opportunità …
La ricerca e la realizzazione dell’obiettivo
costituisce dunque poco a poco il filo della storia … ovvero una cavalcata del
disincanto. E’,in fondo, la nostra
stessa ricerca che noi guardiamo rappresentarsi ?
Quest’opera
rivela insomma in modo pungente e sottile,leggero e umoristico,la vita di una
famiglia moderna del nuovo continente i cui rapporti sono strettamente legati
all’immagine. La madre,
gallerista e artista concettuale,che parte regolarmente per trovare nuove tendenze del mercato dell’arte contemporanea,il padre che è fotografo di guerra che va
regolarmente sul teatro delle operazioni … Libano ,Irak,Afganistan … per
riempire la stampa mondiale delle sue testimonianze estreme e uguali della
violenza e
quei figli,un fratello e una sorella - coppia
quasi incestuosa,che rifiuta di lasciare il domicilio familiare e che ha un
rapporto ambiguo con l’immagine – si ritrovano affidati alla loro
solitudine che li porta a ripiegarsi su se stessi Sviluppano e nutrono così una
grave misantropia. Odiano il genere umano e, denunciando il suo etnocentrismo,
giungono a impegnarsi nella difesa e la preservazione degli animali,
moltiplicando atti estremi di militanza. Lotteranno contro il genocidio animale
e contro le derive dell’umanesimo! Il loro impegno li condurrà a commettere
atti di terrorismo in moto che fanno scoppiare la cellula familiare:quei figli
viziati e ricolmi di tutte le attenzioni
affettive,psicologiche,pedagogiche,tecnologiche come hanno potuto arrivare fino
a quel punto? Hanno tutto! Proprio tutto! E diventano
stelle mediatiche perché compiono atti di militanza terroristica per preservare
e difendere gli animali.
In quest’opera tuttavia,evidentemente, tutti i personaggi esistono
grazie al loro rapporto esasperato con l’immagine e soprattutto con la loro personale immagine,costruita per la
necessità dell’apparire e dei quindici minuti di celebrità. Come diventare più vivi,più
vibranti,più intensi ?Come esistere?Che c’è di meglio di un passaggio alla
tele?
In particolare l’immagine paradossale di quei figli,quel fratello
e quella sorella, alla ricerca del senso della vita nella nostra società
ipermediatizzata. Insomma,
come diventare un adulto in questo mondo senza testa né coda se non in rapporto
all’immagine e la fantasmagoria dell’internet? Oggi,in una democrazia
occidentale liberale,una famiglia moderna dunque è
molto evidentemente in crisi.
Di
fronte alla crisi, la fuga in avanti di tutti i protagonisti si realizza. Il
padre fugge una volta di più in Medio Oriente e la madre parte alla ricerca di
sé, nella speranza di ritrovare l’estasi amorosa della loro gioventù. Da parte
loro i ragazzi,divenuti icone mediatiche,affrettano l’uscita fatale
dall’intrigo, passando all’ultimo atto del crimine.
A
partire da quel momento una nuova generazione di esseri umani nascerà.
Ecco allora naturale e conseguente la costruzione dello
spettacolo attraverso la
rappresentazione
di uno spazio mentale quasi fosse scaturito dalla memoria di quegli
adolescenti.
Per primo lo spazio familiare . Quello delle
impronte e delle sensazioni folgoranti dell’infanzia - la scuola,il pasto in
famiglia - nonché dell’adolescenza - turbe della
personalità,disarmonia,narcisismo e quant’altro … Come se le tracce della
catastrofe prendessero forma nel tempo condensato dello spazio teatrale per
farla risorgere in tanti pixels ingranditi di una stessa immagine ormai
stravolta. Si vedono in successione una particella di un tutto,che si
giustappone a un’altra .D’altra parte si aggiungono,le sequenze multiple della
fuga e l’inseguimento in moto montate in flash-back. Un modo abile che
gli autori rivelano nel maneggiare tanto ironicamente quanto paradossalmente
gli stereotipi di un mondo messo in scatola(quella condensante della scena teatrale) per una
ricerca di senso che si trasforma piuttosto in ricerca di sensazioni (forti).
La ciclicità del loro riapparire rappresenta con grande evidenza la meccanicità
trasversale del pensiero di questo modello di cellula familiare,che non è
attraversata mai dal dubbio,tutta protesa com’è ad apparire,con ogni
mezzo,anche se una generazione crede di opporsi radicalmente all’altra .
Se la famiglia nordamericana ha un problema
d’immagine,le sue molteplici trasfigurazioni sembrano averle sottratto
un’idea chiaramente identificabile nell’inconscio collettivo.. E tuttavia,il
desiderio d’un modello sembra
sussistere. Qui gli autori maltrattano allegramente l’immagine della
famiglia moderna e scelgono d’inventarne una. La storia,piuttosto
allucinante,si sviluppa sotto i nostri occhi come in una serie di. L’opera non
risparmia né genitori né figli,e la famiglia vi è rappresentata con un’
identità nuova e con nuove tecniche rappresentative. Un teatro
transavanguardista insomma, ma per nulla ermetico,a metà strada fra la
destinazione di un “Festival ipercritico”e quella di “Tanto per divertirsi”.
Una drammaturgia dove il lavoro
meticoloso sul rituale è vistoso. Dove il linguaggio mediatico ha evidentemente
la meglio su quello della tradizione teatrale. Dove i contenuti critici che la ispirano appaiono ancora una volta strettamente legati/
connessi col territorio.Dove ,comunque ,il tema
affrontato e la sua maniera espressiva sono
fusi in una sintesi molto riuscita ed eloquente.
Nessun commento:
Posta un commento