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domenica 26 aprile 2015

25.America. Viaggio nel teatro francofono contemporaneo.



Il teatro francofono contemporaneo in America

Il teatro del Québec.
 
Lucca.Chiesa di San Martino


Per districare il groviglio.



La storia del teatro francofono del Québec ha origini relativamente recenti e si fonda su una
paradossale contraddizione.
L’opposizione della Chiesa Cattolica alle rappresentazioni pubbliche teatrali è sempre stata
uno dei primi ostacoli alla sua espansione nel Canada francese,ma,incredibilmente, è anche
il clero che,con il suo incoraggiamento dell’arte drammatica come strumento pedagogico,
ha inculcato la conoscenza e l’apprezzamento dei differenti generi teatrali,condizione
preliminare/viatico al successo delle rappresentazioni pubbliche. Si può dunque in gran
parte attribuire al clero addirittura la nascita del teatro contemporaneo in Québec.
Considerazione che giustifica la scelta di far partire la ricerca più dettagliata direttamente
dagli anni ’60 del ‘900.
La Rivoluzione Tranquilla  degli anni ’60,infatti,aveva infuso alle arti drammatiche un
vigore senza precedenti e un nuova professionalità fiduciosa. Dal 1959 al 1968,il numero
di nuove compagnie si era triplicato, soltanto a voler considerare Montréal. Negli anni ’60
si era sviluppato  un fenomeno che oggi chiamiamo “teatro alternativo”,che si opponeva
 a ciò che un buon numero di persone percepiva invece come una “istituzione”teatrale in
crescita e minacciosa  per la sua originalità e ’improvvisazione. Le dinamiche comunità
 teatrali del Québec si aprono allora  a considerazioni più universali.
Quello che colpisce nell’analisi del teatro in  Québec è il fatto che la storia di quel
paese si racconta soprattutto in opere il cui soggetto non è la Storia. E’ infatti
piuttosto la famiglia che diventa il cardine di quelle rappresentazioni. Un’osservazione
apparentemente  banale ,ma che la dice lunga sul “nuovo”teatro del Canada francofono. 
Lungi però dal praticare forme intimiste,dal realizzare un  ritratto di vita privata –basti
 pensare  a Michel Tremblay,a Garneau,ai fratelli Ducharme,a Germain,i drammaturghi
 più noti del periodo – il teatro degli anni ’70 è prima di tutto lo strumento collettivo di
una  presa di coscienza  nazionale. Nei limiti in cui tale collettività è definita dalla
nozione di famiglia,questo nuovo  genere di spettacolo costituisce un cambiamento
radicale nella evoluzione delle forme dell’arte  teatrale in Québec.Eroismi libertari
sono  proposti al pubblico attraverso le situazioni più semplici e quotidiane perché si
 identifichi  e scopra la necessità di liberarsi sia dalle costrizioni del passato che dalle
 imposizioni di una certa struttura sociale del presente.
Senza rifiutare la più tradizionale rappresentazione storica del passato l’opera storica
 degli anni ’70 propone una storia di famiglia:quasi a dire che la cucina è diventata in
quegli anni campo di battaglia,campo in cui si affrontano diverse forze in lotta nella
 società  del Québec. I Canadesi francesi sono un popolo fondamentalmente infelice,
sosteneva Tremblay .E tale infelicità derivava soprattutto dal passato,da una concezione
 cattolica e conservatrice delle relazioni uomo-donna. Da cui emergeva la necessità di
 reinventare la famiglia,di  farla finita con le strutture del passato. E’ la società stessa
in tutto quel che ha ereditato dal passato che è in gioco. La famiglia,cardine dell’ideologia
cattolica del XIX secolo e della prima metà del XX s., diventa,nel teatro di questi anni,il
simbolo stesso di una società che sta subendo importanti cambiamenti.
“Quel che è importante-afferma Tremblay- non è avere un’unica interpretazione della
 rappresentazione,quanto piuttosto che gli spettatori ne parlino quando lasciano la sala.”
Si propone il presupposto di un’appartenenza alla nazione quebecchese,condivisa anche
per l’utilizzazione d’un linguaggio culturalmente intimo(il joual),come la rappresentazione
di situazioni e di riferimenti etnici.
 Negli anni ’70 appaiono le prime compagnie interamente femminili. Mettono in scena
 opere collettiviste create da donne per donne. Verso la fine degli anni ’70 le donne
 cominciano a occupare posti influenti.

Il 1980 segna una sorta di rottura concreta e simbolica ad un tempo per il teatro
 quebecchese.La disfatta del referendum sulla sovranità-associazione,sostenuto
soprattutto da tutto  l’ambiente artistico,è percepita come un vero schiaffo e
 porterà con sé un‘ondata  d’inevitabili delusioni. Durante tutto il decennio degli
 anni ’80 la drammaturgia continua quindi  a disinteressarsi di soggetti politici
 in senso stretto. Gli anni ’80- e questo vale anche per tutti  gli anni ’90 – si
caratterizzano anche  per  problemi finanziari persistenti in ragione dello scarso
 appoggio da parte degli organismi di finanziamento pubblico e di un’economia
 generalmente in crisi. Anzi è più corretto ,forse ,affermare che il teatro socialmente
 e politicamente impegnato degli anni ’70 non sopravvivrà  negli anni ‘80 ,quando
emergono nuove scommesse sociali.
Mentre la scrittura drammatica ,che aveva un poco ceduto il passo alle sperimentazioni
delle creazioni collettive,ritorna in forze, a partire dall’alba di questo nuovo decennio,
con due nuove voci che annunciano un cambiamento  radicale .La scrittura che
 N.Chaurette e  René-Daniel Dubois sviluppano è molto formalista ,lontanissima
dalle preoccupazioni nazionali e dal joual.
Sensibili alla lingua,nelle loro opere incontriamo  complesse invenzioni formali,che
privilegiano la dimensione onirica,l’interrogazione identitaria spostata sui territori
dell’intimo;le forme sono esplosive,metateatrali,eterogenee,che le avvicina,quasi
a farle coincidere,con un movimento artistico internazionale investito dai fenomeni
d’ibridazione e di pluralità che alcuni associano all’estetica moderna. Durante gli
 anni ’80  si costituisce dunque una drammaturgia che privilegia un dibattito identitario,
che si svolge nei territori dell’intimo,del soggetto e che pratica vie formali e insieme
riflessive ed esploratrici.
Negli anni ’90 si osserva un doppio fenomeno:da un lato,l’affermazione nuova
d’un teatro che si professa impegnato socialmente e che è legato a una nuova
generazione,dall’altro il dispiegamento di una scrittura profondamente poetica,
metaforica,insomma formalista .Emergono due tendenze estetiche presenti ancor
oggi nel panorama delle scritture del Québec:l’una,in presa diretta sul reale,
l’altra che si impegna piuttosto sulla dimensione della teatralità e della poesia
della lingua. In mezzo,un largo spettro di variazioni ,miscele di toni e di stili.
giovani autori  come J.F. Caron,M.Monty,D.Champagne e Y.Bienvenue la
ripropongono,mettendola all’o.d.g. con rappresentazioni che si interrogano sullo
stato di una società che sembra aver abdicato ai suoi sogni,che non ha niente di
positivo da offrire alle giovani generazioni. Le loro opere evocano la disgregazione
del tessuto sociale e lo smarrimento affettivo dei  giovani e degli artisti in cerca di
un senso collettivo. La loro lingua è aspra,diretta,improntata a un’oralità che fa
emergere la violenza sottesa ai rapporti sociali. L’Altro si è introdotto nella
drammaturgia del Canada  Francese  in relazione con le altre culture, con le lingue
 straniere nelle loro scritture Lo spazio identitario con questi giovani autori diviene
 un luogo di tensione,di incrocio e di appartenenze multiple. Si può notare un
 cambiamento di valore legato all’alterità:questa generazione d’artisti si sente
“altra”,messa al bando dalla società,cosa che la rende tanto più sensibile all’altro,
alla sua differenza. Voci che rivelano la mutazione in atto della società del Québec,
soprattutto in ciò che ha rapporti con il vacillare delle identità.
Il Québec entra nel XXI secolo,e la sua scena resta viva  e innovativa,grazie
 all’attuale  generazione di autori, di registi,di attori e di  scenografi estremamente
 dinamici .

In effetti  la drammaturgia del Québec,ancora così particolarmente giovane,in quest’ultimi anni,
s’è arricchita di voci diversificate e questa particolare realtà rende poco agevole tratteggiarne un
profilo.
 Cosa notevole è intanto  il fatto che sembra esserci una trasformazione nello statuto dell’autore
 in Québec,che sempre più riveste tutti i ruoli creativi:attore,regista-dei suoi propri testi- e autore:lavora spesso in gruppo e il suo modo di procedere si avvicina a una scrittura scenica
 da cui sarà tratto il testo finale. Indice di creatori tuttofare per i quali il teatro  è un ‘arte
 globale dove la creazione drammatica non può essere tagliata fuori dal suo rapporto con il
palcoscenico?O di autori impazienti di aspettare che un regista si interessi alla sua opera per essere rappresentata?quel che è certo è che questa circostanza contribuisce alla evoluzione della scrittura drammatica. Olivier Kemeid, Évelyne de la Chenelière, Olivier Choinière, Christian Lapointe
sono i drammaturghi che dialogano con quella scena che frequentano abitualmente quanto la
pagina bianca.
Olivier Kemeid, regista e uomo di teatro profondamente impegnato nella società civile ha scritto
 con L’Énéide (ispirato a Virgilio), un affresco contemporaneo sugli immigrati e tutti gli sradicati
 della terra,che  ha messo in scena in uno stile spoglio e immaginifico.
Évelyne de la Chenelière commediografa e attrice ha sviluppato due tipi di scrittura:una
 in collaborazione con Daniel Brière da iscrivere in seno alle creazioni del Nouveau Théâtre
 Expérimental de Montréal (Désordre public (2006), Le américain (2008)),l’altra,più strettamente
 personale (Bashir Lazhar (2003), Les pieds des anges (2009)).La sua scrittura plan collaborativa
 è spesso ludica,esplora diverse forme della parola e le scene sottolineano la teatralità e
l’artificio delle situazioni come in “Le plan américain
D’altra parte nella sua opera personale Évelyne de la Chenelière esplora con raffinatezza la
debolezza e le ferite degli esseri,mostrando contemporaneamente che è lì che si annida  la
loro umanità .Dopo Des fraises en janvier (1999),non ha smesso di sondare  con vivacità
 temi che si interrogano ,con la comunità,con la creazione dei  nostri rapporti con l’altro .
La sua commedia Bashir Lazhar,ad es.,mette in scena un istitutore algerino impegnato in una scuola
 del Québec da supplente .le sue tribolazioni in seno all’istituzione fanno apparire un volto nascosto,
poco brillante,dei nostri rapporti con l’altro,pur mostrando una indistruttibile fede nell’umanità .La
sua drammaturgia ,per certi aspetti ,ricorda Carole Fréchette,per quel miscuglio di leggerezza e
gravità,e quella sensibilità verso le difficoltà dell’esistenza degli esseri .E’ delicato creare filiazioni,
in quanto gli stili di scrittura sono radicalmente diversi da un autore all’altro,ma si può osservare uno
slancio nella drammaturgia québecchese contemporanea che è percorsa da   un realismo distanziato
posato sul mondo,allorché i loro personaggi  non arrivano mai ad appartenere interamente al reale,
come se vivessero in un mondo parallelo
.L’opera Porc-épic (2009),del giovane autore David Paquet partecipa,in qualche modo,di questa
estetica dell’immaturità”tuttavia con  un po’ più di ferocia.Disegna una società di esseri
profondamente pazzi,disadattati,maldestri e soli,le cui relazioni sono contemporaneamente
tenere e feroci. Ritratto lucido e strano evoca pure l’indurirsi dei rapporti umani e la solitudine
 che genera tale stato.
All’opposto di questi autori che affrontano il mondo con quel che ho chiamato,in seguito a
Gombrowicz,l’”immaturità”,si ritrovano voci caustiche che fanno una critica virulenta
della società contemporanea e delle sue derive mercantili:le scritture di  Geneviève Billette
e di Olivier Choinière,anche se situate  a mille leghe l’una dall’altra quanto allo stile,pongono
in essere meccanismi implacabili che smontano(esponendoli)i valori economici e mediatici che
sottende il mondo attuale . Billette, con Crime contre l’humanité (1999), inventa una favola
grottesca che si svolge nel mondo industriale del potere, dove i discorsi sul deficit,la negoziazione,
l’efficacia si intrecciano con le pulsioni sessuali e le bassezze di ogni ordine con una verve
indiavolata. L’opera di tale autrice è segnata da una lingua  netta ,acuta e piena di spirito come
 testimonia l’ultima pièce , Évariste Galois contre le temps (2009),ritratto di un giovane genio
 matematico le cui scoperte e la portata  degli sguardi sono avversari feroci d’un conservatorismo
cui interessa solo il profitto immediato. Quanto a  Choinière,firma Félicité (2007) una pièce in
forma di anamorfosi che tratta dell’ipermediatizzazione del reale:tre personaggi che lavorano
 in un Wal-Mart riferiscono sulla vita di una star internazionale della canzone (si riconosce
subito Céline Dion);ma il loro racconto prende la forma di fantasmi proiettati a partire  da letture
della stampa sensazionalista .Questa realtà mediatizzata delle riviste delle stars diventata  la realtà
 di riferimento dei personaggi,a partire dalla quale esplode  un immaginario  d’un voyeurisme
malsano e deviante.
In una vena un po’ più Hard Core,la pièce Rouge gueule del giovane autore Étienne Lepage,
crea una  serie di quadretti che mettono in scena le violenze,i fantasmi e le perversioni
latenti o represse di personaggi completamente “nella norma”,che ci fanno entrare nel
loro spazio interiore estremamente sconveniente. La lingua è acidamente cattiva,e lo
stile molto ritmato .Ancora una volta ,si può pensare che esiste una trasposizione in
immagine dell’infiltrazione  dei nostri immaginari più intimi con la violenza mediatica
e tutto ciò a nostra insaputa. Queste due voci della scrittura del  Québec attuale ,fra
 (falso)candore e virulenza,operano  una critica sociale  praticando cammini distinti:
uno più rivolto verso il rapporto degli esseri fra loro,l’altro verso la relazione degli esseri
col mondo del potere economico-mediatico. Quel che è certo è che questi autori
testimoniano la perdita concreta  del legame che unisce  all’altro,alla sua collettività,
cioè alla sua lingua. Sarebbe stato necessario parlare di François  Godin,che per l’appunto
lavora una lingua ibrida,attraversata dall’inglese in Louisiane Nord 2004),che evoca le
 complessità identitarie in un mondo sempre più aperto alle traversate geografiche e
culturali (Je suis d’une would be pays (2008)).E autrici come Fanny Britt (Hôtel Pacifique
 (2009)) e Catherine Léger (Voiture américaine (2007)),che esplorano l’americanità
 nel cuore della cultura québécoise.Insomma tutte queste scritture attuali del Québec
 testimoniano con una certa vivacità della complessità del mondo in cui viviamo,che si  fa
 fatica a cogliere con chiarezza,e che si impadronisce di noi violentemente,strappandoci
 il potere della nostra lingua nonché del nostro immaginario.
          In conclusione una  generazione di autori, di registi,di attori e di  scenografi,quella
attuale, estremamente variegata e dinamica,capace di mantenere una fertile dialettica
 interna ,il cui talento  complessivo saprà assicurare senza alcun dubbio la sopravvivenza
 del teatro  francofono in Canada.
Una generazione di cui  Évelyne de la Chenelière  e Daniel Brière,
ci sono sembrati i perfetti rappresentanti. E della loro ricca produzione drammaturgica ci è sembrato particolarmente esemplare Le plan américain(il piano americano),quella commedia satirica che graffia l’immagine nonché  il modello della famiglia nord-americana ideale,montando e smontando i suoi
clichés sia sul piano della forma che del proposito,riproponendo una stessa scena sotto diverse angolazioni
 o sostituendo i protagonisti,ciò che crea effetti di mutamento di senso  nello stesso tempo critici e comici .
Un fratello e una sorella,virgulti  viziati fradici/marci di una coppia molto famosa si danno per missione di sabotare il piano americano, un sogno che consiste nel riuscire nella vita avendo anche  pensieri attenti per coloro che non hanno tale opportunità …
La  ricerca e la realizzazione dell’obiettivo costituisce dunque poco a poco il filo della storia … ovvero una cavalcata del disincanto. E’,in fondo, la nostra  stessa ricerca che noi guardiamo rappresentarsi ?
 Quest’opera rivela insomma in modo pungente e sottile,leggero e umoristico,la vita di una famiglia moderna del nuovo continente i cui rapporti sono strettamente legati all’immagine. La madre, gallerista e artista concettuale,che parte regolarmente per trovare  nuove tendenze del mercato dell’arte contemporanea,il padre che è fotografo di guerra che va regolarmente sul teatro delle operazioni … Libano ,Irak,Afganistan … per riempire la stampa mondiale delle sue testimonianze estreme e uguali della violenza  e quei  figli,un fratello e una sorella - coppia quasi incestuosa,che rifiuta di lasciare il domicilio familiare e che ha un rapporto ambiguo con l’immagine – si ritrovano affidati alla loro solitudine che li porta a ripiegarsi su se stessi Sviluppano e nutrono così una grave misantropia. Odiano il genere umano e, denunciando il suo etnocentrismo, giungono a impegnarsi nella difesa e la preservazione degli animali, moltiplicando atti estremi di militanza. Lotteranno contro il genocidio animale e contro le derive dell’umanesimo! Il loro impegno li condurrà a commettere atti di terrorismo in moto che fanno scoppiare la cellula familiare:quei figli viziati e ricolmi di tutte le attenzioni affettive,psicologiche,pedagogiche,tecnologiche come hanno potuto arrivare fino a quel punto? Hanno tutto! Proprio tutto! E diventano stelle mediatiche perché compiono atti di militanza terroristica per preservare e difendere gli animali.
In quest’opera tuttavia,evidentemente, tutti i personaggi esistono grazie al loro rapporto esasperato con l’immagine e soprattutto con  la loro personale immagine,costruita per la necessità dell’apparire e dei quindici minuti di celebrità. Come diventare più vivi,più vibranti,più intensi ?Come esistere?Che c’è di meglio di un passaggio alla tele?
In particolare l’immagine paradossale di quei figli,quel fratello e quella sorella, alla ricerca del senso della vita nella nostra società ipermediatizzata. Insomma, come diventare un adulto in questo mondo senza testa né coda se non in rapporto all’immagine e la fantasmagoria dell’internet? Oggi,in una democrazia occidentale liberale,una famiglia moderna dunque  è  molto evidentemente in crisi.
Di fronte alla crisi, la fuga in avanti di tutti i protagonisti si realizza. Il padre fugge una volta di più in Medio Oriente e la madre parte alla ricerca di sé, nella speranza di ritrovare l’estasi amorosa della loro gioventù. Da parte loro i ragazzi,divenuti icone mediatiche,affrettano l’uscita fatale dall’intrigo, passando all’ultimo atto del crimine.
A partire da quel momento una nuova generazione di esseri umani nascerà.
Ecco allora naturale e conseguente la costruzione dello spettacolo  attraverso la rappresentazione  di uno spazio mentale quasi fosse scaturito dalla memoria di quegli adolescenti.
 Per primo lo spazio familiare . Quello delle impronte e delle sensazioni folgoranti dell’infanzia - la scuola,il pasto in famiglia - nonché dell’adolescenza - turbe della personalità,disarmonia,narcisismo e quant’altro … Come se le tracce della catastrofe prendessero forma nel tempo condensato dello spazio teatrale per farla risorgere in tanti pixels ingranditi di una stessa immagine ormai stravolta. Si vedono in successione una particella di un tutto,che si giustappone a un’altra .D’altra parte si aggiungono,le sequenze multiple della fuga e l’inseguimento in moto montate in flash-back. Un modo abile che gli autori rivelano nel maneggiare tanto ironicamente quanto paradossalmente gli stereotipi di un mondo messo in scatola(quella  condensante della scena teatrale) per una ricerca di senso che si trasforma piuttosto in ricerca di sensazioni (forti). La ciclicità del loro riapparire rappresenta con grande evidenza la meccanicità trasversale del pensiero di questo modello di cellula familiare,che non è attraversata mai dal dubbio,tutta protesa com’è ad apparire,con ogni mezzo,anche se una generazione crede di opporsi radicalmente all’altra .
 Se la famiglia nordamericana ha un problema d’immagine,le sue molteplici trasfigurazioni sembrano averle sottratto un’idea chiaramente identificabile nell’inconscio collettivo.. E tuttavia,il desiderio d’un modello sembra  sussistere. Qui gli autori maltrattano allegramente l’immagine della famiglia moderna e scelgono d’inventarne una. La storia,piuttosto allucinante,si sviluppa sotto i nostri occhi come in una serie di. L’opera non risparmia né genitori né figli,e la famiglia vi è rappresentata con un’ identità nuova e con nuove tecniche rappresentative. Un teatro transavanguardista insomma, ma per nulla ermetico,a metà strada fra la destinazione di un “Festival ipercritico”e quella di “Tanto per divertirsi”.
Una drammaturgia dove il lavoro meticoloso sul rituale è vistoso. Dove il linguaggio mediatico ha evidentemente la meglio su quello della tradizione teatrale. Dove  i contenuti critici che la ispirano appaiono  ancora una volta strettamente legati/ connessi col territorio.Dove ,comunque ,il tema affrontato e la sua maniera espressiva sono  fusi in una sintesi molto riuscita ed eloquente.

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