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giovedì 28 aprile 2016

La cucina zingara.Secondo Michela Gambillara




Da "La regina degli zingari a Venezia" di Michela Gambillara.

La Signora mi chiede della nostra vita, dei nostri piatti tipici, delle cose che mi piacciono di piu’.Come la musica, così la nostra cucina racconta la nostra vita di continua peregrinazione. La cucina zingara è, infatti, una cucina "contaminata" dalle culture alimentari dei paesi attraversati. E le racconto il "dolma", con i peperoni ripieni di riso, carne tritata e pomodoro, oppure i "sarma", gli involtini di cavolo con lo stesso ripieno. O la “djota”, una buonissima zuppa di patate, carne, crauti e fagioli che mangiavamo in inverno, nelle lunghe sere nei Balcani, davanti al fuoco tutti insieme.  
Una volta quando ho tempo potrei preparare per la Signora anche il nostro pane caratteristico, chiamato "pitta", che ricorda l’azzimo degli ebrei, una sfoglia di acqua e farina non lievitata dalla forma rotonda, al centro una sacca da riempire con il cibo.  E la Signora mi dice: proprio simile al nostro, perché la sua famiglia e’ di origine ebraica, antichi mercanti arrivati dalla Germania ai tempi della Serenissima, per quello si chiama Sara anche lei, che vuol dire “principessa” e per quello è bionda e con gli occhi così chiari.
La nostra carne, utilizzata in zuppe e soffritti, viene prima sempre bollita, anche il montone  come questo che a Venezia chiamano la castradina, prima di essere messo sotto sale.  E poi ceniamo all'orientale, con il cibo disposto contemporaneamente sulla tavola  e ciascuno prende la propria porzione. E mi vengono in mente tante sere, nelle quali mangiavamo tutti insieme, eravamo tanti, c’erano musica e allegria.

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