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mercoledì 23 dicembre 2015

Una ricetta molto mediterranea.

A pasta chi vruocculi arriminata" cioè Pasta con broccoli mescolata. 
Alcuni termini dialettali non possono proprio essere tradotti , perchè in italiano si perde una parte del significato,caratteristico e molto legato al territorio.Questa pasta è una specialita' palermitana . Il termine arriminata si traduce mescolata,questo termine quando non associato alla pasta vuol dire "SBRIGATI",quindi se andate in quella affascinante citta' e qualcuno vi dice "Arrimìnati" vuol dire che dovete sbrigarvi,sopratutto se siete alla guida ahahhah i Palermitani hanno sempre premura :-)


Ingredienti:
Pasta(io preferisco le pennette rigate e quantità a piacere)
Broccoletti siciliani(quantità secondo le porzioni necessarie)
Una tazzina da caffè di uvetta sultanina
Una tazzina da caffè di pinoli
una cipolla
una grattata di noce moscata
Qualche ramoscello di prezzemolo e di mentuccia/nepitella
Sale e olio q.b
un mezzo bicchiere di vino marsala
Una tazzina da caffè di pan grattato

Procedura:
In una padella antiaderente mettere il necessario olio,cipolla tagliata finissima e rosolare.
In una pentola capiente a parte  scottare i broccoletti lavati e tagliati in cimette,salate.
Dopo questa  operazione,versare i broccoletti scolati nella padella,aggiungendo l'uvetta
i pinoli,il cucchiaino da tè di noce moscata grattugiata e pochissimo sale..A parte in un
padellino far rosolare il pangrattato in poco olio per poi aggiungerlo ai broccoletti ormai
 ben insaporiti e quasi croccanti.Sfumare col mezzo bicchiere di vino marsala.
Condire con i broccoletti così cucinati la pasta ormai scolata,impiattare e servire in tavola.










sabato 19 dicembre 2015

Tanti auguri!






                                       

                                           Buon Natale

                 Joyeux Noël

                             Merry Christmas
                         С Рождеством
                          Feliz  Navidad                    

                          Schön Christfest
                                                

Zoé va in milonga.3.



7. CONTRATTEMPI E COINCIDENZE


         Quando Zoé l’indomani atterra a Buenos Aires non c’é Gordon ad aspettarla. Qualcosa di incontrollabile e imprevedibile lo trattiene a Londra. Una nube, non metaforica, si è addensata su di loro e fa slittare il loro incontro.
Dopo 150 anni o giù di lì, il vulcano islandese Eyjafjallajokull si è risvegliato e un’enorme nuvola di cenere prodotta dall’eruzione, sparata nell’atmosfera a quote vertiginose  e trasportata dai venti, sta ricoprendo i cieli del Nord Europa impedendo il traffico aereo. Gli aeroporti sono stati  chiusi per l’emergenza e migliaia di passeggeri sono rimasti a terra  a bivaccare nelle inutili sale d’attesa, senza saper bene quando tutto potrà tornare nella normalità. Quello di Zoé è stato uno degli ultimi voli da Parigi per il Sudamerica e ora è appena atterrata a destinazione.
         Tutti i momenti e le parole che ha pregustato durante il volo, per dimenticare il chiacchiericcio intorno a lei  e l’aria stantia che le stringeva la gola, si dissolvono ben presto in nulla. Delusione, preoccupazione e un’ondata di confuso affetto e desiderio la sommergono nel leggere il primo messaggio ricevuto sul suo cellulare dopo l’arrivo: 
‘Mi dispiace, sono bloccato a Londra per il maledetto vulcano. Verrà qualcuno del British Council a prenderti. Si tratta di un giorno o due, spero. Mi manchi G’
         Terminate le formalità e finalmente in possesso del suo bagaglio, Zoé viene avvicinata dall’addetto del British. Sembra molto giovane ed ha un luminoso sorriso. Un tipo indio, dalla pelle bruna, capelli neri, di seta, i tratti del volto regolari. Raùl  Crespo Montes ha modi gentili, e guida lentamente l’auto mentre l’accompagna in hotel, come se volesse presentarle la città al tramonto, suggerendole di tanto in tanto di dare un’occhiata alla corona di boschi lì intorno, alle ampie avenidas piene di traffico, a qualche vecchia costruzione.
         Aggiunge qualche cenno al clima ancora caldo di questo autunno inoltrato, con un misto di discrezione e timidezza. Purtroppo, dice, il lavoro lo terrà occupato per gran parte della giornata, ma se alla señora, a Madame Laforêt, facesse piacere, domani sera potrebbe accompagnarla in una vecchia milonga[1] a veder ballare il tango.         Infine, salutandola le offre un appunto con qualche suggerimento e indirizzi di cose da vedere e fare in città.
         Zoé  è alloggiata in un albergo sulla Avenida Corrientes, non lontano da molti luoghi d’interesse in città, ma stasera non ha la forza né la voglia di esplorare. Vorrebbe sapere qualcosa di più da Gordon.
          Alla TV, le  immagini non lasciano dubbi. Lo speaker della CNN snocciola informazioni e presenta testimoni ed esperti che si susseguono:  “ …. la cenere della nube è provocata dal raffreddamento rapido della lava a contatto con l’acqua del ghiacciaio che fonde … Pertanto, fino a che ci sarà acqua, la cenere continuerà  ... Un dato storico sconfortante: l’ultima grande eruzione dello stesso vulcano, avvenuta nel 1821, è durata due anni! … Oggi, l’ immensa nuvola di cenere ha paralizzato il traffico aereo europeo con conseguenze anche in estremo oriente dove i passeggeri che viaggiavano verso l’Europa sono bloccati oramai da molte ore …”
        ‘ E io? Io che ci faccio qui?’ Le si stringe il cuore.
         Zoé scrive una breve mail a Gordon,  ma è molto stanca e, anche se un po’ agitata, dopo il lunghissimo volo e il cambiamento di fuso orario, appena riesce a stendersi, abbandona ogni resistenza. e si addormenta.
         L’indomani, due passi in centro, un caffè e latte e  medias lunas[2] in un qualche antico caffè, pieno di avventori e di foto in bianco e nero sui muri, una corsa su un taxi giallo e nero fino al quartiere della Boca con le sue case colorate, una visita al nuovo Museo della memoria, una visita dolorosa, ma da non mancare. Il museo occupa gli spazi del vecchio centro di detenzione clandestina, gli edifici dell’ESMA[3] da cui partivano gli squadroni militari che sequestravano gli oppositori politici negli anni della dittatura. L’ invisibilità delle vittime, che  nasceva dalla segretezza degli arresti, dal totale isolamento in cui venivano tenuti i prigionieri e dalla completa ignoranza del proprio destino,  finalmente viene cancellata  e raccontata attraverso la riappropriazione dei ricordi, seppure profondamente dolorosi e laceranti. Zoé è turbata da questa visita, ma sente di capire un po’ di più della realtà intorno a lei.
         Quando Raùl Crespo Montes passa all’hotel a prenderla per cena, Zoé si accorge di quanto è giovane e quasi irresistibilmente inadatto a farle da chaperon. Ma il ragazzo non tarda a rivelarsi un piacevolissimo parlatore, ironico e appassionato nello stesso tempo, ma anche capace di ascoltare e pronto a soddisfare le curiosità della bella ospite.
         -Non siamo solo tango, ma è difficile non respirarlo insieme all’aria, qui a Buenos Aires; per questo le ho proposto una milonga … La milonga, per noi, è il luogo, il ballo e la musica … Quando vanno a ballare il tango qui  si dice: ”Vado in Milonga!”, ma non deve preoccuparsi! Stasera, guarderemo, berremo mate, se vuole, e mangeremo … Ehm,…  Benvenuta in Argentina!”
          - … Grazie, sono molto curiosa, ma vorrei un posto vero, non per turisti … Forse, nel quartiere del porto, alla Boca?”
         -So io dove portarla! Andremo a ‘El Beso’, una milonga porteña di calle Riobamba ... Vedrà, ci sono i migliori tangheri della città … e mentre guarda e ascolta si potrà gustare una delle nostre bistecche … Spero … che non sia vegetariana!
         Zoé nota che gli occhi neri e profondi di Raùl sono incredibilmente mobili quando parla, come se non riuscisse a contenere tutte le parole. ‘C’è qualcosa che lo tormenta, però,… nonostante il sorriso aperto e rassicurante.. Chissà?’. E questo occuparsi del suo attuale Virgilio le fa un po’ dimenticare la lontananza di Gordon e tutta la delusione provata per il suo mancato arrivo.
        Nel locale, quella sera, un fumo denso rende tutto indistinto, si fa fatica a orientarsi. Ma Raùl  guida sicuro la sua ospite verso un tavolo vicino alla pista. Qui è possibile vedere ai tavoli vicini molta gente: qualche donna ammicca e  gli uomini tendono a gettare intorno occhiate con intenzione insistita, bevendo birra. Sulla pista qualche coppia, con i corpi allacciati, si lascia andare al ritmo della musica, scandita dall’orchestra sulla quale galleggia a tratti l’assolo singhiozzante e melodrammatico del bandoneòn, per disegnare le splendide geometrie dei loro passi, dimentichi del mondo. A un tratto si fermano e l’attenzione di  tutti è monopolizzata dalla coppia che si sta esibendo in maniera superba.
         Il piacere che traspare naturale nei volti, nei corpi, nei gesti e il modo elegante e perentorio di soddisfare quella che sembra una necessità impellente, con la complicità della musica e con la fantasia ritmica dei movimenti, fa capire davvero a Zoé quanto il Tango, con l’energia vitale che sprigiona, sia per gli Argentini una cosa molto seria e irrinunciabile.
        Raùl riesce a dirle, infatti, nell’intervallo tra due pezzi: “ Anche se i testi parlano di amore, nostalgia e famiglia, le solite cose,  insomma, il tango ci sostiene nei momenti più cupi e ci aiuta a superare la nostra fatalistica rassegnazione, davvero terribile”. La gente intorno alla pista applaude e commenta, fa ormai molto caldo, il ritmo è diventato travolgente e il turbinio dei ballerini che passano davanti al tavolino sembra portare via tutti in un  vortice.
       - È stato bellissimo- dirà Zoé al ritorno, accommiatandosi dal giovane accompagnatore -Domani vorrei organizzare la mia andata a Medellin … potresti … potrebbe darmi qualche suggerimento?
      -Niente di più facile. Io ci vado domani … Non sarà difficile trovare un biglietto nel mio stesso volo. Poi, lì, io …  io sono di casa.
       Una volta in albergo,  Zoé non può resistere: scrive subito a Gordon :
        ‘… Eh, sì, aveva proprio ragione il mio amico Hernàn, quando avevo insistito che mi accompagnasse alla milonga di rue du Temple a Paris. Sopra a un cinema, sembrava più un’abitazione privata. Proprio nessuna somiglianza con l’atmosfera delle milonghe di Buenos Aires. Ora me ne rendo completamente conto. Anche se i tangheros francesi sono proprio bravi, non c’è che dire!        
        E così, qui sola ad aspettarti, non ho saputo resistere: quando il gentile Raùl del British mi ha invitato a una serata di tango, ho subito chiesto un posto autentico, che somigliasse a quelli nati per divertire marinai e puttane … È stato fantastico! Ora ti dico.
        Appena  seduta al tavolo, mi son guardata attorno con grande curiosità. C’era un’atmosfera fumosa che le luci soffuse non riuscivano a penetrare, un’oscurità in cui non si distinguevano i contorni delle cose.
Ma ecco che una lama di luce taglia  quell’aria spessa e opaca e calamita  il mio sguardo verso il parquet della pista, dove poche coppie si esibiscono in cortes e quebradas[4].  Subito una vera folgorazione: fasciata nel suo abito d’un rosso sgargiante, in piedi , di fronte a me, è la  regina del tango. Come deve piacerle ballare, farsi guardare! Certo non deve proprio sopportare la gente che si annoia, che rompe. Così sicura , sembra la ragazza - sotutto, che non sbaglia mai, che non conosce  dubbi, indifferente ai giudizi e alle critiche dei perbenisti, che è sempre la prima, che non perde mai la testa. Attorniata da uno stuolo d’amiche fidate che l’assecondano,sembra dire:”Quello è il maschio più bello, non toccatemelo!” Decisa, bella da mozzare il fiato, con aria di sfida ora si avvicina alla pista, dove le coppie che ballavano, assaporando l’ adorata  Cumparsita[5], si fermano come per incanto perché sanno che sta per realizzarsi  l’Evento
        Il bandoneòn   borbotta le prime note. Il giovane criollo  si ferma davanti a lei, le fa un cenno con la testa ed eccoli, inquietanti e magnifici, i corpi allacciati per dare inizio ai complessi arabeschi dei piedi che sussurrano desiderio  al  parquet. Sembra che non esista codice  che le sue gambe non sappiano decifrare. La mano sapiente del  compadrito è ferma sulla vita. Adesso le chiede un voleo e Inés ( così si chiama la straordinaria  milonguera) sembra avere l’assoluta consapevolezza della propria gamba ben modellata e sensuale, che l’audace spacco dell’abito sapientemente  rivela, del proprio piede che volteggia in aria, un istante appena, con estrema eleganza per poi riappoggiarsi sulla pista.
        Gordon, devi credermi, non esagero! Un’esperienza per me indimenticabile!’



[1] La parola ‘Milonga’ ha origini africane, significa confusione, casino, litigio. Questa parola nacque nei primi anni dell'Ottocento nelle case da ballo frequentate da gente povera o comunque non benestante, era usata anche per indicare le donne che lavoravano in queste case da ballo. (Wikipedia).
[2] Mezze lune di pasta sfoglia.
[3] La Scuola Tecnica della Marina.
[4] Figure elaborate del tango.
[5] La Cumparsita è una composizione creata e scritta a Montevideo tra la fine del 1915 e l'inizio del 1916 dal musicista uruguaiano Gerardo Matos Rodriguez e  arrangiata musicalmente dal direttore e pianista Roberto Firpo. Dopo la positiva accoglienza iniziale, il tango venne dimenticato, per poi raggiungere il l vero e  grande successo quando Enrique Maroni e Pascual Contursi  ne scrissero i testi. Fu utilizzato nel cinema e da Orson Welles per la sua famosa trasmissione radiofonica La guerra dei mondi. Dal 1997 è considerato inno popolare e culturale uruguaiano.  Questo il testo originario:” La comparsa(*) di miserie senza fine,/sfila intorno/a quell’essere infermo,/che presto dovrà morire di pena./Per questo nel suo letto,/singhiozza angosciato,/ricordando il passato che lo fa patire./Lasciò sua madre,/che rimase abbandonata,/e folle di passione, cieco d’amore,/corse dietro alla sua amata,/che era bella,/era affascinante,/era un fiore di lussuria,/che si burlò del suo amore fin quando si stancò/e per un altro lo lasciò./Tanto tempo dopo,tornò nella casa materna,/per poter curare/il suo malato e ferito cuore./e seppe che la sua madre santa,/che egli aveva lasciato,/L’inverno scorso/per il freddo morì./Oggi, solo e abbandonato, alla sua triste sorte,/ansioso aspetta la morte,/che ben presto deve arrivare./E fra la triste indifferenza/che lenta invade il suo cuore/sentì la cruda sensazione della sua malvagità./Tra le ombre lo si sente respirar sofferente,/quando prima di morir sorride,/perché una dolce pace lo pervade./Sentì che dal cielo/la sua madre buona mitigando le sue pene/le sue colpe perdonò.”
(*) CUMPARSA (pop.): gruppo di maschere appartenente a un insieme carnevalesco.
Per i diversi testi della Cumparsita , le notizie sui processi dei diversi autori e l’ascolto delle varie versioni, cfr. www.bsairestango.com  

Ancora qualche poesia da sfogliare.2



12. UN DISCORSO A LUNGO RINVIATO

 

         -Complimenti! È stato interessantissimo! Però, mi lasci dire, ho sentito la mancanza dell’anima francofona    contemporanea … Conosce già la Josée Yvon, la Desautels, la Lalonde e la Dorion? Le mie amate Québecoises! Devo mandarle la nostra antologia! È stato un bel colpo per la nostra casa editrice… 
     Gordon, seduto al tavolo del ristorante e in attesa della cena mentre beve un bicchiere di Prosecco,  osserva Zoé parlare vivacemente con Bellini che si è subito unito a loro dopo il seminario. Guarda pensieroso quel viso che, ultimamente, gli è diventato così caro al solo ricordarlo;  sorride tra sé nel notare che Zoé, questa sera,  ha indossato un  vestitino leggero, che rivela i suoi morbidi fianchi, e  che, quando si interrompe per sorseggiare il vino, sembra perfettamente consapevole di suscitare un certo interesse. Lui sente fortemente la sua vicinanza e: ‘No, non posso più rimandare – pensa-  mentre cerca, nel frattempo,  di farsi venire in mente un posto tranquillo dove poter andare a parlare un po’ insieme a lei dopocena. Senza Bellini, naturalmente.
         -Adoro la Yvon[1]!- sta dicendo Zoé-  Eppure in patria non l’ amano molto e faticava a farsi pubblicare quando era ancora in vita … Troppo radicale! E di un femminismo provocatore che ne fa l’angelo nero della contro-cultura québecoise. Potrei dire che rappresenta la vera voce della pluralità del reale, nel suo intreccio di lingue e identità, anche sessuali   - e mentre parla,  Zoé sta pensando ad una delle Maîtresses Cherokee  della raccolta di poesie della Yvon degli anni Ottanta.
          Questo il complesso testo integrale di cui le piace regalare qualche passaggio ai suoi perplessi interlocutori:

Quanti romanzi di madonne annamite[2]

Allacciati a sacchi a pelo di lusso
e il pianoforte  si perde
una colonia d’alghe sui denti
si spande come olio
d’una famiglia nucleare
regina delle marinate dubbiose
diamante d’infimo prezzo al napalm
per infiammarsi i piedi d’ammirazione
una ballerina  fornì caprioli e cinghiali
di  fiale di Periactin
un assegno, uno sguardo, un corso classico
lottatrice per les Barrack’[3]
la verità scivola  sui battiscopa unti
non si sfugge proprio ai battiti di speranza
del difficile contagio
come un’ urino-plastica
paralizzata il coltello nella pantofola
un profumo stropicciato
lei non sarà mai
la ragazza tatuata della sauna
facile da seguire marchiata dalla testa ai piedi
le sue cicatrici con funzione di dedica.

         -Una vera poesia della guarigione delle piaghe, di chi si rialza dopo periodi difficili- interviene Bellini, poco convinto di tutto quell’entusiasmo, giusto per cortesia.
Zoé ha cercato di dire i  versi dell’Yvon tutti d’un fiato.
        -Certo, l’eliminazione totale della punteggiatura non va incontro al lettore, sembra una scelta determinata per nutrire la polisemia del testo- dice svogliatamente Gordon come se intervenisse solo per dovere conviviale.
Come ha già detto inequivocabilmente  Zoé, è un gusto quasi perverso della provocazione, quello della Yvon, che fa usare alla poetessa immagini corrosive e ripugnanti, accostate in modo volutamente oscuro con riferimenti autobiografici continui ed evidenti, a rendere una condizione disperata. L’ambiguità viene sottolineata dalla completa eliminazione della punteggiatura, come ha intuito Gordon, che dà anche ai versi un flusso continuo da cui scaturiscono immagini quasi sovrapposte. Autrice marginalizzata dal pubblico e dall’editoria, in una regione come quella del Québec, allora meno aperta a modelli di vita diversificati e a tematiche in forte contrasto con un certo perbenismo accademico e un po’ bigotto.
         -...  oppure - continua imperterrita Zoé-  mi viene in mente una poesia  di Denise Desautels[4]. La
conosce?

Sognare Québec voi dite[5]:

1.

Altrove qui
ai margini del mondo
ci si chiede dove si è, dove si viva, dove si sogni
in quale lingua, con quale mano
sinistra, se sinistra

talvolta immenso, il gesto, si direbbe
come un  cuore,
il continente dappertutto intorno
e la stranezza  la più intima

scrivere qui la gravità del desiderio
l’orizzonte, la storia
il lungo fiume e la memoria viva
d’una parola, poi d’un’altra
apprese qui: aprile, maggio
fantasma, foresta, uccello  o coltre
_ quando nevica ancora
al  femminile forse
su un altro tono
sempre _
felicemente oscure, le parole
come i fatti: Québec, le  Orsoline[6], il cranio di Montcalm[7]
sotto una campana di vetro
e i Champs de Bataille[8]

Nascita e morte sempre
qualche secolo dopo
bruscamente.

2.

Urbana resistente
sempre più lacerata fra due terre
cerco, scruto, soppeso
la prossimità e la lontananza
i volti simili
e l’unanime lucidità

“Sognare Québec” voi dite

Ora confusione improvvisa
le mie frasi si mescolano
agli avvenimenti delle città e dei continenti
davanti a bastioni, feritoie, laghi, deserti o grattacieli
io mi monto la testa, e tutte le autostrade
mi tornano cariche di cenere.
There Will Be Blood, There Will Be Blood[9]
Più in alto, molto più in alto io respiro e cammino
avenue  Christophe -  Colomb [10] o altrove
_ fra due capi del mondo
in questo paese recente
stravagante e sognatrice
ad ogni passo stupita
d’esser tornata
d’essere qui
“Sognare Québec” voi dite

Ad ogni passo l’enigma
ciò che si lascia di sé alla frontiera
ciò che l’aurora, senza nulla tradire, raccoglie.

       -… una poesia in cui segrete sensibilità femminili si intrecciano ai ricordi del Passato; tutto reso attraverso illuminazioni improvvise e mediante una lingua a metà strada tra poesia e prosa. Come se la Desautels volesse farci cogliere la sfasatura tra macrostoria e piccole storie personali che continuano a intrecciarsi su piani temporali diversi. I luoghi legati alla storia nazionale sono diventati luoghi del quotidiano, di piccoli gesti, luoghi di solitudine e follia, con un sentore di distruzione e morte. Se vogliamo, ancora una poesia intimistica, ma come in esilio nel suo stesso paese … È una sorta di poesia dell’erranza.
        Una regione  strana, la provincia del Québec, che attrae e respinge a un tempo, per il fascino delle molteplici contraddizioni, eredità di un passato recente, difficile, povero e chiuso, contro un presente liberato, che però ne  conserva ancora le cicatrici. È emblematico, a questo proposito, il testo di Catherine Lalonde[11]:

Ti mostro me stessa e la mia decorazione interiore [12]

Ti mostro me stessa e la mia decorazione interiore
i tappeti rossi sesso
e lingua
per accoglierti da re
i bruchi  delle stie gli incendi fertili
le piccole sfere di legno  trascinate dalla corrente
l’aurora boreale la notte in cui Petronilla ha partorito
i cuccioli di terra molle
le immagini rimaste bendate nell’arco della mia infanzia
e il bersaglio della mia morte
io ti mostro la tire[13] la tire Santa
 Caterina
impiastricciata  nelle mie trecce
la collezione di alberi morti di mio padre i gran
falò di San Giovanni che davano riflessi rossi ai capelli
la riserva dei Gran Giardini quella foresta difforme
i suoi alberi bruciati nel mio ventre ma rimasti in piedi
il suolo raro che dovrebbe essere altrove ma
che lascia risalire fossili e ricordi il mio
Giardino personale carne delle
Meraviglie e delle Angosce
la notte appende la sua luna
unica palla di Natale alla tua finestra
io ti mostro a casa mia gli arazzi degli inconsci  
successivi
il palo del calvario piantato nella mia lingua di donna
scheggia trasmessa da donne di prima
le brute senza scuola né libri che parlavano
dei possibili fra bucato Dio e
dodici figli
non godere sui muri
vengo da un paese dove le donne si sgravano ciò
lascia tracce
nodi nei capelli.

            Versi che sembrano rappresentare in modo molto originale quella realtà, stratificata e composita.
            La poetessa scompone infatti il senso logico e la costruzione sintattica della frase introducendo enjambements che la  disarticolano : ” Ti faccio vedere me stessa e la mia decorazione interiore /i tappeti rossi sesso/ e lingua /per accoglierti da re”, dove il senso è: ti faccio vedere la mia decorazione interiore, i tappeti rossi, sesso e lingua per accoglierti da re.
            La comprensione immediata diventa quindi impossibile. Il lettore è obbligato a compiere un lavorio interpretativo per ripristinare la logica della frase. Questo lavorio potrebbe corrispondere al travaglio psicanalitico che lei stessa ha dovuto compiere per disfarsi dai traumi, dalle remore, dalle limitazioni tramandate da secoli di oppressione della donna nel suo paese, che pure ama e che le ha lasciato anche teneri ricordi, che sono  appunto l’oggetto della poesia.
            Se ne parlassero, Gordon si ravviverebbe almeno per un attimo, incuriosito da un particolare che non sfuggirebbe alla sua attenzione, per quanto  apparentemente opaca, e non potrebbe fare a meno di tornare a osservare: -Ancora una volta l’assenza di punteggiatura è determinante per ottenere quell’effetto sul lettore … Potrei quasi dire che è uno strumento che ha finito per fare parte integrante della scatola degli attrezzi  della poesia contemporanea, che  alcune scrittrici, che volevano esprimere nuove realtà, scelsero  per ottenere uno dei suoi più ricorrenti effetti speciali. 
            E  Zoé continua imperterrita, dopo aver preso fiato, mentre assaggia  svogliatamente l’antipasto, che tiene, invece, occupati i due accompagnatori:  - … e, nella diversità di voci e tendenze degli ultimi anni,  aggiungerei anche Hélène Dorion[14] … Converrà, converrete … che la scrittura al femminile è stata prevalentemente scrittura dell’intimo, ma quando il nuovo rapporto con il proprio corpo diventò poi  rivendicazione …
          -Eh, già … il privato è politico  … -  riesce a farfugliare Bellini.
Ma Zoé non ha nessuna intenzione di cedere il campo e continua, mangiucchiando distrattamente: “… e che dire del rapporto del testo con la realtà? Ho  visto a volte stravolgere  il codice linguistico, altre volte  esprimersi  addirittura aldilà dei codici, in un continuo adattamento …”
        - Il che, in letteratura  … - Bellini cerca nuovamente di intervenire, ma Zoé riprende senza lasciargliene il tempo, sia pure con una certa grazia e delle piccole astuzie seduttive che frenano il povero Fosco.
       ‘Quando fa così, è decisamente insopportabile! - pensa Gordon, seguendo la scena e gli scappa un  sorriso. Comunque, peggio per Bellini! Non ho nessuna intenzione di andar in suo aiuto.’
         E continua a bere e ad ascoltare senza dire nulla.
         Ecco la poesia della Dorion, alla quale Zoé sta pensando e di cui cita a memoria alcuni versi:

Da qui muove la luce. Guarda[15]

Da qui muove la luce. Guarda
il vuoto che pesa sulla spalla
sparso fra le finestre

Cerca ciò che tu chiami l’impossibile
mosaico silenzioso del viaggio
e la lampada che si direbbe bruciata
dal tempo. Guarda solo la stanza
dove risuona la tua vita. L’ombra mai vista
visibile ora, negli occhi della sera.
                         *
Fra tutte le terre, il centro, la casa
più al centro, il giardino: canaletti
che tu sarchi, vanga dell’anima
che attira a te il sole
le acque delle piogge sui petali
appena sbocciati. Nel cuore di questo mondo
la carne annerita del nome, teatro delle cose
che tu abbandoni ai venti. Quale uccello nasce
dall’uccello ferito? Tu rifai la tua dimora
ogni giorno,  immaginiamo il  suolo
sotto la mano, l’albero alto delle stagioni
il cielo piantato nella finestra, il gesto superbo
                               *
Qui la scala da dove sale
e ridiscende la storia, in questo dettaglio
che tu incarni. Parole spinte
dietro al silenzio. Poco importa
lo spazio lasciato a te stessa      

- e resta in sospeso tra i muri, lo scricchiolio degli oggetti –
vedi la finestra, là si agita il mondo
un vento d’alba, e le note del piano
lentamente volteggiano.

Posi il piede, è il mare
che ti scioglie. Dimentichi quasi la piaga
la pietra che giace, sul filo della memoria.
Da anni guardi i rami
come radici, che finalmente si avvicinano.

          - È bella! – esclama subito Fosco, ammirato – Direi,  una voce umana che parla di dubbio, solitudine; la voce di un amante e la sua paura. Luce e ombra, morte e rinascita, dal personale all’universale … 
         -Una tenera dedica a un essere caro che soffre, ma resta generoso e forte?- azzarda, quasi senza volere, Gordon.
        - No - decisa Zoé interrompe entrambi - Credo invece di poterla interpretare come la storia di una ricerca interiore, il cammino di chi ha un passato sofferto che non riesce veramente a superare, anzi di cui tende a restare prigioniero, pur essendo sulla buona strada per tenerlo sotto controllo:  “… i rami/come radici che finalmente si avvicinano ”. Altrove gli imperativi sembrano sollecitazioni della poetessa che indica la rotta, anche se poi resta spettatrice del lavorio compiuto dal personaggio, l’osserva, si interroga sull’esito, mentre continua a suggerirgli di non chiudersi in sé stesso. ’‘Là” dove dovrebbe guardare, si oppone al  “qui” dove egli si rinchiude, addirittura negandosi …
         -Una poesia che invita alla rilettura, diciamo - conclude Fosco un po’ stizzito.
 Una poesia, dunque, che invita alla rilettura, come quella di Anne Michaels[16], di cui Bellini ha parlato nel suo intervento del pomeriggio, in qualità di traduttore italiano, quando ha detto, citando la poetessa:
"Il poeta parte dalla vita per arrivare al linguaggio, il traduttore parte dal linguaggio per arrivare alla vita; entrambi, come l'immigrante, tentano di dare un volto all'invisibile, a quello che c'è tra le righe, alle implicazioni misteriose"[17]
      La poesia di per sé presuppone sempre un ritmo di lettura più lento rispetto alla prosa; il linguaggio lirico è preciso, non vago; proprio perché è sintetico, è intenso e il ritmo scelto dall’autore può controllare il coinvolgimento del lettore nel testo. Nel caso della Michaels, per esempio, la cui lingua materna è lo yiddish, l’autrice diviene la prima traduttrice di se stessa. Ma se è dell’orrore, della shoah che ha voluto parlare,  se ha voluto scrivere la vita, raccontare del proprio doloroso passato in una lingua estranea, ha determinato  una sorta di distanza, producendo  un’osservazione più attenta di vicende umane il cui significato si è fatto in questo modo universale.
Canadese di Toronto, ”la città dove tutti vengono da un altrove,”[18] figlia di esuli ebrei polacchi, è ormai conosciuta,[19]come Bellini ha fatto notare, anche per le sue raccolte di versi. La sua poesia  è ricerca appassionata di un senso[20], ma con un’originalità di narrazione, un lessico inconsueto e un’audacia di stile in cui cuore e testa,  corpo e spirito si fondono ricordandoci il pensiero sentito dei poeti metafisici inglesi[21]. Vita – memoria- scrittura sono tenute insieme, nella sua poesia, dall’elemento  temporale.
        Secondo la Michaels, il tempo modifica la Storia in modo definitivo, rendendola amorale  e ingannevole.  La memoria, al contrario,  rende eterno il significato della Storia, attraverso lo strumento della scrittura o di altri linguaggi.    La memoria è ciò che ricordiamo consapevolmente ed è, dunque, morale.
        Quella che segue è una citazione da una delle poesie, insolitamente lunghe, pezzi di storie o frammenti di biografie,  di Anne Michaels, intitolata:

Parole per il corpo[22]

Qualunque scoperta di forma è un momento di memoria,
esistente come il momento storico – solo,
e esistente nella storia – lineare,
in musica, nella frase.
Ogni poesia, ogni brano ci ricorda perfettamente,
nel modo in cui la terra ricorda i nostri corpi,
nel modo in cui l’uomo e la donna nel congiungersi
si ricordano reciprocamente prima che fossero separati.

Sono più di venticinque anni e ogni poesia d’amore
dice come la tua musica e le mie parole siano la stessa cosa:
in lode dell’aria comune, del motivo, della memoria.

La lode della memoria è lode del corpo
.                                                                    

E io mi ritrovo a descrivere
Il congiungersi di occhi e fianchi,
il rifugio di lombi e labbra,

come il cantare di due piccoli corpi in una forra buia,
come due piccoli corpi
che sostengono il cielo notturno in un campo d’inverno.

      L’amore, in questi frammenti biografici, dove prevale un senso generale di incompiutezza, diviene l’unico elemento realizzato, l’ unica possibilità di salvezza dal dolore:

In arrivo[23]

Sarà in una stazione
con il tetto di vetro
sudicio della fuliggine
di tutti i treni e 
si abbracceranno per ogni miglio
dall’arrivo.  Non si lasceranno
andare, non per tutta la lunga strada,
il braccio di lui nella curva
del desiderio di lei. Camminare in una città
che nessuno dei due conosce troppo bene,
guardando donne con borsoni
dare monete a un  prete per i veterani di guerra;
scoprire la veduta della chiesa da un buco di serratura
in un vecchio muro  attraverso la città, la cupola
iscritta con precisione nel foro,
come un occhio. Nella casa
 dell’inverno, sotto una terra
 di coperte, lui le scalda la pelle
mentre lei risale dall’aria.

C’è un modo in cui i nostri corpi
Non sono nostri, e quando lui la trova
c’è finalmente posto
 per tutti quelli che amano,
 il luogo che lui trova,
lei trova, ogni parola di pelle
una decisione.

C’è terra
che non lascia mai le tue mani,
pioggia che non lascia mai
le tue ossa. Parole così vecchie che si staccano
da noi, perché possono solo essere
staccate. Loro non si lasceranno
andare, perché un pezzetto d’amore
si è staccato dall’amore,
come pietrisco,
 dalla pietra,
pioggia dalla pioggia,
come il mare
 dal mare.
    
         Nel frattempo, Zoé,  Gordon e  Fosco hanno già scelto il dessert e sono in attesa dei caffè più o meno ristretti; la conversazione comincia a sfilacciarsi e ognuno sembra perso in un proprio pensiero …
          Quando finalmente termina la cena, Bellini, ormai stanco e visibilmente provato, si scusa, saluta gli amici e si dilegua rapidamente alla ricerca di un taxi per tornare in albergo, lasciando gli altri due apparentemente indecisi sul da farsi.
        A Gordon  piace camminare dopo un pomeriggio seduto al chiuso , le lunghe gambe costrette dal sedile davanti, e gli piace camminare per Londra la notte con i taxi neri che sfrecciano, le insegne dei locali, le sagome scure delle case e le luci sull’asfalto. Stasera con qualcuno speciale accanto.  Insieme a Zoé, dunque, raggiunge un caffè poco distante.
       -Niente poesia, Zoé. D’accordo?
       -Sì, sì, hai ragione. E poi  … è da tanto che volevo parlarti.
        - Anch’io, e pare proprio che ormai … non possiamo evitarlo.
        -Senti Gordon, ci sto pensando da quella sera a Copenhagen … poi tutto si è così complicato. Mi sono sentita così vicina a te e poi, però, laggiù in Argentina di nuovo così distante che... Cioè, quello che voglio dirti è che non vorrei, per l’ennesima volta nella mia vita, aver strafatto, aver prevaricato … 
        -Beh, hai appena distrutto Bellini, ma in questo caso me ne compiaccio!
        -Dai, Gordon. Ascolta … So di essere insopportabile in quei momenti, ma è più forte di me. Con gli uomini, soprattutto.
       -Sì, l’ho notato: non posso negarlo – e sorridendo aggiunge- e, in effetti, ora che ci penso, c’era già qualcosa di questo tipo quando ti ho incontrato tanti anni fa …
        -Mah!- a Zoé sfugge un sospiro e continua – Vedi, a forza di sentir parlare mia madre -Gli uomini sono tutti uguali! Non permettere a nessuno di dire l’ultima parola!!-,alla fine, si cerca qualcosa, un mezzo, un’arma per sopravvivere, per non soffrire …  Sai, non ho mai conosciuto mio padre e quel che è peggio è che, per tutto il tempo che ho vissuto con mia madre, non ho mai visto nessun uomo in quella casa. Né zii, cugini, nonni, amici. Nessuno. Un mondo interamente al femminile, anzi un mondo fatto soprattutto da lei. Neanche se ne parlava di uomini, se non in quei termini. Di mio padre, insomma non ne so quasi nulla.
       -Zoé, non credere … Troppe assenze per qualcuno, troppe presenze per altri. Io ce li ho avuti un padre e una madre, ma erano una coppia così perfetta e autosufficiente, si amavano così tanto che mi sono sempre sentito un intruso. Eppure a modo loro sono stati affettuosi. Poi, però, lo sai, non ho avuto figli, anche se mia moglie ne avrebbe voluti … chissà?  Non l’ho fatto. Forse, per paura di creare  intrusi, come me.
           -Amavi così tanto tua moglie?
           - No, Zoé, non è così la storia … Non vorrei che ti creassi un’immagine falsa di me. Sono stato crudele con  mia moglie. L’ho fatta soffrire. Volutamente …
          - Gordon … dobbiamo dirci un mucchio di cose.
         -Ci sarà tempo, se ci va. Intanto, riprendiamo da dove avevamo interrotto a Copenaghen …
          E senza poter più a lungo controllare  quello che da un pezzo lo sta ossessionando, Gordon, terrorizzato,  sente la sua voce dire: -Zoé, credo di amarti.  - Per poi cercare di arginare con un -.. ma non sono sicuro di saperti rendere felice...
          -Oh, Gordon, ma se  è per questo, neanch’io. – risponde subito Zoé, guardandolo dritto negli occhi -Faremo del nostro meglio, comunque …. Anch’io ti amo.
          - … Ehr … ci vuole qualcosa di forte! Che ne dici?  Va bene anche per te?
                    Poi, le ore, dopo queste prime battute, scorrono, ma nessuno dei due ha la minima percezione del tempo passatoHanno parlato un po’ della loro vita, del lavoro, delle case dove hanno vissuto negli ultimi anni, della nuova casa di Zoé, finalmente trovata grazie a Bertrand; hanno ricordato quell’incontro di tanti anni fa, le poche lettere di Zoé, le gelosie inconfessate, il dimenticare senza accorgersene tra mille cose nuove …
        -Eri bella, ma con l’aria di quella che aveva già tante esperienze … e noi, poveri cristi, che speravamo in uno sguardo.
       -Dai! Intanto non è vero: non pensavo che tu fossi un povero cristo! Anzi, mi piaceva il fatto che non ci provavi come gli altri  Comunque, altre vite, altre persone. Faccio fatica a pensare che noi siamo quelli.
- No, non ci son più quei due! Ci sono state tante altre cose, altri giorni, altre notti. “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia”[24]-comincia a citare Gordon, con voce impostata, per poi, insieme a lei, ad una sola voce, concludere: -“… è tempo di morire!” e finalmente ridere. Insieme.
       Guardandolo teneramente Zoé comincia a camminargli accanto in cerca di un taxi con cui raggiungere  la casa di lui.
       -È questa la famosa tana,  il posto in cui vivi?
        -Quello in cui ogni tanto vivo. Sì.
        -C’è odore di toast … mi piace!- e il suo sguardo vaga per la stanza, si posa sulle poche foto, sui libri accatastati, sui disegni incorniciati, sulla scrivania stracolma di volumi e fogli. Loro due sono lì accanto, in piedi e vicini; la notte ha ingoiato il parco aldilà della finestra e dietro le tende affiora l’immagine di un uomo e una donna e del loro desiderio.
         Gordon le sfiora il viso con la mano e, quando infine si baciano, continuano a lungo a cercare ciascuno le labbra dell’altro, e a esplorare i loro corpi finalmente vicini.
         Il rapido e inaspettato uscir di scena di uno dei protagonisti, però, rimescolerà di nuovo tutta la situazione.
         Zoé si è, infatti, come improvvisamente incupita e invece di rispondere all’ultimo abbraccio pieno di aspettative di Gordon  si scosta e lo allontana da sé, mormorando in fretta: -No, no. Dammi un po’ di tempo. Mi dispiace, Gordon, scusami. Non riesco a rilassarmi … Lo sai devo ripartire tra qualche ora… Mi dispiace, davvero! Devo tornare in hotel … Vieni venerdì a Parigi: mi aiuterai durante il trasloco e staremo insieme. Ora, chiamami un taxi, per favore. Per favore, Gordon … No, no, non accompagnarmi …




[1]Josée Yvon, regista e sceneggiatrice occasionale, traduttrice, insegnante di letteratura e critica letteraria, nasce a Montréal, Québec, nel 1950 e muore di Aids nella stessa città nel 1994. In tutti i suoi lavori ha denunciato l’oppressione sociale e rappresentato la marginalità e la sessualità attraverso l’uso di immagini violente, talvolta apertamente pornografiche, e un linguaggio fortemente popolare.
[2] Josée Yvon, « Quanti romanzi di madonne annamite », in Couleur femmes, Le Castor Astral/Le NouvelAthanor, Paris, 2010.Trad. di Maria Gabriella Bruni. Le Maîtresses Cherokee della raccolta sono quattro lesbiche vittime dell’intolleranza sociale e maschilista.
[3]Caserme, ma anche il nome di un locale di Montréal frequentato da omosessuali. 
[4]Denise Desautels nasce a Montréal, Québec, Canada, nel 1945. Autrice prolifica, molto attiva nel mondo delle lettere, è cofondatrice di una casa editrice e insegnante; ha collaborato con molti artisti visivi e ricevuto importanti premi e riconoscimenti.
[5] Denise Desautels, «  Sognare Québec voi dite », in Couleur Femmes, op.cit.; trad. di  Maria  Gabriella Bruni.
[6] Il primo convento delle Orsoline in Quebec fu fondato nel 1639, agli inizi della sua colonizzazione da parte dei Francesi.
[7] Nel 1759, dopo più di due mesi di assedio, il Quebec capitola davanti agli attacchi degli Inglesi. L’eroico Montcalm, responsabile della difesa, aveva giocato una difficile partita contro un potente nemico, e la mancanza di cibo e armi adeguate, ma i Canadesi crollarono in un quarto d’ora per un’imboscata. Quando Montcalm morì, seguì una grossa confusione e molti fuggirono via. La sensazione fu quella che l’intera Francia, insieme a Montcalm, fosse morta. Fu, in effetti, l’inizio della fine e dopo un mese anche Montréal fu conquistata dagli Inglesi.  
[8] È il primo parco urbano storico del Canada; sorge sui luoghi dell’assedio del 1759. È chiamato anche Plains de Abraham ed è luogo amato dai Quebecois, che lo frequentano per prendere il sole o praticare attività sportive.
[9] Da Esodo 7:19, in cui Dio spinge  Mosè a chiedere al Faraone la libertà per Israele,  sapendo bene che sarà rifiutata. In tal modo Dio provocherà una giusta punizione e potrà distruggere l’Egitto.
[10] Il lungo viale di Montréal (Km 8,5) che va da Sud verso Nord.
[11] Catherine Lalonde nasce a Montréal, Québec, Canada, nel 1974. Autrice precoce (pubblica il suo primo libro a 16 anni), critica e poeta, insegna educazione fisica e danza contemporanea. Nel 2009 le è stato conferito il premio Èmile Nelligan.
[12] Catherine Lalonde,”Ti mostro me stessa e la mia decorazione interiore,Cfr.  Corps  étranger, ©Québec Amérique / La Passe du Vent , In Couleur Femmes, op. cit. Trad. di Maria  Gabriella  Bruni.
[13] La tire Sainte Catherine: sciroppo d’acero, colato sulla neve fino a farne una granatina candita e appiccicosa che si vende il 25 novembre durante la festa di Santa Caterina. Oggi anche una caramella di melassa.
[14] Hélène Dorion nasce a Québec, Québec, Canada, nel 1958.Laureata in filosofia e letteratura, ha pubblicato una ventina di opere. Una retrospettiva della sua opera è stata curata dalle edizioni dell’Hexagone, col titolo Mondes fragiles, choses frêles. Poèmes 1983-2000( Mondi fragili, cose delicate. Poesie 1983-2000), 2006. Ha ricevuto molti premi letterari e riconoscimenti.
[15] H. Dorion, « Da qui muove la luce. Guarda»,da  Ravir: les lieux,La Différence ,in  Couleur Femmes ,Op. Cit .Trad. di Maria Gabriella  Bruni.
[16]Anne Michaels, nasce a Toronto ,Ontario, Canada, nel 1958.
[17]  Anne Michaels,”Parole per il corpo”in In fuga, 2001, Giunti,  Firenze; pag. 96.
[18] “il caravanserraglio di suoni e colori, dove la ricerca del senso dell’essere deve ricondurre all’uomo”. DaLa seconda storia di Francesca Romana Paci, in In fuga, ibidem.
[19] Ottenne un grande successo con il romanzo  In fuga, una specie di canto alla ritrovata possibilità di amare dopo l’Olocausto.
[20] Cfr. La tradizione europea del Novecento tra le due guerre.
[21] Sec XVII.
[22] Anne Michaels, dalla prima raccolta poetica, A peso delle arance del 1986, pubblicata in Quello che la luce insegna, a cura di Francesca Romana Paci, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze,2001.
[23] Anne Michaels, “In arrivo” ( 1999) dalla terza raccolta di poesie,  pubblicata in ibidem.
[24] Dal monologo finale dal film:”Blade runner”di Ridley Scott (1982).