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venerdì 6 maggio 2016

cucina veneziana.

La cucina veneziana

Una città come Venezia, che ha da sempre mantenuto contatti sia con l'entroterra, sia con paesi diversi e lontani, presenta nella sua tradizione culinaria una varietà di piatti legata alla diversa provenienza degli ingredienti.
Ecco quindi che vediamo giungere a tavola il baccalà dalle rotte del Baltico, le spezie preziose dalle carovane dell'Asia ma anche le verdure fresche dalle isole dell'estuario, il pesce dalla laguna e la selvaggina cacciata in barena. Gia verso il 1000, Venezia diffonde in tutte le regioni usi e abitudini alimentari dei popoli con i quali intratteneva rapporti d'affari. Ecco quindi che, ancora oggi, l'uso delle spezie è la caratteristica fondamentale della cucina veneta, che unifica le molteplicità delle tradizioni gastronomiche legate al territorio. La cucina veneziana, fatta di ingredienti poveri, diventa addirittura raffinata con l'utilizzo delle spezie.
I tradizionali cereali in uso fin dai tempi dei romani, come il frumento, la segale, il farro, l'avena, l'orzo, il miglio, vengono affiancati o sostituiti dal mais americano e dalla patata. Il mais trova accoglienza e coltivazione inizialmente solo nel territorio di Schio ma poi si stende ed inizia così nel Veneto l'era della polenta. Altri alimenti nuovi che si inseriscono portando l'innovazione della cucina sono il pomodoro, i fagioli, i peperoni, le melanzane e il tacchino.
Anche il riso, si propone e impone tra i piatti veneti. Arrivato dal mondo arabo è diventato ben presto il punto di forza della cucina veneziana. La più celebre delle minestre veneziane è i risi e bisi, che il Doge era tenuto a mangiare il giorno di San Marco seguendo un preciso cerimoniale.
Tra i primi piatti caratteristici, c'è la pasta e fasioi, piatto contadino diffusissimo e molto apprezzato a Venezia.
In contrasto forse con l'idea diffusa degli italiani come mangiatori di pasta e spaghetti, a Venezia, l'unica pasta tradizionale sono i bigoli,  la  cui preparazione era tradizionalmente affidata agli uomini, vista la durezza dell'impasto.
Tra i secondi piatti più tipici e noti al mondo, c'è il famoso fegato alla veneziana. I romani lo cucinavano con i fichi per addolcire il retrogusto amarognolo della carne, i veneziani hanno adottato invece la cottura con le cipolle. 
 
Raffinata, delicata, non difficile da fare: prova a casa tua la ricetta del Baccalà Mantecato!
  • Dosi Per
    4 persone
  • Tempo Totale
    40 Minuti
Il baccalà mantecato alla veneziana è una ricetta tipica della tradizione culinaria di Venezia.
E’ una ricetta molto raffinata e delicata che esalta il gusto del baccalà e impreziosisce un alimento considerato “povero” elevandolo a piatto gourmet che ha conquistato il mondo della cucina!
Preparato con stoccafisso, cioè merluzzo artico di origine norvegese conservato attraverso l’essicazione con aria fredda, il baccalà viene cotto e ridotto in crema e poi servito con polentina bianca o crostini di polenta.

Preparazione
Per la ricetta, cercate di procurarvi lo Stoccafisso ragno, ossia lo stoccafisso di prima scelta. Si tratta di un pesce che pesa al massimo 700-800 gr ed è lungo almeno 80-90 cm.
E’ anche consigliato l’uso della planetaria, ossia una macchina che monta e amalgama, spesso usata in pasticceria. Altrimenti dovrete montare il composto a mano.

Ingredienti

  • 750 gr stoccafisso
  • 500 gr latte intero
  • 1500 gr acqua
  • 1 lt olio di arachidi
  • q.b. sale
  • q.b. pepe

Procedimento

  1. Mettete in ammollo lo stoccafisso in acqua fresca per almeno 2 giorni. Quindi pulitelo, rimuovendo spine e pelle.
  2. Mettetelo in una pentola con l’acqua ed il latte e fate cuocere finché il liquido non bolle; a questo punto regolate al minimo la fiamma e fate cuocere per 25 minuti al massimo.
  3. Togliete il tutto dal fuoco e fatelo raffreddare per almeno mezz’ora.
  4. Togliete il baccalà dal liquido e tenetelo a parte. Conservate anche 1/2 litro di liquido.
  5. Passate nel mixer il baccalà, poi ponetelo nella planetaria insieme ad un po’ di olio di arachidi e iniziate a montare.
  6. Aggiungete un po’ di liquido di cottura, poi un altro po’ di olio di arachidi, poi (se serve) ancora del liquido di cottura, continuando finché l’olio non è terminato.
  7. Aggiustate di sale e di pepe e amalgamate il composto con una spatola per non farlo smontare. Quindi coprite con pellicola e conservate in frigo a 4 gradi.
  8. Servite il baccalà mantecato con della polenta e un po’ di erba cipollina. Buon appetito!

Un viaggio nel tempo: il Caffè Greco di Roma..




    
                     






                     IL CAFFE’ GRECO
                             

È un privilegio poter stare seduto al caffè tutto il giorno e anche la notte, in mezzo a gente di ogni ceto. È l'unico luogo dove il discorso crea la realtà, dove nascono piani giganteschi, sogni utopistici e congiure anarchiche, senza che si debba lasciare la propria sedia" (Montesquieu)
I Caffè letterari hanno caratterizzato la vita intellettuale in molte città europee per più di tre secoli, anche se il loro periodo d'oro è stato nella seconda metà del XIX secolo.
Davanti alle tazzine fumanti di caffè si sono intrecciate discussioni filosofiche e artistiche, sono nati manifesti politici e letterari, sono stati organizzati complotti, tanto che "non si potrebbe scrivere una pagina di storia né letteraria né artistica dell'Ottocento senza citare il nome di un Caffè" (P. Bargellini).
Secondo solo al Florian di Venezia, vanta una storia densa di popolarità al pari del Procope di Parigi. Impossibile parlare di caffè letterari senza rifarsi all’idea di Europa dell’epoca. Steiner identifica questa caffetteria come l’emblema della comunione fra l’intellettuale, assiduo frequentatore del locale, e cultura europea, molti secoli prima di quanto è stato realizzato attraverso i canali dell’Unione Europea dal 2000 in poi. Il più famoso Caffè letterario di Roma è dunque il Caffè Greco, in Via Condotti, poco lontano da Piazza di Spagna. È anche il più antico. Nasce ufficialmente nel 1760, quando in un documento appare il nome del suo proprietario "Nicola di Maddalena caffettiere, levantino" (e questo spiega perché si chiama Greco). Le prime notizie sul Caffè Greco sono ravvisabili nello Stato delle Anime del 1760 nel quale risulta gestore e forse anche proprietario un "Nicola di Madalena caffettiere", dato che trova riscontro anche in un documento proveniente dalla parrocchia diSsan Lorenzo in Lucina e conservato presso l'Archivio del Vicariato. La prima sicura testimonianza sul Caffè Greco viene attribuita a Pierre  Prudhon, che ne fa menzione in una sua lettera personale a Cesare Pascarella . Ma forse già esisteva da alcuni anni: sarebbe infatti il "Caffè di strada Condotta" citato nel 1743 da Giacomo Casanova .Tra Seicento e Settecento questo specifico tipo di locale, il caffè, aprì le porte all’arte, al teatro, alla letteratura. Nei salotti di tutta Europa la verve creativa si materializzò segnandone il passo per sempre. Le botteghe erano saloon, osterie e cabaret. Vi era spazio per compagnie teatrali e fervidi ingegni. La fondazione dell’Antico Caffè Greco risalirebbe al 1760, ancora secondo lo “Stato delle Anime”, in concorrenza con l’offerta parigina e londinese. Il proprietario utilizzò sempre vero caffè, senza mischiarlo con ceci o altri alimenti. Inoltre, lo offrì ai suoi ospiti in tazzine piccole, come quelle odierne, raddoppiandone il prezzo. Sei anni più tardi nacque il periodico “Il Caffè” e i giornali divennero presenza fissa nelle sale di questa “bottega”. Tradizione mantenuta nei secoli, tra l’altro, quasi ovunque. Tra i noti personaggi che furono clienti del locale, ci fu Giacomo Casanova: giovane abate al servizio del cardinale Acquaviva, trovandosi a passeggiare per la Strada Condotta, come si chiamava precedentemente via dei Condotti, dove fu chiamato dal cardinale Gama che, seduto ad un tavolo del caffè con altri abati, lo invitò a fare loro compagnia. Sembra che si intrattennero scambiandosi storie e racconti lontani dall’austerità consona al loro abito. In questa occasione Casanova scambiò per una donna vestita da uomo Giuseppe Ricciarelli anche conosciuto come Beppino della Mammana. Lo disse al Gama il quale ridendo affermò che Beppino era un famoso castrato dopodiché glielo presentò raccontando, l’equivoco in cui Casanova era caduto. A questo punto pare che il nuovo arrivato abbia proposto a Casanova di passare una notte con lui promettendogli di ricoprire sia il ruolo di ragazza che quello di ragazzo.
Caffè Greco è un luogo di Roma a cui tutti siamo in qualche modo affezionati, mi ricordo le sere con Palazzeschi, De Pisis, dopo cena: allora si andava sempre dopo cena, nel 1937-38; ci andava anche Moravia poi ad una certa ora, verso le undici. [...] In questo quadro c'è un elemento catalizzatore, Giorgio de Chirico, anche se il fascino del luogo nasce anche dalla gente che ci è passata, da Buffalo Bill a Gabriele d'Annunzio" (R. Guttuso)
Col passare del tempo, la clientela diventa sempre più internazionale e sempre più, variegata: qui si incontrano i personaggi più creativi e brillanti d'Europa, cosicché è quasi impossibile ricordare i nomi di tutti i 'grandi' che si sono seduti ai tavoli di questo Caffè.                   
Il Caffè Greco divenne il ritrovo preferito di artisti e intellettuali tedeschi che si trovavano a operare in Italia. A documentazione del fatto, vi sono tra gli altri gli schizzi e ritratti a matita eseguiti da  Carl Philipp Fohr  in preparazione di un quadro mai realizzato a causa della morte dell'artista, annegato nel Tevere. Gli schizzi, conservati a Heidelberg e a Francoforte, sono ambientati nel Caffè Greco e raffigurano tra gli altri il tirolese Joseph Anton Koch, il poeta J.M.Friedrich Rückert, Theodor Rehbenitz, Peter Cornelius, J.F. Overbeck che gioca a scacchi con Philipp Veit, e J.N. Schaller. Altri frequentatori erano il filosofo Schopenauer ed Ernst Theodor Hoffmann. Era dunque diventato famoso ad opera dei tedeschi, che avevano cominciato a frequentarlo nel 1779. Wolfgang Goethe e i suoi amici Johann Wilhelm Tischbein, Karl Philipp Moritz e Jakob Wilhelm Heinse stanno sempre lì, al punto che Heinse propone di chiamarlo "Caffè Tedesco".  Il  Caffè divenne poi in generale un punto di incontro per personalità intellettuali e politiche: Gioacchino Pecci, futuro papa Leone XIII, fu un assiduo frequentatore del Caffè(l, a foto e la lettera relative al papa si trovano affianco ad una foto e ad una lettera riguardanti Lisztche si dice abbia conosciuto il Ppa in quel caffè. Così come lo fu Silvio Pellico.Si racconta anche  un aneddoto riguardante un famoso cliente occasionale della caffetteria:  Henry Beyle più noto con lo pseudonimo di Stendhal che varcò la soglia dell’Antico Caffè Greco per cercarvi il suo sosia. Precedentemente lo scrittore francese a Terni era stato scambiato per il pittore Stefano Forby e per tale motivo era stato trattato con grandissima cortesia. Stendhal aveva cercato di chiarire l’equivoco ma non vi era riuscito tanto era somigliante al Forby. Giunto a Roma lo scrittore aveva saputo che il suo sosia era un frequentatore della famosa caffetteria e vi si era recato, curioso di incontrarlo. Il vederlo però gli aveva provocato una grande delusione in quanto il pittore era molto brutto.. Molte opere letterarie immortali furono scritte ai tavoli del Caffè Greco: le “Anime morte” di Nicolaj Gogol’ ne sono un esempio.La caffetteria è famosa anche per tante altre importanti personalità che lo hanno frequentato nel corso degli anni come Massimo D’Azeglio, Luigi di Baviera, Buffalo Bill, Ennio Flaiano, Aldo Palazzeschi, Cesare Pascarella, Richard Wagner, Orson Welles, Edvard Grieg e molti altri ancora. E ancora letterati e filosofi tra cui Hans Christian Andersen, George Byron, Gabriele D'Annunzio, René de ChateaubriandEnnio Flaiano, Nathaniel Hawthorne, Henry James, Giacomo Leopardi, Adam Mickiewicz, Sandro Penna, Percy B. Shelley, Hippolyte Tayne, Mark Twain. Arthur Schopenhauer, che portava sempre con sé un barboncino bianco che chiamava Atma ( anima del mondo,nella caffetteria rischiò di essere aggredito dal gruppo dei Nazareni, per avere insultato la Germania: per lui era la nazione più stupida della Terra, l’unica superiorità  che le riconosceva era quella di poter fare a meno della religione.
Scultori e pittori come Antonio Canova, Jean Baptiste Corot, Hippolyte Delaroche, Anselm Feuerbach, Jean A. Ingres, e, agli inizi dell'Ottocento, è facile incontrarci il principe Ludwig di Baviera e il gruppo di pittori da lui protetti,con  Friederich Overbeck  e i Nazareni, Giulio Aristide Sartorio, Berthel Thorvaldsen, Horace e Charles Vernet. Alcuni pittori hanno lasciato il segno della loro presenza nei numerosissimi quadri che decorano le pareti delle sale interne, trasformate in una piccola pinacoteca: tra i tanti, Ippolito Caffi, Vincenzo Camuccini, Franz Ludwig Catel, Jakob Philipp Hackert (attr.), Angelica Kauffmann, Antonio Mancini. 
E musicisti, come Hector Berlioz, George Bizet, Franz Liszt, Jacob Mendelssohn, Gioacchino Rossini, Giovanni Sgambati, Arturo Toscanini, Richard Wagner. Tra i clienti, anche Buffalo Bill, Orson Welles  (e molti altri … è impossibile ricordarli tutti!).
 Oltre all'origine storica, il caffè è inoltre famoso per i molti frequentatori famosi avuti nel corso degli anni; è stato per molto tempo, e in parte lo è tuttora, un ritrovo di intellettuali e goliardi. Vi si riunisce, ogni primo mercoledì del mese, il "Gruppo dei Romanisti", antico cenacolo di studiosi e accademici cultori in particolare della città di Roma. Dal 1940 i loro lavori sono raccolti nel volume "Strenna dei Romanisti", pubblicato ogni anno in occasione del Natale dell'Urbe (21 aprile). L'Antico Caffè Greco di Roma, con oltre 300 opere esposte nelle sale, è la più grande galleria d'arte privata aperta al pubblico esistente al mondo.
Il locale, ancora in attività ,conserva tuttora il suo aspetto ottocentesco.
Dal 1953 il Caffè Greco è  infatti sottoposto a "vincolo" da parte dello Stato perché "più volte abbellito con decorazioni e cimeli di interesse storico ed artistico, costituisce oggi un vario e pregevole esempio di pubblico ritrovo sviluppatosi, attraverso più di due secoli di vita, per la ininterrotta consuetudine da parte di artisti di ogni paese di frequentare le sue ospitali e raccolte salette, avendo rappresentato in Roma, per più di duecento anni, un centro di vita artistica universalmente noto".
 
                                                                           


















giovedì 5 maggio 2016

E se andassimo in Liguria? certamente un piatto col pesto,ma quale?





Ingredienti per la pasta
 
 Bavette   350 g
Fagiolini  200 g
Patate       250 g
Olio d'oliva extravergine 30 g
Per il pesto alla genovese
  Aglio 2 spicchi
  Sale marino grosso 1 pizzico
  Olio extravergine 100 ml
  Basilico foglie 50 g
  Pecorino grattuggiato 30 g
  Pinoli  15 g
  Parmigiano reggiano grattugiato 70 g
                                                           *°*°*°*°*
 Per preparare le bavette,ma vanno bene anche gli spaghetti sottili, al pesto,
 patate e fagiolini, iniziate dal pesto. Per preparare il pesto alla genovese,
ricordatevi che le foglie di basilico non vanno lavate sotto il getto di acqua
 ma pulite con un panno morbido oppure possono essere messe in una ciotola d’acqua fredda e sciacquate delicatamente. Ponete quindi l’aglio sbucciato
 nel mortaio insieme a qualche grano di sale grosso. Cominciate a pestare e
quando l’aglio sarà ridotto in crema aggiungete le foglie di basilico insieme
ad un pizzico di sale grosso . Schiacciate, quindi, il basilico contro le pareti
del mortaio ruotando il pestello da sinistra verso destra e contemporaneamente ruotate il mortaio in senso contrario (da destra verso sinistra) e continuate così
 fino a quando dalle foglie di basilico non uscirà un liquido verde brillante.
A questo punto aggiungete i pinoli  e ricominciate a pestare per ridurre in
 crema.
Aggiungete i formaggi un po' alla volta  che andranno a rendere ancora
più cremosa la salsa e per ultimo unite l'olio di oliva extravergine che
andrà versato a filo, mescolando continuamente con il pestello. Amalgamate
bene gli ingredienti fino ad ottenere una salsa omogenea e tenete da parte.
Lavate le patate per togliere la terra, quindi pelatele con un pelapatate

 e tagliatele a cubetti oppure a fette (rondelle) che comunque vanno
 lessate  nell'acqua della pasta ...   , poi lavate i fagiolini,spuntateli e
 una volta cotti  in acqua bollente salata (dovranno essere cotti ma
non  sfaldati) scolateli bene tenendo da  parte dell'acqua di cottura
che  servirà in seguito .In un altro tegame avete fatto cuocere al
dente in abbondante acqua salata le bavette , quindi  mettete in
una padella ampia  un po’di acqua di cottura della pasta e delle
patate  per rendere  più cremoso il tutto,un po' di quella dei
fagiolini e stemperate il tutto ,aggiungete i fagiolini con le patate
e mescolate delicatamente;subito dopo aggiungete le bavette già
scolate al dente  e accendete il fuoco  per saltare pochi istanti la
 pasta mescolando accuratamente per amalgamare  gli ingredienti .
 Impiattate e servite le vostre bavette al pesto, patate e  fagiolini ,
guarnendo i piatti con  foglie di basilico.


















































































































































































































































































































































































































































mercoledì 4 maggio 2016

...e ora siamo arrivati in Puglia ,per le orecchiette con cime di rapa.


Difficoltà: Facilissima
Cottura: 10 minuti
Preparazione: 10 minuti
Ingredienti
- 250 gr di orecchiette
- 1 mazzo di cime di rapa fresche
- 1 spicchio di aglio
- 2 spicchi di peperoncino
- 6 filetti di acciughe sotto olio
- olio d’oliva
Una ricetta regionale che è una vera istituzione per tutti gli amanti della pasta: le orecchiette con le cime di rapa! Dalla Puglia con furore, le orecchiette hanno conquistato il palato di milioni di italiani: facili da cucinare,la salsa con le cime di rapa sarà deliziosa non solo con le orecchiette, ma anche con la pasta tradizionale.
Preparazione
Lavate e pulite le cime di rapa selezionando le foglie più belle: quando le comprate fate attenzione che non siano fiorite e che le foglie siano belle verdi e vive.
Riempite di acqua una pentola molto ampia, in grado di contenere anche la pasta: portate a bollore l’acqua , aggiungeteci il sale grosso e mettetevi quindi dentro le orecchiette e le cime di rapa.
Fate cuocere i due ingredienti insieme. Intanto in una ampia padelle mettete un filo di olio, l0 spicchio di aglio e le acciughe ben ben pulite: fate cuocere il soffritto fino a quando le acciughe non si saranno sciolte, e aggiungete due spicchi di peperoncino rosso.
Quando la pasta sarà cotta, prendete una schiumarola e trasferite la pasta e le cime di rapa nella padella ben calda. Fate saltare gli ingredienti tutti insieme per alcuni minuti, in modo che la pasta si insaporisca per bene.
Ora potete ser vire per la delizia dei vostri commensali!

martedì 3 maggio 2016

Torniamo ora a Napoli,passando da Varsavia:il babà al rum





  Babà al rum


  • media la difficoltà
  • 150 m. per preparare
  • 4 h. circa per lievitare
  • 40 m. per cuocere
  • per 11 babà le dosi 




Baba' al rum
Nonostante la cucina napoletana rivendichi questo buonissimo dolce come
proprio, in realtà il babà è originario della Polonia e può vantare persino
natali regali.
L'inventore del famosissimo babà è infatti il re, o meglio lo zar di Polonia
 Stanislas Leczynski che, essendo un gran gourmet si dilettava ad inventare
sempre nuovi piatti. Sembra che il sovrano non amasse particolarmente il
kugelhupf, un dolce tipico polacco che egli trovava troppo asciutto anche
se veniva servito accompagnato da una sorta di salsa a base di vino Madera, zucchero e spezie. E non lo voleva più mangiare!
La leggenda della nascita del babà narra che un giorno Stanislas, stufo dello stucchevole dolce, l'abbia scaraventato dall'altra parte della tavola dove per
puro caso si trovava una bottiglia di rhum.
Il dolce liquore rovesciandosi sul babà emanò un profumo tale che lo zar,
dopo averlo assaggiato se ne innamorò e, essendo un lettore appassionato
de "Le mille e una notte" lo chiamò Alì Babà , come un famoso personaggio
di questi racconti.
Dalla corte del sovrano il babà venne esportato poi in Francia, a Parigi, con
il solo nome di babà e da qui, fu poi esportato a Napoli dai cosiddetti "monsù"
che prestavano i loro servigi presso le nobili famiglie partenopee.
Il babà è un dolce dalla lenta ed elaborata preparazione ma che soddisferà i
 palati più esigenti!
Ingredienti per 10 babà (65-70 gr l'uno)
Farina    manitoba fredda 300 gr
Uova    medie fredde 6 (circa 600 gr)
Sale      5 g
Zucchero 15 g
Lievito di birra   disidratato 2 gr .
Acqua   12 g.
Burro   ammorbidito 100 gr più q.b. per imburrare gli stampi
per la bagna
Acqua   1 l
Zucchero 400 g
Arance   scorza 20 gr
Limoni scorza 10 gr
Rum chiaro o scuro 200 ml
per spennellare
Confettura di albicocche 200 gr

Preparazione




Per preparare i babà' al rum, iniziate a realizzare il lievitino: sciogliete
 il lievito di birra disidratato in 13 gr di acqua  e versate il tutto in una 
ciotola dove avrete posto 15 gr di farina, presa dalla dose totale della 
ricetta ; impastate gli ingredienti fino ad ottenere un impasto morbido
ma consistente .
Adagiate l'impasto in una ciotolina, ricoprite con la pellicola trasparente
  e lasciate lievitare per almeno 30 minuti (in forno spento ma con luce 
 accesa), fino al raddoppiamento del volume iniziale . Versate la
 rimanente farina (che deve essere fredda da frigorifero) nella tazza di
 una planetaria munita di foglia (se non l'avete potete impastare a mano)
 e aggiungete il lievitino .
Rompete con una forchetta le uova, anch'esse fredde da frigorifero, per
 rompere i tuorli e mischiarli agli albumi  quindi versatele a filo sulla 
farina, mentre la planetaria è in azione ; in ultimo unite lo zucchero.
 Impastate con la foglia fino a miscelare il tutto e a sviluppare il
 glutine (15-20 minuti). L'impasto sarà pronto quando si staccherà 
dai bordi della planetaria e si attorciglierà attorno alla foglia ): così 
si sarà sviluppata la maglia glutinica che renderà l’impasto elastico. 
A questo punto togliete la foglia e montate il gancio.
Ora aggiungete un pezzo alla volta il burro, ammorbidito a temperatura
 ambiente, morbido ma non molle su cui avrete versato il sale, sempre
 mentre il gancio è in azione. Non aggiungete dell’altro burro fino a che
 non sarà stato completamente assorbito quello precedente . Dovrete 
 ottenere un composto molto morbido, elastico e opaco  (la lavorazione
 durerà altri 15-20 minuti). Con una spatola di silicone pulite i bordi
della ciotola della planetaria, quindi ricopritela con della pellicola
 trasparente e lasciate lievitare il tutto per 3 ore nel forno spento ma 
con la luce accesa .
Intanto che l'impasto lievita, preparate la bagna: ricavate 20 gr di
 scorza d'arancia e 10 gr di scorza di limone, possibilmente non
 trattata . Versate l'acqua in una pentola alta e stretta, unite lo
zucchero  e le scorze di arancia e di limone . Quando l'acqua 
bollirà e lo zucchero sarà sciolto, spegnete il fuoco e aggiungete 
il rum, così che non evapori  quindi coprite con un coperchio e 
lasciate in infusione . Passate al setaccio la confettura di albicocche,
premendone poca alla volta sulle maglie di un colino con il dorso di
 un cucchiaio, e diluitela con 2-3 cucchiai di bagna quindi tenetela
 da parte .L'impasto sarà lievitato e avrà raggiunto il bordo della
 ciotola ; imburrate molto bene e infarinate 11 stampini da babà 
delle dimensioni di 6 cm di altezza, 4 cm di diametro inferiore e 
5 cm e mezzo di diametro superiore . Sgonfiate con la mano
 l'impasto dei babà  e raccoglietene un po' in una mano . Premetelo
 nella mano, fate fuoriuscire e staccate, stringendo il pollice e l’indice,
 delle palline del peso di circa 65-70 gr. l’una che andrete a riporre 
negli appositi stampini .
Lasciate lievitare gli stampini, sempre nel forno spento ma con 
la luce accesa, fino a che l’impasto non sarà arrivato al bordo .
 Infornate a questo punto i babà nella parte più bassa del forno
tatico preriscaldato a 180° per circa 30-35 minuti (160° per 25 
minuti forno ventilato), finchè non saranno molto coloriti, quindi
estraeteli e lasciateli intiepidire; toglieteli poi dagli stampini e 
fateli raffreddare e asciugare per bene su di una gratella .
Quando i babà saranno freddi immergeteli nella bagna calda
 (40-45°), rigirandoli delicatamente con un mestolo . Quando 
sarannoben impregnati prelevateli con una schiumarola e 
strizzateli leggermente quindi poneteli a testa in giù su di una
gratella, posta sopra ad un vassoio che raccoglierà il liquido
colante . Spennellateli con la confettura di albicocche, per
renderli ben lucidi e poneteli in frigorifero dentro ad un 
contenitore chiuso ermeticamente se non li mangiate
subito.
Prima di servirli ,una bella spruzzata del loro rum e i vostri
golosissimi babà sono pronti per soddisfare il più esigente 
dei gourmets.










                                   *°*°*°*

Potete anche conservarli,sia inzuppati che no.
Il babà cotto non inzuppato va conservato in frigorifero,
in un contenitore ermetico, per una settimana; in freezer
 per 60 giorni.
Il babà non inzuppato si può anche far essiccare, lasciandolo
a temperatura ambiente su di una gratella per una notte:
in questo modo si conserva in una scatola di latta per un paio
 di mesi a temperatura ambiente.

                                                       *°*°*°*°*
Qualche dritta per   semplificare...                                      

Gli stampi antiaderenti vi aiutano parecchio nella preparazione
dei babà: se non li avete, però, non vi resta che aiutarvi da soli,
 foderando gli stampi con la carta da forno: imburrate gli stampi,
 quindi tagliate delle strisce di carta da forno alte 6 cm, sulle quali
 praticherete 4-5 taglietti verticali fermandovi a 2 cm dal bordo
e disponetele sui bordi. Per una perfetta riuscita della ricetta è
importante che tutti gli ingredienti siano freddi,anzi,addirittura
gelati! Se l’impasto si dovesse surriscaldare, sarebbe il disastro.
Quindi, nessuna paura :cominciate a lavorare solo dopo aver
lasciato la farina per un paio d’ore in frigo, insieme con le uova
che tirerete fuori all’ultimo momento). Infine, gli aromi. Il rum
 è la più classica delle profumazioninaturalmente.Ma i babà
 sono deliziosi anche al limoncello o  nella versione analcolica
 (fatta apposta soprattutto per i bambini): in questo caso, potete
 insaporire la bagna con l’aroma al limone. E mi raccomando,
niente posate! I babà si mangiano con le mani!

lunedì 2 maggio 2016

Le erbe aromatiche e le spezie della cucina siciliana.

Ingredienti principali

I prodotti della terra

Erbe aromatiche e spezie


Il fiore dello zafferano  spezia importante per la
Sicilia, venne importata dagli arabi.
Pianta dell'origano e capperi conditi delle Isole Eolie (a Lipari)
Pianta dell'origano e capperi conditi delle Isole Eolie (a Lipari)
Pianta dell' origano e capperi conditi delle Isole Eolie (a Lipari)
« La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo… »
( Guy de Maupassant)
L'aria profumata dell'isola è data da una vasta quantità di piante aromatiche diffuse sul suolo siciliano. La Sicilia, posta al centro del mar mediterraneo, gode di un clima mite, ideale per far crescere piante aromatiche e spezie.
L'alloro (addauru in siciliano) - dichiarato per la Sicilia prodotto P.A.T.  -, il basilico (basaricò o basilicò), il cappero (chiappiru o ciappiru) - tra i più noti, quello di Pantelleria , prodotto I.G.P.-, l'origano, la nepita, la menta, il finocchio selvatico, lasalvia , il timo e il rosmarino sono le piante aromatiche più diffuse su tutto il territorio regionale.
Tra le caratteristiche spezie dell'isola si trovano il fior di sale all'arancia e il fior di sale al limone: prodotti con il sale marino e i frutti degli alberi. Altra spezia significativa per l'isola è lo zafferano: introdotto dagli arabi, veniva soprannominato l'oro rosso di Sicilia; oggi è molto conosciuto perché con esso si condiscono gli arancini.




domenica 1 maggio 2016

Cucina siciliana nel Medio Evo.

Rivoluzionari nel campo culinario, senza alcuna ombra di dubbio, furono gli arabi per i siciliani. Essi infatti portarono nell'isola le loro antiche colture; tra le più note basta citare le arance e i limoni per capire quanto notevole fu il loro incremento. La già citata canna da zucchero, il riso (che ebbe da questa terra la sua diffusione successiva nel nord Italia e nel resto d'Europa) e poi una vera concentrazione nell'arte dolciaria. La cassata, i cannoli, la granita, il sorbetto, il gelato... distillarono loro per primi i liquori, ma per osservanza alle loro leggi religiose del corano, ne facevano esclusivo uso medicinale.
Inoltre in questo periodo continuava ad evolversi la produzione di pasta siciliana, vennero prodotti gli spaghetti e vengono commercializzati, formano la pasta secca, ideale per essere esportata; testimonianza lasciataci in merito dal noto geografo Idrisi:
« A ponente di Termini vi è l’abitato di Trabia, sito incantevole, ricco di acque perenni e mulini, [..] e vasti poderi nei quali si fabbricano i vermicelli in tale quantità da approviggiorarne quei territori [..] mussulmani e cristiani, dove si spediscono grandi quantità. »
(Al- Idrisi)
Un aneddoto racconta di come nei pressi di Siracusa, sotto la dominazione araba venne inventato il primo piatto mare e monti della storia, ad opera di un cuoco arabo che per sfamare l'esercito accampato nel siracusano decise di preparar loro un piatto composto da pasta con le sarde, mescolato con finocchietto selvatico e pinoli. Il piatto riuniva carboidrati, pesce e verdura.
Essendo al tempo romano e nel medioevo numerosa la presenza delle comunità ebraiche di Sicilia, essi contribuirono a lasciare le loro tradizioni culinarie ai siciliani; diffusero l'usanza del kasherut, ovvero del mangiar in maniera appropriata. A loro si deve l'introduzione dell'aglio soffritto con olio d'oliva nella salsa e il donare sapore (a tutti quei piatti poveri di condimento come generalmente sono le verdure). Essi insegnarono ai siciliani che non butta mai niente da un cibo, nemmeno la parte che appare più insignificante. Poi i normanni, provenienti dal Nord Europa, portarono nella calda terra di Sicilia un apporto per la gastronomia della selvaggina, trattandosi di abili cacciatori, con il loro arrivo le cucine siciliane si arricchirono di nuove tecniche culinarie che andavano ad aggiungersi al già nutrito repertorio siculo.
Nella seconda metà del Duecento, quando a Genova nascevano i primi pasteifici destinati alla produzione di pasta, non molti sanno che le maestranze specializzate e il grano provenivano dalla Sicilia. Purtroppo, più avanti nei secoli la storiografia tramandata orale e scritta rammendò molto raramente le vere origini del commercio della pasta, al punto tale che si arrivò a pensare che prima di Marco Polo non esistessero gli spaghetti.
« Dalla Sicilia la pasta essiccata raggiunse presto la Liguria, grazie agli scambi commerciali via mare tra le due terre: il grano duro importato dalla Sicilia veniva lavorato sulle coste liguri, dove il clima mite e ventilato costituiva garanzia per la perfetta essiccazione del prodotto lavorato. »
(L'Italia della pasta, 2003 p. 8)
Nella cucina locale ci sono anche tracce francesi, come quella dell'uso della cipolla al posto dell'aglio per salse e sughi più fini; o l'uso della pasta frolla, anch'essa introdotta tra i siciliani dai francesi.
Gli Aragonesi, nel XIII secolo, portarono nell'isola l'usanza delle preparazioni fritte e con il commercio tramite la Cina e l'India, arrivarono le melanzane, prodotto sempre presente nei piatti siculi. Con gli spagnoli infine arrivò il Pan di Spagna, elemento oggi fondamentale per le torte, specialmente per quelle località dove è usanza fare la preparazione del dolce con questo composto. Dopo la colonizzazione delle Americhe arrivarono anche i nuovi alimenti quali pomodori, cacao, mais ed altri. Anche le classiche Impanate siciliane (in uso soprattutto nella Sicilia orientale) si sono formate nel periodo spagnolo, infatti esistono anche in Spagna e li si chiamano Empanadas.