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giovedì 21 febbraio 2013

Diario di bordo. (21)





Jean de La Fontaine 
                                                                                 








                                                       Jean de la Fontaine



La raccolta  di FABLES era destinata all’educazione morale del delfino(il figlio di Luigi XIV) .La Fontaine aveva allora quarantaquattro anni e la pubblicazione gli valse un trionfo.
Forse il suo stile sintetico,dai ritmi variati che si adattano alle situazioni e ai caratteri rappresentati,forse quel non essere soggetti ,come in Molière ,del resto,che  a una sola legge,quella della natura,sono la chiave per interpretare il suo successo.
 Un esempio del suo virtuosismo nello stile ,nell’utilizzazione dei metri e dei ritmi  è esplicito nella favola che seguirà,”La giovane vedova”.Qui l’autore ci mostra che,malgrado i suoi lamenti e i suoi patetici richiami,la giovane donna non pensa proprio a morire.
Gli elementi delle sue favole sono chiari :uno sfondo appena accennato,ma sempre con le suggestioni del paesaggio di una natura serena;gli attori sono spesso del mondo degli animali,ma scelti per il possibile ravvicinamento del loro comportamento con quello degli uomini;l’intrigo si incardina in genere su un conflitto:la forma drammatica può allora essere comica o tragica,comica quando il più sciocco si lascia beffare dal più maligno,tragica quando il debole è vittima del più forte. Sì, perché come in tutte le favole,in conclusione c’è la morale:è una legge del genere. E la morale di La Fontaine  si ispira ed è vicina a quella degli Epicurei:la felicità è nella moderazione e nell’indipendenza. Evidentemente ne consegue sempre anche la condanna impietosa del più forte.

A Madame de Montespan
È la Favola un dono degli Dei, o se mortale fu quei che pel primo il bel dono trovò, ben d'un altare egli è degno e dovrìan tutti i mortali a tanto saggio offrir culto divino.
La Favola davver è un dolce incanto, per cui l'anima attenta è fatta schiava del tenue fil, che col racconto i cuori a piacimento e l'intelletto move.
O voi, non meno affascinante, Olimpia, se mai la Musa mia sedette a caso qualche volta alla mensa dei celesti, prego, allietate d'uno sguardo il canto, in cui lieto lo spirito trastulla del vostro amico. Ove a' miei versi ottenga la protezion dei vostri occhi gentili, non più l'insulto temerò del Tempo, d'ogni altra cosa struggitor perverso.
Solo da voi dovrà qualunque in Francia tiene la penna attender vita e lume. Da voi, se un raggio ne' miei versi brilla, solo deriva, che maestra e guida a rigo a rigo seguitate il canto del povero poeta. E quale al mondo può gareggiar con voi nella dottrina delle cose più belle e più gentili?
Parole e sguardi in voi sono una grazia, e ben vorrìa, se non spingesse un altro e lungo tema, in voi fissar la Musa sempre lo sguardo; ma non manca a voi chi più bene di me l'allòr vi cinga.
A me basta che il nome oggi d'Olimpia protegga il mio volume, onde sicuro vada pel mondo e dalla bieca invidia si salvi. Un libro, a cui concesso è il guardo d'Olimpia, è degno che lo legga il mondo.
Non per me questo imploro alto favore, ma pel ben della Favola, che vanta, come sapete, crediti infiniti da noi. Se la Bugia m'ottien la grazia di piacervi, o gentil, un alto tempio innalzerò devoto alla Bugia... Ma forse meglio adoprerò l'ingegno se sol per voi fabbricherò miei templi.
 (continua )



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