• Marc-Antoine Charpentier (Parigi,
1634 – Parigi,1704)
• Do maggiore -
Allegro e guerriero
• Do minore - Triste ed oscuro
• Re maggiore - Gioioso ed assai guerriero
• Re minore - Grave e devoto
• Mi maggiore - Litigioso e stridulo
• Mi minore - Effeminato, amorevole e lamentevole
• Mib maggiore - Duro e crudele
• Mib minore - Spaventoso
• Fa maggiore - Furioso ed impetuoso
• Fa minore - Oscuro e lamentevole
• Sol maggiore - Dolcemente gioioso
• Sol minore - Serio e magnifico
• La maggiore - Gioioso e rustico
• La minore - Tenero e lamentevole
• Sib maggiore - Magnifico e gioioso
• Sib minore - Oscuro e terribile
• Si maggiore - Severo e lamentevole
• Si minore - Solitario e melanconico
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L’ arte della conversazione di M. de la
Rochefoucault per aprire la discussione del pubblico sul tema del linguaggio
rinnovato, strumento per cambiare la condizione sottomessa della dama.
La conversazione era ,con la lettura,una
delle distrazioni degli habitués delle ruelles ,ovvero di quelli che
nel XVIII s. si chiameranno poi i salotti .Considerata ad un tempo come
un’arte,in questo testo è l’oggetto di un’analisi approfondita.
Quel che rende poche
persone gradevoli nella conversazione: il fatto che ognuno pensi più a quello
che egli ha l’intenzione di dire che a quel che gli altri dicono, e che non
si ascolta quasi quando si ha molta voglia di parlare. Tuttavia è necessario
ascoltare quelli che parlano; bisogna dar loro il tempo di farsi comprendere,
e sopportare anche che dicano cose inutili.
Ben lungi dal
contraddirli e dall’interromperli ,si deve, al contrario entrare nella
loro mente e nel loro gusto, mostrare che li si capisce, lodare quel
che dicono tanto quanto merita d’essere lodato e far vedere che è piuttosto
per scelta che li si loda piuttosto che per compiacenza. Per piacere agli
altri, occorre parlare di quel che essi amano, e di ciò che li tocca, evitare
le dispute su cose indifferenti e porre loro di rado domande, e non lasciar
loro mai credere che si pretende di avere più ragione di loro.
Si devono dire le cose con
un’aria più o meno seria e su temi più o meno elevati, secondo l’umore e la
capacità delle persone che si intrattengono e ceder loro lietamente il
privilegio di decidere, senza obbligarli a rispondere, quando non hanno
voglia di parlare. Dopo aver soddisfatto così ai doveri della buona
educazione, si possono esprimere i propri sentimenti, mostrando che si cerca
di appoggiarli sull’opinione di coloro che ascoltano ,senza atteggiamenti di
presunzione né di ostinazione.
Evitiamo soprattutto di parlare spesso di noi
stessi e di porci come esempio. niente è più sgradevole di un uomo che cita
se stesso ad ogni proposito.
Non si può nemmeno applicarsi troppo a
conoscere l’inclinazione e la capacità intellettiva di quelli a
cui si parla, accordarsi alla mente di colui che l’ha più vivace,
senza ferire la tendenza o l’interesse degli altri con questa
preferenza. Allora si devono far valere tutte le ragioni che egli ha
detto, aggiungendo modestamente i nostri propri pensieri ai suoi,
facendogli credere, per quanto è possibile, che è da lui che li si assume.
Non bisogna mai dire nulla con un’aria di
autorevolezza, né mostrare alcuna superiorità intellettuale; rifuggiamo dalle
espressioni troppo ricercate, dai termini duri o forzati, e non serviamoci
affatto delle parole più grandi delle cose. Non è vietato conservare le
proprie opinioni, se sono ragionevoli, ma bisogna arrendersi alla ragione
appena essa appare, da qualunque parte venga:lei sola deve regnare sui nostri
sentimenti, ma seguiamola senza urtare i sentimenti degli altri,
e senza far apparire il disprezzo per quello che hanno detto: è pericoloso
voler essere sempre il padrone della conversazione,e di spingere troppo
lontano una buona ragione quando la si è trovata . L’onestà vuole che si
nasconda talvolta la metà della propria intelligenza e che si gestisca con
cura un testardo che si difende male, per risparmiargli l’onta di cedere. Non
piacciamo certo quando si parla troppo a lungo e troppo spesso di
una stessa cosa, e si cerca di volgere la conversazione su soggetti di cui ci
si crede più competenti degli altri. bisogna entrare indifferentemente su tutto
quel che loro aggrada, soffermarcisi tanto quanto lo vogliano, e allontanarsi
da tutto quel che non è conveniente per loro.
Ogni sorta di conversazione ,anche se
elevata non è adatta ad ogni genere di persone d’intelletto:
bisogna scegliere ciò che è di loro gusto ,ciò
che conviene alla loro condizione,al loro sesso,ai loro talenti,e scegliere
anche il tempo per dirlo. Osserviamo il luogo,l’occasione,l’umore,in cui si
trovano le persone che ci ascoltano ,perché se occorre molta arte per saper
parlare a proposito,non ne occorre meno per saper tacere. Esiste un
silenzio eloquente che serve ad approvare e a condannare,c’è un silenzio di
discrezione e rispetto,esistono infine toni,arie e maniere che
determinano tutto quel che esiste di gradevole e sgradevole ,di delicato o di
sorprendente nella conversazione,ma il segreto di servirsene bene è concesso
a poche persone;quelli stessi che ne fanno delle regole ci inciampano
spesso,e la più sicura che si possa dare è ascoltare molto ,parlare poco,non
dire niente di cui ci si possa pentire.
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Madeleine de Scudéry
Da
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«Saffo» fu il soprannome dato, secondo la
moda del tempo, a questa donna di lettere, abituale frequentatrice dell’Hôtel de Rambouillet prima di aprire, nel 1652, un proprio
salotto letterario che diede a lungo il tono al Preziosismo, del quale fu una delle più note
esponenti. La maggior parte delle celebrità dell’epoca, Montausier, La Rochefoucauld, Madame de La Fayette, Madame de Sévigné, Conrart, Chapelain, Pomponne e Pellisson onorarono
regolarmente le conversazioni erudite ed eleganti dei «sabati di M.lle de
Scudéry».
Sotto il nome del fratello Georges
de Scudéry, che non esitò mai a prendersi la paternità di un gran numero di
scritti della sorella, Madeleine fu l’autrice di successo di lunghi romanzi
galanti nei quali facilmente si riconoscevano i ritratti di personaggi come il Condé, M.me de Longueville, Catherine de Vivonne de Rambouillet ecc., trasposti nell’antichità insieme con la vita
della società mondana contemporanea: Ibrahim ou l’Illustre Bassa (4
volumi, 1642); Artamène
ou le Grand Cyrus (1649-1653), il romanzo più lungo di tutta la
letteratura francese (10 volumi); Clélie, histoire romaine (10 volumi, 1654-1660), in cui traspose l'amore per
Pellisson; Almahide ou l’esclave reine (8 volumi, 1660); Mathilde d’Aguilar, histoire
espagnole (1667).
Luogo di analisi raffinate della
vita interiore dei personaggi, i cui ritratti hanno spesso un rilievo
stupefacente, queste opere hanno dato vita a emozioni nuove, come la
malinconia, la noia, l’inquietudine e certi sogni che prefigurano Rousseau. In Clélie,
histoire romaine figura una famosa Carte de Tendre alla geografia
della galanteria, rasentante l’affettazione, che distolse la corrente del
preziosismo dal suo originale modernismo.
Madeleine de Scudéry attribuì al
proprio alter ego, un personaggio dell’ Artamène ou le grand Cyrus che
ha nome Saffo, giudizi impietosi contro il matrimonio, definito un’istituzione tirannica.
La Scudéry, del resto, rimase sempre nubile.
Con Pellisson, col quale
intrattenne una relazione di grande fedeltà, ella ha influenzato La Fontaine e Molière che pure sembra averla messa in
ridicolo sotto il nome di «Magdelon», diminutivo di Madeleine, nella sua pièce Le preziose ridicole.
Madame Marie de Rabutin-Chantal,Marquise de
Sévigné
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l
Data di nascita:5 febbraio
1626,Parigi
Data di morte:1 aprile 1696,Grignan
Madame de Sévigné nacque a Parigi da
un'antica famiglia borgognona: Suo padre
fu ucciso nel giugno 1627 nell'isola di Ré durante la
guerra contro gli inglesi. La moglie gli sopravvisse di poco, così che Marie,
rimase orfana nel 1633.
Marie sposò Henri, marchese de
Sévigné, un nobile bretone benestante,
il 4 agosto 1644, e
risiedette con lui nel castello "Les Rochers" luogo che ora deve a
lei la sua rinomanza. Ebbe una figlia, Françoise Marguerite, il 10 ottobre 1646 e un figlio, Charles, il 12 marzo 1648.
Il 4 febbraio 1651, Henri de Sévigné, a seguito di una
questione con il cavaliere d'Albret su una certa signora di Gondran, si batté
con lui rimanendo mortalmente ferito.
Rimasta orfana e vedova a soli ventisei
anni, Marie non si risposò più: a novembre si stabilì a Parigi, ma trascorrendo
una parte dell'anno a "Les Rochers". A Parigi frequentò i salotti
dell'aristocrazia,
specialmente quello di Nicolas Fouquet, ministro
delle finanze di Luigi XIV.
Madame de Sévigné, molto legata alla
figlia, intrattenne con lei una corrispondenza, divenuta molto famosa, per
tutta la vita: la prima lettera è datata 6 febbraio 1671. Dal 1673, (con una media di tre-quattro
lettere ogni settimana)
Quella corrispondenza, copiata e
diffusa non si sa da chi, cominciò a circolare pubblicamente: madame de Sévigné
affermò tuttavia che quelle lettere erano in sostanza dei documenti pubblici e
concesse loro libera circolazione.
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