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sabato 8 aprile 2017

Conclusione.



Conclusione.

Le prime sommarie deduzioni  dall’analisi.

Ed eccolo il momento in cui si possono tirare alcune conclusioni sommarie.
Una prima constatazione  è quella per cui i temi  drammaturgici appaiono molto strettamente legati 
al territorio .
Se  nella Nouvelle Caledonie il problema è quello di aprire la comunità insulare all’ ”Altro”,
alla diversità, poiché nessuna cultura è un’isola [1],Pierre Gope costruisce un teatro popolare impegnato
che permetta di  sensibilizzare ,rivolgendosi a tutte le comunità esistenti in Nuova Caledonia.In un paese
dove le etnie si fiancheggiano senza mescolarsi,il teatro costituisce uno spazio dove si può –sia pure per
la  durata di una rappresentazione – coabitare,mescolarsi . Il teatro infatti permette di esprimere ad alta
voce quello che la gente pensa a bassa  voce,senza tabù.Un teatro,ha dihiarato l’autore  una volta,che
non offre soluzioni,ma una riflessione,un’apertura di spirito,un impegno al dialogo.Se  le identità,spesso
dimenticate, appartengono al patrimonio dell’umanità,il teatro contemporaneo è lo strumento utile e
utilizzato spesso nei vari continenti per raggiungere quell’obiettivo,quando la tradizione tenderebbe a
ostacolarne la realizzazione. Come servirsi, però , del francese,lingua quasi  sempre “altra”,senza mutilare
da subito e bruscamente  la propria tradizione?Come non perdere così la propria anima allora? E’ una
domanda che ritroviamo in ogni società in cui  la tradizione resta un riferimento fondamentale della vita.
 Ed ecco che per far vivere e trasmettere  i valori della tradizione e dare  un senso però alla  tradizione
 come alla modernità ,il teatro deve  contribuire a svegliare le coscienze,a scuotere le opacità, le letargie.
Tradizione e modernità  possono altrimenti diventare entrambe  nefaste, nei  loro eccessi ,capaci di 
impedire lo sviluppo  e il benessere . Il teatro può favorire l’apertura delle coscienze ad  altre realtà,
lontane nello spazio eppure così  vicine alle proprie. L’adozione del francese in quel teatro facilita allora
l’apertura dell’orizzonte,il confronto  col diverso e la sua conoscenza,problema riconosciuto e anche
formalizzato a livello  istituzionale  col modello  interculturale proposto dai diversi accordi
 ratificati nel 1988 e 1998.

Se in Nouvelle Caledonie il teatro francofono serve dunque soprattutto  a non lasciarsi chiudere
dalla tradizione,in Québec l’adozione di quella stessa lingua  nella scrittura e nella rappresentazione
teatrale serve piuttosto a provare a scrollarsi di dosso l’abbraccio soffocante  della modernità,
rappresentata dall’influenza dominante del modello statunitense di civiltà e  a cercare di  ricostruire
una identità più indipendente,autentica , articolata e dialettica.

 Nel Continente Nero  l’adozione del francese  a teatro  è più complessa ,variata e anche talora
 contraddittoria ,tuttavia è estremamente  interessante. Anche se  il sapore aspro e amaro
dell’esperienza coloniale  è ancora molto vivo,il teatro francofono riesce soprattutto a  farsi
 conoscere a pubblici  più vasti e lontani (festival du Limousin,per esempio) ,anche se spesso
 si impegna a decostruire quella lingua per  riadattarla  alle proprie esigenze identitarie.

Quello che poi appare in modo molto evidente è la tendenza comune di tutto il teatro francofono
 contemporaneo  a intervenire sul  ‘rituale’,frammentandolo,arricchendolo per superarlo.
 Naturalmente i percorsi sono molto diversificati. Ma l’obiettivo resta comune.

In Québec  - nel teatro,ad esempio di Evelyne de la Chenelière e Daniel Brère - l’influenza principale
 nel linguaggio e nella struttura adottati,trae origine  dalla mediatizzazione e dall’informatizzazione :
allora  i clichés/stereotipi  tipici di quei linguaggi,che qui  assumono  però spessori  vivacemente e
 talora  paradossalmente ironici,sono scagliati contro quel modello di modernità.

In Oceania e in Africa  il ricorso  alla tradizione  produce invece una  rappresentazione
 multidisciplinare dove musica,danza e maschere  intervengono   in modo determinante
 a modificare la scansione e la sequenzialità  nella struttura della rappresentazione .
L’adozione  di una linea di tendenza comune ,probabilmente ,qui è legata alla comune
 condizione  sostanzialmente post-coloniale  delle due realtà geo-politiche -anche se con
a notevoli differenze [2]–che determina il ricorso alla tradizione,alle  sue espressioni  della cultura
 orale locale,accanto  a  quell’introduzione dell’uso del  francese, utile a slargare gli eventuali i
 limiti imposti da una tradizione vissuta rigidamente.

Un modo di intrecciare due piani d’intervento-quello dell’introduzione del francese accanto a
 realtà multidisciplinari della tradizione -  per  evitare il rischio di accentuare  chiusure o
determinare eventuali rifiuti  del pubblico se fosse stata adottata  la scelta delle  due modalità
d’intervento separatamente.
Nel teatro di Pierre Gope dell’isola di Maré,nell’arcipelago  di Loyauté a oriente della Nuova
Caledonia, la sua cultura kanak entra con i canti della tradizione,che si alternano ai dialoghi,
costantemente in lingua francese,che servono invece alla denuncia dei mali che oscurano la
 libertà del suo popolo. Una voce libera,la sua, impegnata con testarda  generosità nella lotta
 per l’altrui libertà.

Nel caso del teatro  africano- come nel teatro di Sony Labou Tansi in Congo – rivolgersi al mito
e alla multidisciplinarità necessaria alla sua rappresentazione,è stato anche e  soprattutto utile
 per  camuffare riferimenti troppo espliciti di denuncia  e sottrarsi così alla scure impietosa del
censore,attraverso l’immersione evasiva in quella insospettata dimensione.

L’esempio vietnamita è il più sorprendente,inatteso .La vivace inventiva del drammaturgo
ha saputo infatti risolvere molti problemi per non rinunciare al contributo  ad  aprire la porta,
all’avvicinamento,alla conoscenza,al confronto. Costituisce una realizzazione paradigmatica ed
estrema delle realtà incontrate negli altri continenti. Infatti la tradizione culturale vietnamita,
come quella cinese ,dalla quale del resto quel paese deriva la propria ,non conosce  la rappresentazione
teatrale. Conosce invece lo spettacolo  multidisciplinare affidato a musica,danza,maschere ecc.
Ma la conoscenza del francese per l’esperienza  coloniale fa scoprire il teatro francese  e il
pubblico vietnamita si appassiona alla commedia di Molière  come all’epica di Corneille.
Ma il popolo vietnamita,per la sua storia,ha un forte sentimento di identità nazionale che gli
 impedisce di servirsi della francofonia per creare una nuova  tradizione teatrale in quella lingua.
Ed ecco la bella esperienza completamente originale in un passato molto più recente. Il drammaturgo
 Alain Destandau  compie soggiorni di studio dello spettacolo in Vietnam .E’ la conoscenza diretta
e appassionata di quella realtà così particolare  che gli suggerisce  e stimola una soluzione davvero
 estremamente interessante e particolare,grazie alla quale il pubblico potrà assistere alle sue
rappresentazioni – ne sarà infatti  anche il regista – indipendentemente dalla conoscenza  del
 francese o del vietnamita. Gli attori di entrambi i paesi lavoreranno collaboreranno insieme non solo
 col reciproco rispetto,ma anche apprezzando e godendo delle prestazioni dell’altro. Ma come è possibile
 realizzare  un simile paradosso? La chiave per la soluzione è semplicemente nella scrittura,ma bisognava
 pensarci. La pièce è strutturata in modo che in scena non ci siano mai meno di due personaggi che
costantemente dialogano,ciascuno nella propria lingua. Alla battuta in francese dell’uno replica l’eco
 in vietnamita dell’altro con l’identico contenuto. Una scrittura che non solo consente la soluzione del
 problema, ma che non è affatto noiosa , senz’arie pedantesche, ma, a tratti, addirittura brillante per
 promuovere l’eroina dei diritti civili,Ti An.
    Insomma se il problema identitario  in Africa si serve del francese soprattutto per farsi conoscere
e nel Québec per farsi piuttosto  riconoscere, in Nuova Caledonia fa un balzo in avanti e si serve
delle lingue  nel teatro per costruire una più complessa dialettica del riconoscimento,particolarmente
utile a superare lo sbriciolamento socio-culturale, favorito anche dalla configurazione geografica del
territorio;  mentre in Vietnam  cerca una soluzione a teatro per superare  il rischio di chiusura che il
forte spirito nazionale potrebbe implicare.

Infine, è ancora una volta l’Europa  - come abbiamo potuto constatare -  a realizzare ai nostri
giorni l’ intervento più radicale sul rituale della rappresentazione teatrale, confermando allo
stesso tempo  la tendenza del fenomeno osservato negli altri continenti.
Condizione naturale del resto perché  tutto è nato in realtà dal Vecchio Continente e si
irradia attraverso l’utilizzazione di una delle sue  lingue. E’ sufficiente alla verifica  ripercorrere
 la cronologia delle produzioni analizzate.

 E’ il teatro di Tardieu, come abbiamo visto,  che raccoglie tutta l’eredità dirompente delle
 avanguardie per offrirci  un modello drammaturgico estremo  in  cui la forma si sostituisce
al tema per  diventarne  essa stessa, paradossalmente,  il soggetto . Non certo a giustificazione
di una capricciosa scommessa  esclusivamente estetica,  partendo ogni volta da un pretesto
formale per arrivare all’oggetto scenico che sostituisce direttamente il soggetto dell’opera .
Mette così in discussione la sacralità stessa delle regole,  per scardinare  la struttura stessa
 della  sua identità.  E’ in questo modo che con l’apparente aggressione dei contenuti si
 propone di rappresentare l’umano.  Arriva così a  mostrare l’assurdità e l’insicurezza della
nostra condizione,  attraverso gli strumenti dell’immaginario. Si svuotano così di senso i
principi classici come la regola delle unità,  la coerenza  dei personaggi, o la necessità dell’intrigo.
 Fondamentale importanza acquisisce d’altro lato il linguaggio  l’accurata concatenazione delle
associazioni verbali.  Un gioco con le forme del rituale teatrale che determina la drammaturgia
 astratta delle sue commedie  - lampo,  veri cataloghi di forme drammatiche che si beffano delle
convenzioni teatrali e allo stesso tempo le convenzioni della conversazione,  che moltiplicano
all’infinito le disfunzioni,  fino al burlesco,  come in Oswald et Zénaïde,  composta in pratica,
quasi solo di  a-parte,  dove gli attori rappresentano al pubblico il loro imbarazzo a comunicare,
la loro strutturale difficoltà . Un semplice espediente di destrutturazione,  con cui,  con immediatezza
efficace molto più che con i contenuti della trama,  il drammaturgo riesce nell’invenzione di
condurre  la ricerca  dell’umano direttamente intervenendo per scardinare il rituale.  E completa
la sua operazione rivoluzionaria costringendo infine la lingua  a superare  tutte le  regole della
tradizione del teatro occidentale per imporle il rigore della partitura musicale.
Si è saputo servire di un’ironia ora esplicita ora velata,  sempre diretta a  svelare il nulla
dell’esistenza come della poesia per testimoniare  anche i sentimenti dell’uomo del nostro tempo,
la sua paura  che sfocia nell’angoscia, la sua solitudine nel mondo e l’impossibilità per lui di sapersi
collocare nel tempo e nello spazio, la sua incertezza identitaria .
 Il suo teatro rappresenta  insomma un tentativo di trovare  un modo per esprimere gli sforzi
dell’uomo alla ricerca d’identità in un universo privo di senso,  un vacillare di significati che rimette
 tutto in discussione.
Ma è anche nel Vecchio Continente che la dialettica del riconoscimento  chiude il cerchio ,
siglando la temporanea fine del percorso  e ancora una volta in un modo del tutto originale,
estremamente innovativo. È infatti dalla prestigiosa istituzione culturale della  città di Pau ,
il Théâtre  Monte Charge, che uno dei direttori,Alain Destandau, drammaturgo e regista, è
riuscito  a tessere una fitta rete di rapporti con istituzioni politiche e culturali del Vietnam
che gli consentono di realizzare un’interessante concatenazione di scambi tra il teatro di Pau
e il Vietnam:
E’ nel 2006 e nel 2008 che due creazioni bilingui  - Ti An Antigone Vietnam e Cercles de sable –
che riuniscono artisti vietnamiti del  Théâtre National Tuong di Hanoi e francesi del Théâtre
 Monte-Charge sono scritte e messe in scena da Alain Destandau.  Il  Ministère de la Culture
del Viet Nam e l'Espace Centre Culturel Français sostengono tutta  la strutturata  iniziativa.
L’affermazione di esperienze tanto innovative , che aprono alla conoscenza del diverso,anche
 in realtà dove la orgogliosa difesa dell’identità nazionale rischia la chiusura sterile e pericolosa
 in se stessa,è dimostrata dalla felice continuazione delle attività reciproche nonché dai
 riconoscimenti e dai premi ai protagonisti che hanno consentito l’ideazione e la realizzazione
di eventi culturali  tanto stimolanti e fertili.
Infatti in occasione delle Stagioni Incrociate France - Viet Nam, l'Association Nationale
des Artistes de Théâtre du Viet Nam presieduta dal Vice Ministre Le Tien Tho ha auspicato
 la realizzazione  della terza creazione comune franco-vietnamita  « Les Saisons de riz » per
 les Saisons Croisées France Viet Nam  in occasione  dei 40 anni di  rapporti diplomatici
 positivi fra i due paesi e i 10 di scambi fra il teatro di Pau e il théâtre national Tuong Viet Nam .

Un paese d’Europa ,la Francia, che si lascia guidare dallo “spirito dell’incontro” fra artisti,
che  la storia e la  distanza hanno forgiato in modo diverso, dove uno dei suoi intellettuali,
 sostenuto da tutta una fitta rete di istituzioni politiche e culturali, che consente di far emergere
e dare una sottolineata  visibilità a tali esperienze-pilota esemplari,continua il suo impegno
 nella convinzione  di contribuire ad aprire la porta a  incontri fra culture “altre”dell’Africa,
dell’America Latina e  che tali continenti fra loro possano in futuro continuare il percorso.
Particolarmente significativa in questo senso l’affermazione dell’autore  protagonista
quando dice :”Nous ne sommes que de passage,mais pouvons servir de passeurs, passeurs
d'espérance et de valeurs humanistes”[3]con cui ci piace concludere questo viaggio appassionante
che in ciascun Continente ci ha fatto scoprire un contributo  perché possa nascere un nuovo umanesimo.



[1] Per riprendere la bella immagine di P. Masaka nella prefazione  all’opera di Pierre Gope “Le dernier crépuscule”.
[2]In Africa attualmente gli Stati sono indipendenti,mentre la Nuova Caledonia,pur disponendo di ampi spazi di autonomia ,non è una Nazione indipendente.

[3] “Non siamo che di passaggio,ma possiamo servire da trasmettitori,trasmettitori di speranza e di valori umanistici.”

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