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sabato 8 aprile 2017

Teatro francofono in Oceania.Nuova Caledonia



T. FRANCOFONO_OCEANIA_Nuova Caledonia
Complessa e molto articolata, al limite della frammentazione, la geopolitica della Nuova Caledonia,nel continente Oceania.
Nouméa (si pronuncia numéa in francese, in Kanak: Numêea) è la principale città e insieme il capoluogo amministrativo del territorio francese[1] della Nuova Caledonia. La città è situata su una penisola nella parte sud-occidentale della Grande Terre,
 l'isola principale e la più estesa dell'arcipelago.
È anche la più grande città francofona dell'Oceania. La popolazione ammonta a 91.386 abitanti che divengono 146.000
contando anche i sobborghi.
La maggioranza dei residenti sono cittadini europei, sia autoctoni ("caldoches"), sia cittadini della Francia metropolitana ("zoreilles") che risiedono nel territorio per vari motivi. Vi è anche un'alta percentuale di Kanak, Polinesiani e asiatici
(indonesiani, vietnamiti, cinesi). È quindi una città cosmopolita,ma prevale la cultura europea, dove il francese è molto
presente.
È la sede del Segretariato della comunità del Pacifico. Nel 1966,1987 e 2011 è stata sede dei Giochi del Pacifico,una
manifestazione multisportiva cui partecipano gli Stati del Pacifico Meridionale. Nel 1984 e nel 2000 è stata sede del
Festival of Pacific Arts, una festa quadriennale che vede tutti i popoli dell'Oceania radunati per manifestazioni artistiche
e sportive.
Maré
Isola di Maré, Nuova Caledonia
Maré è un comune della Nuova Caledonia nella Isole della Lealtà. Il comune occupa l'isola di Maré e le isole vicine.
                                                                      
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Ancora più complessa  e articolata è  la natura francofona della letteratura melanesiana.
Prima di tutto perché la produzione teatrale che abbiamo scelto appartiene alla Nouvelle
Calédonie,che non  costituisce uno stato indipendente,ma è parte integrante della Repubblica
Francese,quale Territorio d’Oltre Mare. Infatti col modello interculturale proposto dai diversi
accordi ratificati nel 1988 e 1998 la Nuova Caledonia entra a pieno titolo nel campo della
 letteratura francofona post-coloniale  - nel senso di dopo-colonizzazione – più che della
decolonizzazione,proprio perché la Nuova Caledonia ,malgrado il suo statuto di grande
 autonomia,non è una nazione indipendente. Ma l’essenza della sua  letteratura  è
 post-coloniale nei limiti in cui essa emerge da un contesto coloniale. L’orientamento 
interculturale costituisce per l’appunto l’originalità di questa letteratura e gli scrittori
melanesiani sono  impegnati in queste nuove prospettive.
L’oralità è il fondamento dell’identità della cultura kanak.Quindi,la drammaturgia àncora
immediatamente la scrittura di Pierre Gope - l’autore prescelto come particolarmente
 rappresentativo  -  nell’oralità e fa della sua scrittura drammaturgica la forma più vicina
alla sua  cultura. E’ lui stesso a spiegarci che l’espressione teatrale si impone  da sola:
”Il teatro è anche da noi,nei nostri villaggi,anche se non esiste  come forma letteraria.”
‘ La parola è messa in scena ogni giorno:il teatro era già là,tutt’intorno a me,da sempre.’
La sua parola genera un testo che si mette al servizio di quella stessa parola. L’appropriazione
 del  francese  nella scrittura drammaturgica e nella sua  rappresentazione  non induce
 affatto  una parallela perdita della lingua vernacolare. Anzi protende all’apertura di
 quella  comunità,abitualmente chiusa nella  sua parlata( in  vernacolo),che ,tradizionalmente,
 aggiunge frammentazione ,per non dire sbriciolamento, a un territorio che,già per la sua
 natura geografica, molto poco  favorisce ,non riesce per niente a orientare , a far tessere
 solide relazioni  sociali ai suoi abitanti. L’adozione dell’uso del  francese nella scrittura e
 nella rappresentazione teatrale  ha permesso di  andare incontro all’Altro ,ha favorito la
 sperimentazione di  un’apertura.
La lingua  di Pierre Gope è dunque ancora una volta tagliente,diretta,improntata a un’oralità
che fa piuttosto  emergere la durezza  e le difficoltà dei  rapporti sociali. Anche qui troviamo
che l’Altro si è introdotto dunque nella  drammaturgia in relazione con  le altre  culture,
 attraverso l’uso della lingua  francese .E ancora una volta lo spazio identitario diventa  così
 un  luogo dove  le tensioni  si manifestano,le esperienze si incrociano, si incontrano,si
confrontano. E’al teatro che viene  affidato il compito di rappresentare le appartenenze
multiple,senza più timori di contaminazioni identitarie,nella consapevolezza  piuttosto
dell’opportunità offerta di reciproco arricchimento e  irrobustimento. Si può notare un
 cambiamento di valore legato proprio alla alterità:è l’introduzione del teatro  nella società
 kanak che favorisce  quindi la sua  apertura e la  rende  tanto più sensibile all’altro,alla sua
differenza.
Pierre Gope nel suo “Dov’è il diritto?Okorenetit?”[2]fa una originale operazione linguistica



polivalente già nel titolo. Infatti il punto interrogativo,più che l’effetto di chiasmo tentato
con l’accostamento delle due lingue,suggerisce che Okorenetit  non è che la traduzione in
lingua nengone dell’interrogazione  precedente e che  costituisce la dominante dell’intreccio.
Configurazione che anticipa simbolicamente la questione della diglossia con cui si confronta
 questo genere di autori. A  proposito poi del lungo discorso d’apertura in nengone -una delle
lingue melanesiane,quella di  Maré, l’isola  natale  di Pierre Gope,nell’arcipelago della Loyauté -  
bisogna sottolineare che è impossibile  per coloro  che non conoscono il nengone rendersi conto
se quel che segue sia la traduzione francese o la continuazione in francese del discorso. Ogni
invenzione del Vecchio Bolé procede così mantenendo lungo tutta l’opera l’ambiguità che
 incarna la Parola della comunità kanak. Così l’irruzione nel discorso delle canzoni rappresenta un mezzo  di
trasposizione dell’oralità nella scrittura  drammatica. I canti non sono insomma che presentati
 in fondo al libro,seguiti da traduzione,mentre nella messa  in scena dell’autore essi intervengono,
 al contrario ,nel corso dell’intrigo e non sono offerti al pubblico che in nengone.
Affermazione questa di un sistema di valori che non sono occidentali ,ma si esprimono
 in lingua francese .Un’operazione  che nello stesso tempo la fertilizza  e – anche se lei si
rivolge a quel popolo melanesiano  - favorisce  pure il  superamento  della chiusura linguistica
che  caratterizza quel mondo;questa letteratura ha infatti un ruolo unificatore sia per il
decentramento delle referenze culturali che essa opera,di cui ciascun  frammento della
comunità insulare si può appropriare rielaborandolo a suo modo, sia perché propone
figure culturali  comuni per il pubblico melanesiano,qualunque sia la sua origine e la sua
lingua materna, che ha  necessariamente una comprensione molto più sottile che non può
possedere  il lettore di origine europea.
Condizione del resto già conosciuta da Jean Paul Sartre,quando affermava con Léopold
Senghor che ”la letteratura  kanak di lingua francese  è un canto di tutti e per tutti”[3].
Ed ecco che anche qui ci si ripresenta un fenomeno simile a quelli incontrati nel teatro
francofono degli altri continenti. La volontà di valorizzare il bilinguismo della rappresentazione
 nell’immediato per perseguire il più evidente obiettivo di  aprire gli orizzonti della cultura dell’isola
 e col bilinguismo costruire un multiculturalismo ricco di energie e di spunti vitali.
 Se è utile e possibile aprirsi al confronto e il teatro è lo strumento opportuno che consente,
con l’uso del francese, di superare, ricucendolo, l’isolamento in cui versano le numerose comunità
 melanesiane, la sua pratica può palesemente mostrare  che  la loro  natura  sbriciolata di isole
 non è necessariamente una condanna alla chiusura, alla sterilità che  l’isolamento necessariamente
 produce. Il teatro può costituire un correttivo fertile che l’uomo propone alla natura. Ma l’intreccio
con la tradizione kanak porta anche altre conseguenze: l’osservazione più attenta e approfondita, per
 esempio, di quest’opera di Pierre Gope “:”Où est le droit? Okorenetit?”, mostra che si producono
anche altri effetti, nient’affatto secondari. Ecco dunque che quando si considera fondamentale
 intrecciare la tradizione culturale kanak con quella francese, l’intervento non può limitarsi soltanto
 all’uso delle due lingue. Il teatro è un genere di espressione, ci ha detto Pierre Gope,” che è anche
da noi,nei nostri villaggi,anche se non esiste  come forma letteraria”. Appunto. E’ necessario rendere
 familiare anche la ‘forma letteraria’che si intende inserire nell’esperienza dei popoli melanesiani,
se si vuole ottenere che ne diventi patrimonio, acquisizione culturale, arricchimento. Per ottenere
questo risultato  è necessario tessere qualche motivo indigeno accanto ai fili che si intrecceranno
nel dialogo in francese della rappresentazione. E questo intervento produce un terremoto nel rituale
 classico del teatro europeo; anche questo teatro melanesiano adotta infatti palesemente una
 dimensione assolutamente multidisciplinare. Vistosa infatti è in quest’opera la presenza dei canti
in lingua nengone e che nella rappresentazione non si ritiene necessario neppure tradurre. Come
 per incanto,  eccola allora di  nuovo di fronte a noi un’esperienza multidisciplinare. L ’autore
infatti per praticare utilmente la diglossia, introduce la lingua nengone nella sua rappresentazione
alternando il dialogo dei personaggi in lingua francese, con i canti che costituiscono  l’espressione
intatta della cultura kanak. Ancora una volta assistiamo a un’incursione nel rituel della tradizione
 classica del teatro europeo che lo modifica, quasi lo stravolge,   col ricorso costante alla  pratica di
strumenti  multidisciplinari di derivazione locale, ogni volta  che la sua struttura si trova ad immergersi
nelle culture  tradizionali di altri continenti. Operazione che tuttavia consente una soluzione alta.
 La  soluzione che favorisce il confronto fra culture offre infatti sempre l’arricchimento reciproco,
favorisce l’opportunità della conoscenza dell’altro, consente la  percezione che non bisogna aver
paura della diversità,  semplicemente mostrando i personaggi che  si adattano ora alla parola
 d’importazione ora a quella indigena, secondo gli strumenti espressivi,   familiari o innovativi
utilizzati nei diversi  passaggi della rappresentazione. Un modo efficace  di innestare la più
caratteristica forma di espressione culturale  locale all’interno della rappresentazione che è in
una lingua’ altra’, che  arricchisce  entrambe attraverso un  confronto diretto che  consente di
godere appieno dello spettacolo  sia agli indigeni,sia ad un pubblico esterno a quel mondo, ma
capace di entrarci proprio grazie all’utilizzazione di una  lingua conosciuta e per merito di una
 pratica teatrale manipolata, ma percepibile,nella sua nuova veste,come vivace  e interessante.
Ma non si limita a questo aspetto, pur fondamentale,di lavoro sulle lingue l’originalità che ha fatto
cadere la scelta su questa pièce di Pierre Gope.Questo autore infatti controlla con sapienza
elementi caratteristici della scrittura drammaturgica per trarne effetti di ricca originalità, che
affianca con naturalezza sorprendente alla struttura multidisciplinare e disglossica, arricchendo
 ulteriormente il suo testo. Si assiste fin d’all’inizio, infatti a un alternarsi di toni, che consentono
allo spettatore di meglio avvicinarsi e assorbire l’essenza alta del discorso di fondo. Si passa dal
tono drammatico obbligato dalla discussione sullo scontro tra la tradizione e necessità di adattamento,
all’atmosfera tragica della voce solista della vittima che si vede costretta ad attentare al costume
per chiedere giustizia alla cultura “altra”, poiché nella propria le donne sono dakö(nulla)e la parola
wadrawa,dell’igname è parola maschile,tanto da far prevalere l’orgoglio maschile fino a cancellare
l’amore paterno. L’isolamento che porta  la protagonista ad allontanarsi dall’amica e dal fidanzato
assume toni struggenti. L’introduzione dell’elemento classico del coro favorisce  toni molto
sorprendenti di ironia a sottolineare con effetti di contrappunto dalla sorprendente originalità
ancora una volta il contrasto tra le due culture. Non manca l’uso efficace dell’a-parte per mettere
 in evidenza lo sdoppiamento di personalità del gendarme che si rivela anche  nella sua intimità. Il
 registro alto del discorso legato alla natura del problema affrontato non impedisce all’autore di far
ricorso  all’uso della macchietta ,disegnando con i comportamenti tipici dell’infanzia di fronte alla
paura,le reazioni di terrore incontrollato che la mancanza di conoscenza - quindi di integrazione rispetto
alla cultura kanak -  produce nei gendarmi. A cui segue, peraltro, un atteggiamento conclusivo che
 i gendarmi mostrano di assoluta perplessità anche riguardo ai propri valori. Il contrasto tra il tono
 grottesco del dialogo dei due ubriachi e la languida canzone dolorosamente nostalgica del fidanzato
serve ad arricchire il tratteggio sottile di un ulteriore contrasto,pieno di sospetti e incomprensioni:
quello tra il kanak di campagna e quello di città,ovvero tra un malinteso senso di appartenenza
stretta alla tradizione e una evoluzione solamente presunta. Particolarmente interessanti sono le
conversazioni tra detenuti dove si introduce, con l’inevitabile denuncia della responsabilità dei bianchi
sulla malattia del sistema,   l’osservazione che parte della responsabilità dello stato attuale delle cose
è anche indigena. Sta infine al tribunale dei bianchi chiedersi se la ribellione a questo stato di cose
sia ricerca di giustizia o contestazione del costume. La conclusione del drammatico percorso di ricerca
 è inesorabile: l’esito dei due tribunali a confronto porta la protagonista a fondare l’utopia del riscatto
nella morte ineluttabile in quanto vittima inconsolabile e incompresa nel regno dei vivi.
Ancora una volta il Teatro-Rituale d’oggi cerca di favorire con la sua partitura  l’accesso a un livello
 di coscienza superiore dove si possa recuperare in se stessi la maniera di liquidare le forze negative
e risolvere i propri problemi,anche quando la soluzione vera sembra ancora lontana.
 Un’operazione riuscita,insomma,un  modo concreto degli autori della Nuova Caledonia di attuare
quel modello  interculturale che i diversi accordi  fra il  1988 e il  1998 le istituzioni hanno ratificato.


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[1] E’ uno dei territori d’Oltre Mare,come la Martinica di Césaire,che fa parte integrante del territorio dello Stato francese,
pur godendo di alcune regole che tengono conto della differenza costituita dalla particolare  condizione storica e geografica .
[2] Pierre Gope:”Où est le droit? Okorenetit?”,éd.Grain de Sable,Nouméa,2002.
[3] J.P.Sartre”Orphée noir”,Léopold Senghor”Anthologie de la poésie nègre et malgache de langue francaise ”(1948)
Éd.PUF.coll.Quadrige,Paris,2001,p.XI

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