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sabato 8 aprile 2017

Il teatro francofono in Africa.Congo



Il teatro africano.

Cerchiamo di affrontare  la ricerca sul teatro africano,prima di tutto con una prospettiva storica per cercare di scoprire non solo i nodi della sua identità attuale,ma anche le ragioni che essi sottendono e le tappe che hanno segnato il percorso che ha permesso di tratteggiarne il profilo.

 A rappresentare questo complesso intreccio di elementi abbiamo scelto un drammaturgo Sony Labou Tansi - che ci è subito apparso significativo per un insieme ricco e originale di motivi.

E’ noto come in Africa il teatro sia stato lo strumento privilegiato dagli intellettuali per provare a regolare i conti con il colonizzatore ,che già se ne era servito per cercare di tenere sotto controllo la loro resistenza.
E’ quindi ancora mediante il  teatro che con la decolonizzazione- quando siamo negli anni ’60 – i drammaturghi provano a infondere speranza nel popolo perché creda nella possibilità di diventare attore del proprio destino. Basta ricordare quanto impegno Aimé Césaire[1] dedicò al teatro africano,convinto di quanto esso fosse più utile della sua poesia a sostenere la causa della negritudine.
Emblematiche  alcune battute di alcuni personaggi della pièce:-Il suonatore di sanza:”Andiamo,signori,calmatevi!Basta con le beghe  etniche. Non lasciamo che il colonialismo divida il campo per regnare!Controlliamo queste dispute tribali!”[…]Lumumba:”Ma,compagni,il gusto di vivere,non hanno potuto indebolircelo in bocca,e abbiamo lottato,coi nostri poveri mezzi lottato per cinquant’anni ed ecco:abbiamo vinto.”[…]
Nel decennio successivo si manifesta la necessità di denuncia di nuovi problemi che logorano il tessuto socio-politico del continente. Il potere della borghesia nera ha rivelato il suo volto autoritario e corrotto. La satira entra allora da aspra protagonista nelle rappresentazioni,che devono peraltro rinunciare ad ogni forma di realismo per poter mantenere la propria forma di denuncia:E’infatti indispensabile distogliere l’attenzione del censore, che è sempre in agguato,col ricorso al registro fantastico. Mettere  in discussione l’arte teatrale occidentale porta a ridiscutere inoltre del tutto naturalmente anche gli strumenti linguistici perché favoriscano il coinvolgimento dello spettatore e siano funzionali all’allargamento del pubblico. In primi/In primo luogo è certamente l’uso del francese  a far discutere . Si è consapevoli di come esso favorisca la comunicazione con l’universo della francofonia ,ma non si ignora neppure come sia insita in quella lingua la sopravvivenza di una connotazione che la storia ha reso piuttosto ambigua. Che la forte diffidenza  nei confronti  di una lingua introdotta e imposta dal colonizzatore sia un problema che sopravvive, lo testimonia ,ad esempio,l’affermazione  del drammaturgo congolese  Tchicaya U Tam,che,però,lo affronta ribaltandolo costruttivamente:” La lingua francese mi colonizza,io la colonizzo a mia volta.”.Altri preferiscono far coesistere con funzioni di definizione di  identità sociale la lingua francese, parlata dunque dai personaggi che rappresentano il potere in opposizione con il français de moussa (il gergo parlato nei vicoli delle città della Côte d’Ivoire,ad esempio )con cui si esprimono i personaggi popolari.
Altri autori ,invece,preferiscono intervenire riforgiando quella lingua.
E’ quello che comincia Sony Labou Tansi negli anni ‘70. Egli infatti  adotta un atteggiamento più  libero dei suoi predecessori nei suoi confronti,giocando con le strutture grammaticali e con il lessico. La sua lingua deriva dall’evoluzione del rapporto con la lingua francese e dalla concezione del suo controllo. Al di là della sua creatività linguistica,del suo personalissimo universo,il suo teatro rappresenta una svolta  nella drammaturgia dell’Africa nera francofona nella misura in cui i suoi personaggi si caricano di una parola individuale  e non sono più i rappresentanti di una comunità .
Intanto ,però, decostruendo e destrutturando – siamo in piena età strutturalistica - la lingua, fino a mescolare  quella della classe dirigente con quella parlata dal popolo nei vicoli delle città,  i drammaturghi africani permettono  una più forte adesione del pubblico alla comprensione dello spettacolo
La contaminazione più interessante,più creativa,più originale  della lingua è dunque  il lavoro  compiuto in Congo da Sony Labou Tansi   con il suo teatro terapeutico[2],che gioca con risultati di grande suggestione con il lessico come  con le strutture grammaticali .E la funzione di  questa drammaturgia,che chiama  anche “teatro della guarigione”,una sorta di psicodramma curativo, consiste nel dare un ruolo a un malato – il più spesso a un malato mentale – in una storia  che doveva  coinvolgere l’intero villaggio durante i pleniluni fino al momento in cui il malato riconquistasse il posto che gli competeva nella società.

L’opera che abbiamo scelto è inoltre tra le sue più particolari perché  -  scritta con un carattere di sperimentalismo molto radicale per l’editore belga Lansman nel 1992 dal titolo Une vie en arbre [3]et chars...bons, con evidente gusto di citazione evocativa e di gioco con le sonorità omofone  -  approda per lo stesso editore nel 1998 ad una riscrittura  , dove l’autore confessa  -  in una lettera allo stesso  - di aver sentito il forte impulso a una comunicazione allargata , riconoscendo « qu’on ne pouvait pas le présenter à qui  que ce soit tel qu’il était… [4]» , che lo porta a scegliere perfino un nuovo titolo  Monologue d’or et noces d’argent pour douze personnages [5]prima e poi ,semplicemente, il definitivo Monologue d'or et noces  d'argent .In questa stessa lettera egli afferma di valutare il notevole progresso della propria scrittura drammaturgica non solo rispetto alla pièce del 1992, ma anche a Une chouette petite vie bien osée[6], sempre per Lansman, del 1992.

Il lavoro acharné[7] sulla lingua ,dunque ,è  elemento fondamentale  che appare in tutta la sua splendente evidenza . E’ lui stesso ad affermare che nella sua pièce celebra la più tropicale,lussureggiante  noce du verbe”.
Ma per dire cosa ?Ancora una volta è lui stesso a rivelarcelo : « En terme d’Afrique la macdonaldisation du mondeJe retourne à ma vieille effronterie de vouloir engrosser non point une histoire,mais un dire assez dur pour défoncer tous les sommeils de ce monde». [8]La trama resiste quindi semplicemente come pretesto per la denuncia, appena camuffata dal velo mitico,dal tono fiabesco.
Ai piedi del gran mambarino,Charlotte e Colette piangono il rimpianto Georges,venuto a sprecare otto anni in quel buco con l’ingannevole impegno di  studiare l’albero più vecchio della terra. Intanto l’uomo -  mostro e l’uomo – orologio,seguiti da una triste colonna di americansfascisti,si avvicinano al villaggio di Carmanio –svuotato nel passato dei suoi abitanti in un sol giorno – per chieder conto a quell’albero,che ha bevuto tanti anni da esserne caduto  ebbro di vita ,come gli uomini sono ebbri d’alcool,di denaro,di potere,di suicidio,di fantasmi o d’insanità.
Ascoltiamo le intenzioni di messa in scena dell’autore per meglio apprezzare il senso del tentativo  in atto :
 « Le pari est énorme de vouloir mettre une forêt dans une salle. Mais les moyens de langages sont énormes […]Il s’agit avec des mots, des musiciens, des instruments des formes – l’arbre[…]a vu les dinosaures, il faut en faire une magnifique marionnette géante dans un champ d’instruments de  musique -,dans un village de donner la parole à un univers mourant .Une mort-mutation qui déménage les habitudes, les coutumes, les acquis et les certitudes, pour donner plus d’espace à l’interrogation, à la spontanéité, au brut vital. »[9]

Identità innovatrici emergono alla modernità e il pensiero dominante diffuso dai centri del potere si lacera. Le letterature post-coloniali,che hanno forgiato in questa lotta per la libertà il loro linguaggio,manifestano
la loro attitudine alla destabilizzazione del sistema esistente.
Consapevoli che gli elementi drammaturgici della tradizione africana e quelli del teatro
all’occidentale si fiancheggiano sulla scena senza penetrarsi,alcuni autori cercano gli strumenti drammaturgici per rendere possibile  quest’incontro.
Riflettendo sulle forme spettacolari della loro cultura comunitaria gli artisti africani hanno messo in discussione  i fondamenti della forma teatrale occidentale,che peraltro già le avanguardie europee
 avevano fatto vacillare.
Le forme di spettacolo africane hanno tradizionalmente una natura multidisciplinare ,ed ecco che gli artisti cercano ora di integrare la musica,la danza,il canto nelle loro drammaturgie,rimettendo in discussione il primato del testo  nello spettacolo teatrale.

Ecco allora  un altro elemento caratterizzante del percorso che gli autori di teatro in Africa hanno intrapreso e che ritroviamo in Sony Labou Tansi.:la multidisciplinarità ovvero la mescolanza e la contaminazione dei generi.

Si torna inoltre alla cultura ancestrale,si rivolge una nuova attenzione  alla tradizione animista.
In Africa la Parola è legata al gesto,al ritmo,implica in modo stringente il corpo .E il teatro,a partire soprattutto dagli anni ’80,manifesta la volontà esplicita di restituirgli un ruolo centrale,in forme che discendono da una cultura dove realtà e immaginario non si oppongono,anzi,compenetrandosi,sicompletano. Come permeabile è anche la separazione tra sacro e profano,fra le lingue e il sistema  religioso:la costola metafisica affiora costantemente nelle manifestazioni culturali. Il rituale,peresempio,tra le forme
spettacolari endogene comprende una serie di attività che includono narrazione,
musica e movimenti,con sequenze spesso animate da maschere. “Il portatore presta
la realtà alla maschera,che ne prende possesso durante i riti e la danza. A quel punto
è lo spirito rappresentato  dalla maschera,che danza,che parla,non è più né l’uomo 
che la porta né l’oggetto scolpito”,come  ci spiega Ousmane Diakhaté.[10]
In modo più generale,questo ritorno alle fonti del sacro si manifesta con un lavoro drammaturgico che passa anche attraverso l’utilizzazione della letteratura orale sacra,esoterica e profonda ,costituita dalla preghiera e  ancora più dal mito,
quest’ultimo ponendosi in relazione diretta con le forze che governano
l’architettura del mondo,il senso dell’universo,nei limiti in cui il mito è un punto 
d’incontro tra la durata storica e l’extratemporalità,un luogo dove la dimensione 
simbolica ha la meglio.
E’ ancora Sony Labou Tansi che ci racconta della sua pièce:”Je parle d’une magnifique femme qui a nom“la Terre”.Et pourquoi une femme?Parce que même si tous les hommes l’ont oublié,la femme est la saveur exacte de Dieu.elle plonge dans tout ce que la vie touche.”[11]
 La letteratura profana,che contemporaneamente viene utilizzata ,con la sua costante funzione ludica ed educativa,è fondamentalmente costituita da proverbi,racconti,leggende,favole,canti popolari,poemi epici,liriche d’amore. Il 
racconto, dal profilo quasi sempre mitico, è il nutrimento più adottato per il teatro,
dove gli esseri,i fenomeni,le cose  della civiltà africana  vivono tutti una doppia vita,
una concreta,percepibile dai nostri sensi come dal buon senso dalla ragione,e una che trascende la prima,animata- nel senso pieno di dare un’anima e di costituirla - così 
che il personaggio appare la manifestazione della seconda vita  degli esserie delle 
cose , come animali e vegetali, dai tratti fortemente umanizzati .
Queste forme spettacolari tradizionali servono in modo particolare nel teatro di 
Sony Labou Tansi, impregnato dell’incredibile forza della sua parola,per la 
riappropriazione delle funzioni sociali e “terapeutiche”che sono proprie del teatro,
in particolare del suo  teatro.
 Il Teatro-Rituale d’oggi cerca di favorire con la sua partitura  l’accesso a un livello di coscienza superiore dove si possa recuperare in se stessi la maniera di liquidare le forze negative e risolvere i propri problemi.
Nella giungla della società moderna,insomma,l’eroe appare come un  giustiziere  incaricato di difendere la società civile,ordinaria,la nostra,contro le forze che tentano di distruggerla. I predatori sono tutti i dittatori del mondo,tutti gli  squali degli affari,i mostri,con il loro esercito di tori-tangheri,che non si contentano soltanto di arricchirsi,ma diventano banditi.
Riflettendo sulle forme spettacolari della loro cultura comunitaria gli artisti africani hanno messo in discussione  i fondamenti della forma teatrale  occidentale ,che peraltro già le avanguardie europee  avevano fatto vacillare.
Siamo insomma di fronte a un teatro utile che promuove a suo modo il miglioramento sociale .Assistiamo alla riappropriazione di funzioni sociali con l’utilizzazione di elementi culturali ancestrali.
Una drammaturgia dove si osa confondere i riferimenti e decostruire i referenti, ricca di esuberanza e  di fantasia, con una capacità di inventare che ha aperto la via.
Primo nodo: La contaminazione più interessante,più creativa,più originale  della lingua è dunque  il lavoro  compiuto in Congo da Sony Labou Tansi  che gioca con risultati di grande suggestione con il lessico come  con le strutture grammaticali.
Il lavoro acharné[12] sulla lingua ,dunque ,è  elemento fondamentale.
Secondo nodo :Ma per dire cosa ?Una  trama che resiste quindi semplicemente come pretesto per la denuncia, appena camuffata dal velo mitico,dal tono fiabesco.
Terzo nodo: natura multidisciplinare ,ricerca per  integrare la musica,la danza,il canto nelle loro drammaturgie,rimettendo in discussione il primato del testo  nello spettacolo teatrale. La mescolanza e la contaminazione dei generi porta una nuova attenzione  alla tradizione animista,dove la Parola è legata al gesto ,al ritmo,implica in modo stringente il corpo, in forme che discendono da una cultura dove realtà e immaginario non si oppongono,anzi,compenetrandosi,si completano. Quella Parola che implica in modo stringente il corpo perché è legata al gesto ,al ritmo . Il rituale, ,tra le forme spettacolari endogene comprende una serie di attività che includono narrazione,musica e movimenti, con sequenze spesso animate da maschere. “Il portatore presta la realtà alla maschera,che ne prende possesso durante i riti e la danza. A quel punto è lo spirito rappresentato dalla maschera,che danza,che parla,non è più né l’uomo che la porta né l’oggetto scolpito”[13].

In modo più generale, questo ritorno alle sorgenti del sacro si manifesta con un lavoro drammaturgico che passa anche attraverso l’utilizzazione del mito, che si pone in relazione diretta con le forze chegovernano l’architettura del mondo, il senso dell’universo,nella misura in cui,come abbiamo già accennato,costituisce un punto d’incontro tra la dimensione del tempo storico e dell’extratemporale, un luogo dove si realizza la dimensione simbolica. Ecco allora  la costola metafisica affiorare costantemente nelle manifestazioni culturali.
 Tutto questo lo lasciamo,  però, affermare,a conclusione,  direttamente al nostro drammaturgo.
-Due domande per  richiamare l’attenzione sulla funzione dei contenuti e del genere della struttura drammaturgica:
“Voici une histoire qui,au lieu de faire rire les bouches et les mains,décide subitement de faire rire les coeurs et les cervelles[…]
Comment mettre en scène tout un village mangé par un arbre? Et à une époque où les gens  ont une trouille bleue du rire qui secoue toute chair à lui faire lâcher  les repères coutumiers de l’être légalisé?”'[14]
- Un’affermazione messianica per indicare l’obiettivo dell’azione dei personaggi:
“Ils ont rêve et mission d’inaugurer une terre potable au sens que l’eau potable a des vertus d’incoloration,d’inodoration et d’absence de saveur:comme notre civilisation perd de saveur.”[15]
-Ecco ora l’anello che mette in connessione il continente nero con l’ umanità dell’intero pianeta  e la  conclusione con un riferimento a se stesso in rapporto allo strenuo impegno per  contribuire  alla costruzione di  un futuro universale degno del nome:
“Je déferle comme la forêt vierge dans tous les domaines privés du langage parce qu’il serait tragique  que la liberté vieillisse nous avons tous besoin que l’avenir dure longtemps.- -[16]











































[1] Ad esempio:Aimé Césaire:”Une saison au Congo”,sulla conquista del governo da parte di Patrice Lumumba.
 Seuil éd.1973.

[2] Il teatro secondo Grotowskij - grazie alla tecnica dell'attore, quest'arte in cui un organismo vivo lotta per motivi superiori - presenta una occasione di quel che potremmo definire l'integrazione, il rifiuto delle maschere, il palesamento della vera essenza: una totalità di reazioni fisico mentali. Questa possibilità deve essere utilizzata in maniera disciplinata, con una piena consapevolezza delle responsabilità che essa implica. È in questo che possiamo scorgere la funzione terapeutica del teatro per l'umanità nella civiltà attuale. (1968)
[3] Colette:” Le Blé en Herbe”,1954.
[4] Non lo si poteva presentare a chiunque,così com’era …
[5] Monologo d’oro e nozze d’argento per dodici personaggi.
[6] Una bella vitarella ben osata.
[7] Accanito.
[8]“ In termini africani ,la macdonaldizzazione del mondo.Io ritorno alla mia vecchia sfrontatezza di voler ingravidare non soltanto una storia,ma un dire/linguaggio  sufficientemente duro per sfondare tutti i sonni di questo mondo. »
[9] “La scommessa è enorme nel voler mettere una foresta in una sala ma le potenzialità dei linguaggi sono enormi[…]Si tratta di lavorare con parole,musicisti,strumenti delle forme – l’albero[…] ha conosciuto/visto i dinosauri,occorre farne una magnifica marionetta gigante in un campo di strumenti musicali - ,in un villaggio dare la parola a un  universo  che sta morendo.
Una morte-mutazione che fa  traslocare le abitudini,i costumi,le acquisizioni e le certezze,per far più posto /dare maggior spazio al dubbio/all’interrogazione,alla spontaneità,al vitale grezzo.”
[10] Ousmane Diakhaté ,professore all’Università di  Dakar e direttore del   Théâtre National Daniel Sorano che fu una realizzazione del Padre della  Nazione senegalese, feu Léopold Sédar Senghor. E’il testimone del primo festival mondiale delle  arti negre, organizzato da lui nel  1966. Dalla sua apertura, ospita grandi manifestazioni culturali,artistiche e educative. Ousmane Diakhaté dirige il teatro da più d’un decennio.
[11] “Parlo di una magnifica donna che si chiama “La Terra”.E perché una donna? Perché anche se tutti gli uomini l’hanno dimenticato,la donna è l’esatto sapore di Dio,si tuffa in tutto quel che la vita tocca.”
[12] Accanito.
[13] Come ci spiega Ousmane Diakhaté.
[14] - Ecco una storia che,invece di far ridere le bocche e le mani,decide immediatamente di far ridere i cuori e i cervelli[…]
  - Come mettere in scena  un intero  villaggio mangiato da un albero? E per giunta  in un’epoca in cui la gente ha una paura matta del riso che scuote le carni al punto di fare abbandonare i riferimenti abituali dell’essere legalizzato?”
[15] Hanno il sogno e la missione d’inaugurare una terra potabile nel senso che l’acqua potabile ha delle virtù incolori,inodori  e insapori /di assenza di sapore:come la nostra civiltà perde il sapore.

[16] “Io straripo/tracimo/invado/mi insinuo come la foresta vergine  in tutti gli aspetti privati del linguaggio,perché sarebbe tragico che la libertà invecchiasse :abbiamo tutti bisogno che l’avvenire duri a lungo.-“



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