Il
teatro africano.
Cerchiamo
di affrontare la ricerca sul teatro
africano,prima di tutto con una prospettiva storica per cercare di scoprire non
solo i nodi della sua identità attuale,ma anche le ragioni che essi sottendono
e le tappe che hanno segnato il percorso che ha permesso di tratteggiarne il
profilo.
A rappresentare questo complesso intreccio di
elementi abbiamo scelto un drammaturgo Sony Labou Tansi - che ci è subito apparso
significativo per un insieme ricco e originale di motivi.
E’
noto come in Africa il teatro sia stato lo strumento privilegiato dagli
intellettuali per provare a regolare i conti con il colonizzatore ,che già se
ne era servito per cercare di tenere sotto controllo la loro resistenza.
E’
quindi ancora mediante il teatro che con
la decolonizzazione- quando siamo negli anni ’60 – i drammaturghi provano a
infondere speranza nel popolo perché creda nella possibilità di diventare
attore del proprio destino. Basta ricordare quanto impegno Aimé Césaire[1] dedicò al teatro
africano,convinto di quanto esso fosse più utile della sua poesia a sostenere
la causa della negritudine.
Emblematiche alcune battute di alcuni personaggi della
pièce:-Il suonatore di sanza:”Andiamo,signori,calmatevi!Basta
con le beghe etniche. Non lasciamo che
il colonialismo divida il campo per regnare!Controlliamo queste dispute
tribali!”[…]Lumumba:”Ma,compagni,il
gusto di vivere,non hanno potuto indebolircelo in bocca,e abbiamo lottato,coi
nostri poveri mezzi lottato per cinquant’anni ed ecco:abbiamo vinto.”[…]
Nel
decennio successivo si manifesta la
necessità di denuncia di nuovi problemi che logorano il tessuto socio-politico
del continente. Il potere della borghesia
nera ha rivelato il suo volto
autoritario e corrotto. La satira entra allora da aspra protagonista nelle
rappresentazioni,che devono peraltro rinunciare ad ogni forma di realismo per
poter mantenere la propria forma di denuncia:E’infatti indispensabile distogliere l’attenzione del censore,
che è sempre in agguato,col ricorso al
registro fantastico. Mettere in
discussione l’arte teatrale occidentale porta a ridiscutere inoltre del tutto
naturalmente anche gli strumenti linguistici perché favoriscano il coinvolgimento
dello spettatore e siano funzionali all’allargamento del pubblico. In primi/In
primo luogo è certamente l’uso del
francese a far discutere . Si è
consapevoli di come esso favorisca la comunicazione con l’universo della
francofonia ,ma non si ignora neppure come sia insita in quella lingua la
sopravvivenza di una connotazione che la storia ha reso piuttosto ambigua. Che
la forte diffidenza nei confronti di una lingua introdotta e imposta dal
colonizzatore sia un problema che sopravvive, lo testimonia ,ad
esempio,l’affermazione del drammaturgo
congolese Tchicaya U Tam,che,però,lo
affronta ribaltandolo costruttivamente:”
La lingua francese mi colonizza,io la colonizzo a mia volta.”.Altri
preferiscono far coesistere con funzioni di definizione di identità sociale la lingua francese, parlata
dunque dai personaggi che rappresentano il potere in opposizione con il français de moussa (il gergo parlato nei
vicoli delle città della Côte d’Ivoire,ad esempio )con cui si esprimono i
personaggi popolari.
Altri autori
,invece,preferiscono intervenire riforgiando quella lingua.
E’ quello che comincia Sony Labou Tansi negli anni ‘70. Egli
infatti adotta un atteggiamento più libero dei suoi predecessori nei suoi
confronti,giocando con le strutture grammaticali e con il lessico. La sua
lingua deriva dall’evoluzione del rapporto con la lingua francese e dalla
concezione del suo controllo. Al
di là della sua creatività linguistica,del suo personalissimo universo,il suo
teatro rappresenta una svolta nella drammaturgia
dell’Africa nera francofona nella misura in cui i suoi personaggi si caricano
di una parola individuale e non sono più
i rappresentanti di una comunità .
Intanto ,però, decostruendo e destrutturando – siamo in piena età
strutturalistica - la lingua, fino a mescolare
quella della classe dirigente con quella parlata dal popolo nei vicoli
delle città, i drammaturghi africani
permettono una più forte adesione del
pubblico alla comprensione dello spettacolo
La
contaminazione più interessante,più creativa,più originale della lingua è dunque il lavoro
compiuto in Congo da Sony Labou Tansi
con il suo teatro terapeutico[2],che gioca con
risultati di grande suggestione con il lessico come con le strutture grammaticali .E la funzione
di questa drammaturgia,che chiama anche “teatro della guarigione”,una sorta di
psicodramma curativo, consiste nel dare un ruolo a un malato – il più spesso a
un malato mentale – in una storia che
doveva coinvolgere l’intero villaggio
durante i pleniluni fino al momento in cui il malato riconquistasse il posto
che gli competeva nella società.
L’opera
che abbiamo scelto è inoltre tra le sue più particolari perché -
scritta con un carattere di sperimentalismo molto radicale per l’editore belga
Lansman nel 1992 dal titolo Une
vie en arbre [3]et
chars...bons, con evidente gusto di citazione evocativa e di gioco con le
sonorità omofone - approda per lo stesso editore nel 1998 ad una
riscrittura , dove l’autore confessa - in
una lettera allo stesso - di aver
sentito il forte impulso a una comunicazione allargata , riconoscendo « qu’on ne pouvait pas le présenter à qui que ce soit tel qu’il était… [4]»
, che lo porta a scegliere perfino un nuovo titolo Monologue d’or et noces d’argent
pour douze personnages [5]prima e poi ,semplicemente, il definitivo Monologue d'or et noces d'argent .In questa stessa lettera egli afferma di
valutare il notevole progresso della propria scrittura drammaturgica non solo
rispetto alla pièce del 1992, ma anche a Une chouette petite vie bien osée[6], sempre per Lansman, del 1992.
Il lavoro acharné[7]
sulla lingua ,dunque ,è elemento fondamentale che appare in tutta la sua splendente evidenza
. E’ lui stesso ad affermare che nella sua pièce
celebra la più tropicale,lussureggiante “noce du verbe”.
Ma per dire cosa ?Ancora una volta è lui stesso a
rivelarcelo : « En terme
d’Afrique la macdonaldisation du mondeJe retourne à ma vieille effronterie de
vouloir engrosser non point une histoire,mais un dire assez dur pour défoncer
tous les sommeils de ce monde». [8]La
trama resiste quindi semplicemente come pretesto per la denuncia, appena
camuffata dal velo mitico,dal tono fiabesco.
Ai piedi del gran mambarino,Charlotte e Colette piangono il rimpianto
Georges,venuto a sprecare otto anni in quel buco con l’ingannevole impegno
di studiare l’albero più vecchio della
terra. Intanto l’uomo - mostro e l’uomo
– orologio,seguiti da una triste colonna di americansfascisti,si avvicinano al
villaggio di Carmanio –svuotato nel passato dei suoi abitanti in un sol giorno
– per chieder conto a quell’albero,che ha bevuto tanti anni da esserne
caduto ebbro di vita ,come gli uomini
sono ebbri d’alcool,di denaro,di potere,di suicidio,di fantasmi o d’insanità.
Ascoltiamo le intenzioni di messa in scena dell’autore per meglio
apprezzare il senso del tentativo in
atto :
« Le
pari est énorme de vouloir mettre une forêt dans une salle. Mais les moyens de
langages sont énormes […]Il s’agit avec des mots, des musiciens, des
instruments des formes – l’arbre[…]a vu les dinosaures, il faut en faire une magnifique marionnette géante dans un
champ d’instruments de musique -,dans
un village de donner la parole à un univers mourant .Une mort-mutation qui
déménage les habitudes, les coutumes, les acquis et les certitudes, pour donner
plus d’espace à l’interrogation, à la spontanéité, au brut vital. »[9]
Identità
innovatrici emergono alla modernità e il pensiero dominante diffuso dai centri
del potere si lacera. Le letterature post-coloniali,che hanno forgiato in
questa lotta per la libertà il loro linguaggio,manifestano
la
loro attitudine alla destabilizzazione del sistema esistente.
Consapevoli
che gli elementi drammaturgici della tradizione africana e quelli del teatro
all’occidentale
si fiancheggiano sulla scena senza penetrarsi,alcuni autori cercano gli
strumenti drammaturgici per rendere possibile
quest’incontro.
Riflettendo
sulle forme spettacolari della loro cultura comunitaria gli artisti africani
hanno messo in discussione i fondamenti
della forma teatrale occidentale,che peraltro già le avanguardie europee
avevano fatto vacillare.
Le forme di
spettacolo africane hanno tradizionalmente una natura multidisciplinare ,ed ecco che gli artisti cercano ora di
integrare la musica,la danza,il canto nelle loro drammaturgie,rimettendo in
discussione il primato del testo nello
spettacolo teatrale.
Ecco allora un altro elemento caratterizzante del
percorso che gli autori di teatro in Africa hanno intrapreso e che ritroviamo
in Sony Labou Tansi.:la multidisciplinarità ovvero la mescolanza e la
contaminazione dei generi.
Si torna inoltre alla
cultura ancestrale,si rivolge una nuova attenzione alla tradizione
animista.
In Africa la Parola è
legata al gesto,al ritmo,implica in
modo stringente il corpo .E il
teatro,a partire soprattutto dagli anni ’80,manifesta la volontà esplicita di
restituirgli un ruolo centrale,in forme che discendono da una cultura dove
realtà e immaginario non si oppongono,anzi,compenetrandosi,sicompletano. Come
permeabile è anche la separazione tra sacro e profano,fra le lingue e il
sistema religioso:la
costola metafisica affiora costantemente nelle manifestazioni culturali. Il rituale,peresempio,tra le forme
spettacolari endogene comprende una serie di attività che includono narrazione,
musica e
movimenti,con sequenze spesso animate da maschere. “Il portatore presta
la realtà alla maschera,che ne prende possesso
durante i riti e la danza. A quel punto
è lo spirito rappresentato dalla maschera,che
danza,che parla,non è più né l’uomo
che la porta né l’oggetto scolpito”,come ci spiega Ousmane Diakhaté.[10]
In modo più
generale,questo ritorno alle fonti del sacro si manifesta con un lavoro
drammaturgico che passa anche
attraverso l’utilizzazione della letteratura orale sacra,esoterica e profonda ,costituita dalla preghiera
e ancora più dal mito,
quest’ultimo ponendosi in relazione diretta con le forze che governano
l’architettura del mondo,il senso dell’universo,nei limiti in cui il mito è un
punto
d’incontro tra la durata storica e l’extratemporalità,un
luogo dove la dimensione
simbolica ha la meglio.
E’ ancora Sony Labou
Tansi che ci racconta della sua pièce:”Je
parle d’une magnifique femme qui a nom“la Terre”.Et pourquoi une femme?Parce que même si tous les hommes
l’ont oublié,la femme est la saveur exacte de Dieu.elle plonge dans tout ce que
la vie touche.”[11]
La letteratura
profana,che contemporaneamente viene utilizzata ,con la sua costante funzione ludica ed educativa,è
fondamentalmente costituita da proverbi,racconti,leggende,favole,canti popolari,poemi
epici,liriche d’amore. Il
racconto,
dal profilo quasi sempre mitico, è il nutrimento più
adottato per il teatro,
dove gli esseri,i fenomeni,le cose della civiltà africana vivono tutti una doppia vita,
una
concreta,percepibile dai nostri sensi come dal buon senso dalla ragione,e una che
trascende la prima,animata- nel senso pieno di dare un’anima e di costituirla - così
che il personaggio appare la manifestazione della seconda vita degli esserie delle
cose , come
animali e vegetali, dai tratti fortemente umanizzati .
Queste forme
spettacolari tradizionali servono in modo particolare nel teatro di
Sony Labou
Tansi, impregnato dell’incredibile
forza della sua parola,per la
riappropriazione delle funzioni sociali e
“terapeutiche”che sono proprie del teatro,
in particolare del suo teatro.
Il Teatro-Rituale
d’oggi cerca di favorire con la sua partitura
l’accesso a un livello di coscienza superiore dove si possa recuperare
in se stessi la maniera di liquidare le forze negative e risolvere i propri
problemi.
Nella giungla della
società moderna,insomma,l’eroe appare come un
giustiziere incaricato di
difendere la società civile,ordinaria,la nostra,contro le forze che tentano di
distruggerla. I predatori sono tutti i dittatori del mondo,tutti
gli squali degli affari,i mostri,con il
loro esercito di tori-tangheri,che non si contentano soltanto di arricchirsi,ma
diventano banditi.
Riflettendo sulle forme spettacolari della loro cultura
comunitaria gli artisti africani hanno messo in discussione i
fondamenti della forma teatrale occidentale ,che peraltro già le
avanguardie europee avevano fatto vacillare.
Siamo insomma di
fronte a un teatro utile che promuove a suo
modo il miglioramento sociale .Assistiamo alla
riappropriazione di funzioni sociali con l’utilizzazione di elementi culturali
ancestrali.
Una drammaturgia dove
si osa confondere i riferimenti e decostruire i referenti, ricca di esuberanza
e di fantasia, con una capacità di inventare che
ha aperto la via.
Primo nodo: La
contaminazione più interessante,più creativa,più originale della lingua è dunque il lavoro
compiuto in Congo da Sony Labou Tansi
che gioca con risultati di grande suggestione con il lessico come con le strutture grammaticali.
Il lavoro acharné[12]
sulla lingua ,dunque ,è
elemento fondamentale.
Secondo
nodo :Ma per dire cosa ?Una trama che resiste quindi semplicemente come pretesto per la denuncia, appena
camuffata dal velo mitico,dal tono fiabesco.
Terzo nodo: natura multidisciplinare ,ricerca
per integrare la musica,la danza,il
canto nelle loro drammaturgie,rimettendo in discussione il primato del
testo nello spettacolo teatrale. La
mescolanza e la contaminazione dei generi porta una nuova attenzione alla tradizione
animista,dove la Parola è legata al gesto
,al ritmo,implica in modo stringente il corpo, in forme che discendono da una cultura dove realtà e
immaginario non si oppongono,anzi,compenetrandosi,si completano. Quella Parola
che implica in modo stringente il corpo
perché è legata al gesto ,al ritmo
. Il rituale, ,tra le forme
spettacolari endogene comprende una serie di attività che includono
narrazione,musica e movimenti, con sequenze spesso animate da maschere. “Il portatore presta la realtà alla
maschera,che ne prende possesso durante i riti e la danza. A quel punto è lo
spirito rappresentato dalla maschera,che danza,che parla,non è più né l’uomo
che la porta né l’oggetto scolpito”[13].
In modo più generale,
questo ritorno alle sorgenti del sacro si manifesta con un lavoro
drammaturgico che passa anche
attraverso l’utilizzazione del mito,
che si pone in relazione diretta con le forze chegovernano
l’architettura del mondo, il senso dell’universo,nella misura in cui,come
abbiamo già accennato,costituisce un punto
d’incontro tra la dimensione del tempo storico e dell’extratemporale, un luogo
dove si realizza la dimensione simbolica. Ecco allora la costola metafisica affiorare costantemente
nelle manifestazioni culturali.
Tutto questo lo
lasciamo, però, affermare,a
conclusione, direttamente al nostro
drammaturgo.
-Due domande per richiamare l’attenzione sulla funzione dei
contenuti e del genere della struttura drammaturgica:
“Voici une histoire qui,au lieu de faire rire les bouches et les
mains,décide subitement de faire rire les coeurs et les cervelles[…]
Comment mettre en scène tout un village mangé par un arbre? Et à
une époque où les gens ont une trouille
bleue du rire qui secoue toute chair à lui faire lâcher les repères coutumiers de l’être légalisé?”'[14]
- Un’affermazione
messianica per indicare l’obiettivo dell’azione dei personaggi:
“Ils ont rêve et mission d’inaugurer une terre potable au sens que
l’eau potable a des vertus d’incoloration,d’inodoration et d’absence de
saveur:comme notre civilisation perd de saveur.”[15]
-Ecco ora l’anello
che mette in connessione il continente nero con l’ umanità dell’intero pianeta e la conclusione con un riferimento a se stesso in
rapporto allo strenuo impegno per
contribuire alla costruzione di un futuro universale degno del nome:
“Je déferle comme la forêt vierge dans tous les domaines privés du
langage parce qu’il serait tragique que la liberté vieillisse
nous avons tous besoin que l’avenir dure
longtemps.- -[16]
[1] Ad
esempio:Aimé Césaire:”Une saison au Congo”,sulla conquista del governo da parte
di Patrice Lumumba.
Seuil éd.1973.
[2] Il teatro secondo Grotowskij - grazie alla tecnica
dell'attore, quest'arte in cui un organismo vivo lotta per motivi
superiori - presenta una occasione di quel che potremmo definire
l'integrazione, il rifiuto delle maschere, il palesamento della vera essenza:
una totalità di reazioni fisico mentali. Questa possibilità deve essere
utilizzata in maniera disciplinata, con una piena consapevolezza delle
responsabilità che essa implica. È in questo che possiamo scorgere la funzione terapeutica del teatro per l'umanità
nella civiltà attuale. (1968)
[3] Colette:” Le Blé en Herbe”,1954.
[4] Non lo
si poteva presentare a chiunque,così com’era …
[5] Monologo
d’oro e nozze d’argento per dodici personaggi.
[6] Una
bella vitarella ben osata.
[7]
Accanito.
[8]“ In
termini africani ,la macdonaldizzazione del mondo.Io ritorno alla mia vecchia
sfrontatezza di voler ingravidare non soltanto una storia,ma un dire/linguaggio sufficientemente duro per sfondare tutti i
sonni di questo mondo. »
[9] “La
scommessa è enorme nel voler mettere una foresta in una sala ma le potenzialità
dei linguaggi sono enormi[…]Si tratta di lavorare con
parole,musicisti,strumenti delle forme – l’albero[…] ha conosciuto/visto i
dinosauri,occorre farne una magnifica marionetta gigante in un campo di
strumenti musicali - ,in un villaggio dare la parola a un universo
che sta morendo.
Una morte-mutazione che fa traslocare le abitudini,i costumi,le
acquisizioni e le certezze,per far più posto /dare maggior spazio al
dubbio/all’interrogazione,alla spontaneità,al vitale grezzo.”
[10] Ousmane
Diakhaté ,professore all’Università di
Dakar e direttore del Théâtre
National Daniel Sorano che fu una realizzazione del Padre della Nazione senegalese, feu Léopold Sédar
Senghor. E’il testimone del primo festival mondiale delle arti negre, organizzato da lui nel 1966. Dalla sua apertura, ospita grandi
manifestazioni culturali,artistiche e educative. Ousmane Diakhaté dirige il
teatro da più d’un decennio.
[11] “Parlo
di una magnifica donna che si chiama “La Terra”.E perché una donna? Perché
anche se tutti gli uomini l’hanno dimenticato,la donna è l’esatto sapore di
Dio,si tuffa in tutto quel che la vita tocca.”
[12]
Accanito.
[13] Come ci
spiega Ousmane Diakhaté.
[14] - Ecco una storia che,invece di far ridere le bocche e
le mani,decide immediatamente di far ridere i cuori e i cervelli[…]
- Come
mettere in scena un intero villaggio mangiato da un albero? E per
giunta in un’epoca in cui la gente ha
una paura matta del riso che scuote le carni al punto di fare abbandonare i
riferimenti abituali dell’essere legalizzato?”
[15] Hanno il sogno e la missione d’inaugurare una terra
potabile nel senso che l’acqua potabile ha delle virtù incolori,inodori e insapori /di assenza di sapore:come la
nostra civiltà perde il sapore.
[16] “Io straripo/tracimo/invado/mi insinuo come la
foresta vergine in tutti gli aspetti
privati del linguaggio,perché sarebbe tragico che la libertà invecchiasse
:abbiamo tutti bisogno che l’avvenire duri a lungo.-“
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