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lunedì 13 gennaio 2014

Diario di Bordo.(105)




Bollettini,sempre secondo l’uso del salotto di Mme Doublet,ma come didascalie che servono a introdurre,secondo il nostro punto 
di vista , gli stralci di documentazione.




A.La moda dei cafés si è ormai affermata  e rende inquieto l’universo intellettuale dei salons,che se da un lato guardano con sufficienza questo mondo che si apre a un pubblico non selezionato e ne stimola la partecipazione attiva,dall’altro sembra quasi  temere per il proprio primato. Considerati fino ad allora il punto di incontro dell’intellighenzia progressista del paese,percepiscono il pericolo che il nuovo sfugga al controllo,specialmente quando vedono che anche alcuni intellettuali nazionali e internazionali se ne interessano e perfino cominciano ascriverne,pronosticandone il grande successo e ‘importante funzione sociale,se saranno operati alcuni semplici accorgimenti.







Montesquieu



A.


Lettre XXXVI





Usbek a Rhédi,a Venezia.



Il caffè è molto in uso a Paris :c’è un gran numero di case pubbliche dove lo si distribuisce.  In qualcuna di queste case,si dicono notizie;in altre si gioca a scacchi. Ce n’è una,dove si prepara il caffè in un modo tale che dà spirito a chi lo prende:almeno,di tutti quelli che escono,non c’è nessuno che non creda d’averne quattro volte in più di quando è entrato. Ma ciò che mi sorprende di quei begli spiriti,è che non si rendono utili alla loro patria,e che esercitano i loro talenti in cose puerili. Per esempio,quando arrivai a Paris,li trovai eccitati su una disputa , la più esile che si possa immaginare:  si trattava della reputazione di un vecchio poeta greco di cui,dopo duemila anni ,si ignora la patria come il tempo della sua morte. I due partiti confessavano che era un poeta eccellente;non era questione che del minore o maggior merito che bisognava  attribuirgli. Ciascuno ne voleva dare il tasso;ma,fra questi  distributori di reputazione,gli uni avevano maggior peso di altri. Ecco la disputa! Era ben viva: perché si scambiavano cordialmente da una parte all’altra  ingiurie così grossolane,si facevano scherzi così amari,che non ammiravo meno  il modo di disputarsi che il tema della disputa.”Se qualcuno,dicevo dentro di me,fosse abbastanza stordito

da andare davanti a uno di questi  difensori del poeta greco ad attaccare  la reputazione  di qualche onesto cittadino,non sarebbe molto notato ,e credo che quello zelo  tanto delicato sulla reputazione dei morti si infuocherebbe  molto per difendere quella dei vivi! Ma,comunque,aggiungevo,Dio mi guardi dall’attirarmi l’inimicizia dei censori di quel poeta,che il soggiorno di duemila anni nella tomba non ha potuto proteggere da un odio così implacabile! Danno attualmente colpi in aria. Ma che succederebbe se il loro furore fosse animato dalla presenza di un nemico?”

Quelli di cui hai appena  parlato discutono in lingua volgare e occorre distinguerli da un’altra specie di disputatori che si servono di una lingua barbara che sembra aggiungere  qualcosa al furore e alla testardaggine dei combattenti. Ci sono quartieri dove si vede come una  mischia nera e folta di questo tipo di gente; si nutrono di distinzioni;vivono di ragionamenti e di false conseguenze. Questo mestiere ,dove si dovrebbe morire di fame,non smette di rendere:si è vista una nazione intera,scacciata dal suo paese,traversare i mari per stabilirsi in Francia ,non portando via con sé per fronteggiare le necessità della vita,che un indubbio talento per la disputa. Addio.



Da Paris,l’ultimo della luna di Zilhagé,1713.

                                                            

                                                                         ****

 

B.Infatti l’apertura dello storico Procope  non resta un caso isolato In poco tempo si dice  che il numero dei cafés a Parigi  sia arrivato  quasi a quattrocento . Infatti  si sono rivelati luoghi in cui la socievolezza  è diretta,immediata,assolutamente priva di conformismo .Le regole dei salons non solo limitavano l’accesso a un pubblico ristretto,ma finivano inevitabilmente per limitare la libertà effettiva del dibattito,dunque la ricchezza  reale del pensiero. Gli intellettuali,ospiti apprezzati dai salons,non solo ne hanno parlato con favore,ma hanno preso a frequentarli e a metterne sempre più in evidenza i numerosi aspetti positivi.Diderot incontra il Neveu de Rameau al Café Régence.,dove si reca spesso per assistere alle partite di scacchi.

Goldoni,che trasferitosi dalla sua Venezia in un appartamento al Palais Royal scrive una testimoniaza entusiastica dell’animazione che a tutte le ore del giorno si produce intorno alle più disparate attività che egli ammira con piacere,osservandole dalla sua finestra,nelle sue pause di lavoro





Denis Diderot



A.                                                         



Le Neveu de Rameau.



Lully e Jean –Philippe Rameau



E’ il nipote di questo musicista celebre che ci ha liberati dal canto pieno di Lully che salmodiavamo da più di cent’anni,che ha scritto tante di quelle visioni inintelligibili e di verità apocalittiche sulla teoria della musica,dove né lui né nessun’altro capì mai niente e del quale abbiamo un certo numero di opere dove c’è armonia,brani di canti,idee sconnesse, fracasso,voli,trionfi,lance,glorie,mormorii,vittorie a perdifiato,arie di danza che dureranno eternamente e che,dopo aver sepolto il Fiorentino,sarà sepolto dai virtuosi italiani,ciò che lo rendeva cupo ,triste ,astioso[…]

Io.-Non chiederei niente di meglio che di credervi,se non fossi trattenuto da un piccolo inconveniente.

Lui.-E quest’inconveniente?

Io.-E’ che se questa musica è sublime bisogna che quella del divino Lully[…] e anche,sia detto tra noi,quella del caro zio,sia un po’ piatta.

Lui,avvicinandosi al mio orecchio,mi rispose:-il fatto è  che lo è pure quella. Non è che io mi preoccupi del caro zio .E’ una pietra. Mi vedesse tirar la lingua da un piede,non mi darebbe un bicchier d’acqua. Ma  a un  bel fare ,all’ottava,alla settima:hon,hon;hin ,hin;tu,tu,tu,tureletutu con una confusione,un chiasso del diavolo;quelli che cominciano a raccapezzarcisi e che non scambiano  più un baccano del diavolo per la musica,non si adatteranno mai a questo.







Carlo Goldoni



B.


Mémoires.



Terza parte.Capitolo IV.



Avevo preso in affitto un appartamento al Palais Royal  ; il mio studio dava su quel giardino che non aveva la forma né le piacevolezze che ha attualmente,ma che offriva alla vista attrazioni che alcuni non cessano di rimpiangere.

Potevo essere anche molto occupato,ma non potevo impedirmi di gettare di tanto in tanto uno sguardo a quel viale delizioso che riuniva ad ogni ora tanti oggetti diversi.

Vedevo sotto le mie finestre colazioni del Café de Foye ,dove gente di ogni stato veniva a riposarsi e a rinfrescarsi.

Davanti a me avevo quel famoso castagno che chiamavano l’albero di Cracovia,intorno al  quale si riunivano i novellisti ,leggevano i loro racconti,tracciando sulla sabbia con i loro bastoni,trincee,campi,posizioni militari,dividendo l’Europa a loro piacimento.



                                                                                     ******

C. Si stabilisce un’inevitabile competizione,che evidentemente giova alla circolazione delle idee e al loro arricchimento,tra i salons e i cafés .Il dibattito ruota ormai,anche se con toni e spessori diversi,intorno al tema del cambiamento. Un cambiamento molti segni confluiscono a farlo ormai apparire non solo necessario,ma anche prossimo. La natura del potere coinvolge gli intellettuali,che si servono dell’ironia più caustica ,per denunciarne i limiti,ormai non solo evidenti,ma anche intollerabili. La razionalità più rigorosa e limpida dei filosofi è funzionale al progetto di una nuova struttura per un futuro più giusto.





Montesquieu



A.


Les Lettres Persanes



Lettre XXIV



Rica à Ibben à Smyrne



Il  re di Francia è il principe più potente d’Europa,non ha affatto miniere d’oro come il re di Spagna,il suo vicino;ma ha più ricchezze di lui,perché le trae dalla vanità dei suoi sudditi,più inestinguibile delle miniere. Lo si è visto intraprendere o sostenere grandi guerre senza avere altri fondi che titoli onorifici da vendere e,per un prodigio dell’orgoglio umano,le sue truppe si trovavano pagate,le sue fortezze equipaggiate e  le sue flotte armate.

D’altronde questo re è un gran mago: esercita il suo imperio sullo spirito stesso dei suoi sudditi;li fa pensare come vuole. Se non ha che un milione di scudi nel suo tesoro,e ne abbia bisogno di due,non ha che da convincerli che uno scudo ne vale due,e loro lo credono.[…] Arriva  perfino a far loro credere che li guarisce da ogni sorta di male con l’imposizione delle sue mani;tale è la forza e la potenza ch’egli ha sugli spiriti.





Denis Diderot



B.


Enciclopedia



Articolo “Autorità politica”



Nessun uomo ha ricevuto dalla natura il diritto di comandare gli altri. La libertà è  un dono del Cielo,e ogni individuo della stessa specie  ha il diritto di goderne come gode della ragione. Se  la natura ha stabilito qualche autorità,è il potere paterno;ma l’autorità paterna ha i suoi limiti;e nello stato di natura,finirebbe appena i figli fossero in condizione di gestirsi. Ogni altra autorità ha altra origine della natura. Che la si esamini bene e la si farà sempre risalire a una di queste due fonti:o la forza e la violenza di colui che se ne è impadronito;o il consenso di  coloro che vi si sono sottomessi con un contratto fatto o supposto fra loro e colui al quale essi hanno conferito l’autorità.

Il potere che si acquisisce con la violenza non è che un’usurpazione e non dura che il tempo in cui la forza di chi comanda l’ha vinta su quella di coloro che obbediscono; in modo che ,se questi ultimi diventano a loro  volta i più forti e scuotono il giogo,lo fanno con altrettanti diritto e giustizia dell’altro che glielo aveva imposto. Talvolta l’autorità che si stabilisce  con la violenza cambia di natura;è quando continua e si mantiene col consenso espresso da coloro che sono stati  sottomessi; ma rientra di là la seconda specie  di cui sto per parlare e colui che se l’era arrogata ,divenendo allora principe, cessa d’essere tiranno.

Il potere,che viene dal consenso dei popoli ,suppone necessariamente condizioni che ne rendono l’uso legittimo,utile alla società,vantaggioso alla repubblica,e che la fissano e la restringono nei limiti,perché l’uomo non deve né può darsi interamente e senza riserva a un altro uomo,perché ha un padrone superiore,al di sopra di tutto al quale  soltanto appartiene interamente..E’ Dio,il cui potere  è sempre immediato sulla creatura,padrone tanto geloso quanto assoluto e che non perde mai i propri diritti e non li comunica affatto..



Jean Jacques Rousseau



C.


Discours sur l’origine de l’inégalité



L’origine della proprietà.



Finché gli uomini si contentarono delle loro capanne rustiche,finché si limitarono a cucire i loro abiti di pelle con spine o lische,a dipingersi il corpo di diversi colori,a ornarsi di piume o di conchiglie,a perfezionare o abbellire  i loro archi o le loro frecce,a tagliare con pietre affilate  qualche canotto da pescatore  o alcuni

grossolani strumenti musicali;in una parola,finché non si applicarono che ad opere che uno solo poteva fare e che ad attività che non avevano bisogno del concorso di più mani,vissero liberi ,sani,buoni,e felici per quanto lo potevano essere per loro natura ,e continuarono a godere fra loro delle dolcezze di un commercio indipendente:ma dall’istante in cui un uomo ebbe  dell’aiuto di un altro,dacché ci si accorse che era utile a uno soltanto  avere provviste per due,l’uguaglianza sparì,la proprietà si introdusse ,il  lavoro diventò necessario,  e le vaste foreste si trasformarono in campagne ridenti che occorse innaffiare del sudore degli uomini,e nelle quali si vide ben presto la schiavitù e la miseria germinare  e crescere con le messi.

La metallurgia e l’agricoltura furono le due attività la cui invenzione produsse questa  grande  rivoluzione.

Per il poeta,è l’oro e l’argento; ma per il filosofo sono il ferro e il grano che hanno civilizzato gli uomini,e perduto il genere umano.



Voltaire



D.


Lettera a Rousseau



                                                                                               Aux Délices près de Genève

                                                                                                                                  [30 août 1755]



Ho ricevuto,Signore,il vostro nuovo libro contro il genere umano;ve ne ringrazio;piacerete agli uomini ai quali dite le loro verità,e non li correggerete. Dipingete con  colori ben veri gli orrori della società umana la cui ignoranza e debolezza  si promettono tante dolcezze. Non abbiamo mai impiegato tanto spirito a volerci rendere bestie.

Viene voglia di camminare a quattro zampe quando si legge la vostra opera. Tuttavia come sono più di sessant’anni che ne ho perso l’abitudine,sento sfortunatamente che mi è impossibile riprenderla. E lascio questa andatura naturale  a coloro che ne sono più degni di voi e di me. Non posso più imbarcarmi per andare a trovare i selvaggi del Canada,per prima cosa perché le malattie  a cui sono condannato mi rendono necessario un medico europeo,in secondo luogo perché la guerra è portata in quei paesi e gli esempi delle nostre nazioni hanno reso i selvaggi quasi altrettanto cattivi di noi. Mi limito a essere un selvaggio pacifico nella solitudine  che ho scelto nella patria vostra dove anche voi dovreste essere.*



*Allusione alla Svizzera, Château de Fernay,dove vive Voltaire e dove Rousseau è nato.

                                                                             

                                                                       *****



                                                                                     

D. E’dalle opere  dei filosofi che, in primis ,cominciano ad affiorare l’ordito e la trama del  cambiamento.

Sembra ormai evidente che esso è necessario ,dunque indifferibile.

L’analisi storica,sociale,antropologica nonché  psicologica, prepara quella giuridica,che sarà, alla fine del secolo, riassunta nella carta dei diritti e dei doveri dei cittadini . E’ per questo che con questo ordito e questa trama sono tessute ancora oggi le più accese discussioni  e analisi mediatiche,politiche e saggistiche,anche nel nostro paese.





Montesquieu



A.


L’esprit des lois,livre II,ch.II.



Dei governi.



Ci sono tre specie di governi:il repubblicano,il monarchico e il despotico. Per scoprirne la natura basta l’idea che ne hanno le il corpo del popolo,o soltanto una parte del popolo persone meno istruite. Suppongo tre definizioni,o piuttosto tre fatti:uno ,che “il governo repubblicano è quello in cui ha il potere sovrano,il monarchico, quello in cui uno solo governa,ma con leggi fisse e stabilite,invece nel dispotico,uno solo,senza leggi e senza regole,trascina tutto con la sua volontà e con i suoi capricci”.



Il governo repubblicano si suddivide a sua volta in democrazia e aristocrazia:

quando,nella repubblica,il corpo del popolo ha il potere sovrano,è una democrazia. Quando il potere sovrano è nelle mani di una parte del popolo,ciò si chiama una aristocrazia.



B.


L’esprit des lois,livre III,ch.III



Principio democratico.



Non occorre molta probità perché un governo monarchico o un governo dispotico si mantenga o si sostenga. La forza delle leggi nell’uno e il braccio del principe sempre alzato nell’altro,regolano o contengono tutto. Ma in uno stato popolare ci vuole una molla in più,che è la virtù.

Quel che dico è confermato dal corpo intero della storia ed è molto conforme alla natura delle cose. Perché è chiaro che in una monarchia in cui colui che fa eseguire le leggi si giudica al di sopra di esse,occorre meno virtù che in un governo popolare ,in cui colui che fa eseguire le leggi sente che vi  è egli stesso sottomessoe che ne porterà il peso.

  E’ ancora chiaro che il monarca che per cattivo consiglio  o per negligenza,cessa di fare eseguire le leggi,può agevolmente riparare il male: non c’è che da cambiare di Consiglio,o correggersi da questa stessa negligenza. Ma quando ,in un governo popolare ,le leggi hanno cessato di essere eseguite,siccome ciò non può avvenire che dalla correzione della repubblica,lo Stato è già perduto.



C.


L’esprit des lois,libro III, ch.VII.



Principio della monarchia.



Mi affretto,e cammino a grandi passi affinché non si creda che io faccia una satira del governo monarchico. No;se manca una molla ,ce n’è un’altra:l’onore,cioè il pregiudizio di ogni persona e di ogni condizione prende il posto della virtù politica di cui ho parlato e la rappresenta dovunque. Vi può ispirare le più belle azioni,può,unito alla forza delle leggi,condurre a buon fine  il governo come la virtù stessa.



D.


L’esprit des  lois,livre III,ch.IX.



Principio del governo dispotico.



Come serve la virtù in una repubblica,e in una monarchia,l’onore,occorre la paura in un governo dispotico:quanto alla virtù non è per niente necessaria e l’onore vi sarebbe pericoloso.

Un governo moderato può,finché lo vuole,e senza pericolo allentare le sue molle. Si mantiene con le sue leggi e con  la stessa sua forza. Ma ,quando,nel governo dispotico il principe cessa per un momento di levare il braccio,quando non può annullare all’istante coloro che hanno i primi posti,tutto è perduto:poiché la molla del governo,che è la paura,non essendoci  più,il popolo non ha più protettore.



Jean Jacques Rousseau


E.


Du Contrat Social



Dalla libertà naturale alla libertà civile.  



Questo passaggio dallo stato di natura mallo stato civile produce nell’uomo un cambiamento molto notevole,sostituendo nella sua condotta la giustizia all’istinto e attribuendo alle sue azioni  la moralità

che mancava loro precedentemente. E’ solo allora che,la voce del dovere succedendo all’impulso fisico e il diritto all’appetito,l’uomo che fino ad allora non aveva guardato che se stesso si vede forzato ad agire su altri principi,e di consultare la sua ragione prima di ascoltare le sue inclinazioni. Sebbene si privi in questo stato di parecchi vantaggi che deriva dalla natura,ne guadagna di così grandi,le sue facoltà si esercita tal punto ano e si sviluppano,le sue idee si espandono,i suoi sentimenti si nobilitano,la sua anima tutta intera si  eleva  a tal punto che ,se gli abusi di questa nuova condizione non lo degradavano  spesso al di sotto di quella da cui è uscito,dovrebbe benedire senza tregua l’istante felice che da lì lo strappò per sempre, e che,di un animale stupido e limitato ,fece un essere intelligente e un uomo.

Riduciamo tutta questa bilancia a termini facili da comparare: ciò che l’uomo perde  col contratto sociale,è la sua libertà naturale e un diritto illimitato a tutto ciò che lo tenta e che può raggiungere;quel che guadagna è la libertà civile e la proprietà di tutto quel che possiede. Per non sbagliarci nelle  compensazioni ,bisogna ben  distinguere la libertà naturale ,che non ha altri limiti che le forze dell’individuo ,dalla libertà civile ,che è limitata dalla volontà generale;e il possesso che non è che l’effetto della forza o del diritto del primo occupante ,dalla proprietà che non  può essere fondata che su un titolo positivo.

Si potrebbe,su ciò che precede,aggiungere all’acquisizione dello stato  civile la libertà morale , che soltanto rende  l’uomo davvero padrone di sé:poiché l’impulso del solo appetito è la schiavitù ,e l’obbedienza alla legge che ci si è prescritta è libertà.



Voltaire


F.


Dictionnaire philosophique



Article “Torture”





I Romani  non inflissero la tortura che agli schiavi,ma gli schiavi non erano considerati uomini..Non c’è apparenza non più  che  un consigliere del tribunale criminale del parlamento di Parigi guarda come uno dei suoi simili un uomo che gli si conduce smunto,  pallido disfatto,gli occhi cupi,,la barba lunga e sporca,coperta di  parassiti da cui è stato divorato  in una galera. Egli si concede  il piacere di applicarlo alla grande e alla piccola tortura,in presenza di un chirurgo che gli tasta il polso,fino a che sia in pericolo di morte,dopo di che si ricomincia e,come dice molto bene la commedia dei Plaideurs (di Racine)”Ciò fa sempre passare un’ora o due”.

Il grave magistrato che ha comprato per qualche soldo il diritto di fare queste esperienze sul suo prossimo,racconterà a cena a sua moglie quel che è accaduto la mattina. La prima volta la signora ne è stata stravolta,la seconda ci ha preso gusto,perché,dopotutto le donne sono curiose;e in seguito la prima cosa che lei gli dice  quando rientra  a casa in toga:”Cuoricino mio,oggi non avete fatto infliggere la tortura a nessuno?”

I Francesi,che passano,non so perché,per un  popolo molto umano,si sorprendono che gli Inglesi ,che hanno avuto l’inumanità di prenderci tutto il Canada,abbiano rinunciato al piacere di infliggere la tortura.

Quando il cavaliere de La Barre,nipote di un luogotenente generale dell’esercito,giovanotto di molto spirito e di grande speranza,ma avendo tutta la storditezza di una gioventù sfrenata,fu convinto d’aver cantato canzoni empie,e anche d’aver  passato davanti  a una processione di cappuccini senza aver tolto il cappello, i giudici di Abbeville, gente comparabile ai senatori romani,ordinarono,non soltanto che gli si strappasse la lingua,che si si tagliasse la mano,che gli si bruciasse il corpo a fuoco lento;ma gli applicarono ancora la tortura per sapere con precisione quante canzoni aveva cantato e quante processione aveva visto passare,col cappello in testa.

Non è nel XIIIe o nel XIVe secolo che questa avventura è accaduta,è nel XVIIIe .Le nazioni straniere giudicano della Francia dagli spettacoli,dai romanzi,dai versi graziosi,dalle ragazze dell’Opéra,che hanno costumi molto dolci,dai nostri ballerini dell’Opéra,che posseggono la grazia,da Mme Clairon,che declama versi da rapirci .Non sanno che non c’è per niente, in fondo,nazione più crudele della francese.




Marivaux


G.


Le Paysan parvenu



Première partie.



Fui di ritorno a casa nel momento in cui ci si stava per mettere a tavola. Mannaggia,la succulenta cenetta!Ecco quel che si chiama brodo,per non parlare di un piattino d’arrosto d’una finezza,di una

cottura così perfetta … Bisognava aver l’anima ben rodata dalla prova del piacere che possono offrire i buoni bocconi,per non cadere nel peccato di  leccornia mangiando di quell’arrosto e poi di quel ragù poiché ce n’era di una delicatezza di condimento che non ho mai incontrato altrove.Se i mangiasse in cielo,non vorrei essere meglio servito;Maometto,di quel pasto ,avrebbe potuto fare una delle gioie del suo paradiso.

Le nostre dame non mangiavano per niente bollito,non faceva che apparire sulla tavola,e poi lo si toglieva per darlo ai poveri.(…)

Mai avevano appetito;almeno non si poteva vedere affatto quello che esse avevano;faceva sparire i bocconi;sparivano senza  che paresse quasi  toccarli..Si vedevano quelle dame servirsi con negligenza con le loro forchette,appena avevano la forza di aprire la bocca;gettavano sguardi indifferenti su quella bella vita:Oggi non ho punto gusto. E io neppure. Trovo tutto insipido. E io tutto troppo  salato.

Quei discorsi mi gettavano la polvere negli occhi,di modo che io credevo di vedere le creature più disgustate del mondo,e tuttavia il risultato di tutto questo era che i piatti si trovavano così considerevolmente diminuiti quando si serviva che io nei primi giorni non sapevo proprio come regolare tutto questo.

Ma alla fine vidi di che ero stato vittima nei primi giorni. Erano proprio quelle arie di disgusto che sottolineavano le nostre padrone che mi avevano nascosto la sorda attività dei loro denti.

Il più divertente è che immaginavano se stesse esser piccole e sobrie mangiatrici: e siccome non era decente che le devote fossero golose ,che bisogna nutrirsi per vivere e non vivere per mangiare; che malgrado questa massima ragionevole e cristiana,il loro ghiotto appetito   non voleva perdere niente ,esse avevano scovato il segreto di lasciarlo fare ,senza intingere nella sua ghiottoneria;ed era per mezzo di quelle apparenze di sdegno per le carni,era per l’indolenza con la quale esse le toccavano,che esse si persuadevano di essere sobrie conservandosi il piacere di non esserlo;era in favore di quella scimmiottatura  che la loro devozione lasciava innocentemente il campo libero all’intemperanza .Bisogna confessare che il diavolo è ben fine,ma anche che noi siamo ben sciocchi! Il dessert fu in armonia  con  il  pasto:confetture secche e liquide,e sul tutto liquorini,per aiutare la digestione ,nonché per rinvigorire quel gusto tanto mortificato …(…)

In seguito si toglieva il coperto;si lasciavano allora andare in una poltrona,la cui mollezza e profondità invitavano al riposo;e a quel punto si intrattenevano alcune riflessioni che si erano fatte dalla lettura delle sante scritture,o di un sermone   del giorno e della vigilia del quale trovavano il

soggetto ammirevolmente conveniente per tale Monsieur o per talaltra Madame.



                                                                             ***



E.Si cominciano a individuare le limpide geometrie della struttura del nuovo stato. Tutto sembra convergere verso una sintesi rigorosa e molto funzionale al cambiamento.

E’ proprio su  questi principi che si fonda lo Stato liberale ,laico e borghese che nascerà alla fine del secolo e che tutt’ora noi  facciamo fatica a vedere realizzati. Non è certo per caso,anzi è un elemento di evidente coerenza, che le donne si sentano,perfino nel periodo prerivoluzionario, costrette alla stesura di una carta dei diritti di genere,che resterà,anche a Rivoluzione realizzata, a lungo disconosciuta.



Montesquieu


A.


L’esprit des lois,livre XI,ch.VI



La separazione dei poteri.



Ci sono,in ogni Stato,tre specie di poteri:il potere legislativo,il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti,e il potere esecutivo di quelle che dipendono dal diritto civile.

Col primo,il principe o il magistrato fa leggi per un tempo o per sempre ,e corregge o abroga quelle esistenti. Con il secondo fa la pace o la guerra,invia e riceve ambasciate,stabilisce la sicurezza,previene le invasioni. Con il terzo,punisce i crimini,o giudica le dispute dei privati. Si chiamerà quest’ultimo il potere di giudicare;e l’altro,semplicemente il potere esecutivo dello Stato.

La libertà politica in un  cittadino è quella tranquillità di spirito che proviene dall’opinione che ciascuno ha della sua sicurezza;e perché si abbia quella libertà,bisogna che il governo sia tale che un cittadino non possa temere un altro cittadino.

Quando,nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura,il potere legislativo è riunito col potere esecutivo,non c’è  punta libertà,perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato faccia leggi tiranniche per eseguirle tirannicamente.

Non esiste nemmeno alcuna libertà se il potere di giudicare  non è separato dal potere legislativo ed esecutivo. Se è unito al potere legislativo,il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario:perché il giudice sarebbe il legislatore. Se fosse congiunta con  il  potere esecutivo,il giudice potrebbe avere la forza d’un oppressore.

Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo,o lo stesso corpo dei oligarchi o dei nobili o del popolo,esercitasse questi tre poteri,quello di fare le leggi,quello di eseguire le risoluzioni pubbliche  e quello di giudicare i crimini o le dispute dei privati.

Nella maggior parte dei regni d’Europa,il governo è moderato,perché il principe,che detiene i due primi poteri,lascia ai suoi sudditi l’esercizio del terzo. Presso i Turchi,dove i tre poteri sono riuniti sulla testa del sultano, regna un terribile despotismo.

Nelle repubbliche d’Italia,dove questi tre poteri sono riuniti,esiste meno libertà che nelle nostre  monarchie.

Perciò il governo ha bisogno per mantenersi di mezzi altrettanto violenti del governo dei Turchi,  biglietto la sua accusa.

Guardate quale può essere la situazione  di un cittadino in quelle repubbliche. Lo stesso corpo di legislatura ha come esecutore delle leggi,tutto il potere che si è dato come legislatore. Può danneggiare lo Stato  con le sue volontà generali e siccome ha anche il potere di giudicare,può distruggere ogni cittadino con le sue volontà particolari. Ogni potere forma un’unità e sebbene non  ci sia nessuna pompa esteriore che permetta di scoprire  un principe dispotico,lo si percepisce ad ogni istante.

Perciò i principi che hanno voluto rendersi dispotici hanno sempre cominciato per  riunire nella loro persona  tutte le magistrature;e parecchi re d’Europa,tutte le grandi cariche  del loro Stato.

Sono convinto che la pura aristocrazia ereditaria delle repubbliche d’Italia non corrisponda precisamente al despotismo dell’Asia.La moltitudine dei magistrati addolcisce talvolta la magistratura;tutti i nobili non concorrono sempre agli stessi disegni;Vi si formano diversi tribunali che si temperano.




Voltaire


B.


Lettres anglaises



Lettre  X ( sur le commerce )                                     





Il commercio che ha arricchito i cittadini in Inghilterra ha contribuito a renderli liberi,e questa libertà ha ,a sua volta, esteso il commercio;da lì si è formata la grandezza dello stato. E’ il commercio che ha stabilito poco a  poco le forze navali per cui Gli Inglesi sono i padroni dei mari. Attualmente hanno  circa duecento navi da guerra. I posteri apprenderanno forse con sorpresa che una piccola isola,che non ha di per sé che un po’ di piombo,di stagno,di argilla sgrassatrice e di lana grezza,è diventata per il suo Commercio abbastanza potente da inviare nel 1723,tre  flotte contemporaneamente in tre estremità del mondo, l ’una davanti a Gibilterra,conquistata e conservata con le armi,l’altra a Portobello(porto dell’America centrale)per togliere al re di Spagna di godere dei tesori delle indie,e la terza nel mar Baltico,per impedire alle Potenze del Nord di battersi.

Quando Louis XIV faceva tremare l’Italia ,e il suo esercito,già padrone della Savoia e del Piemonte,era vicino a impadronirsi di Torino,servì che il principe Eugenio(generale francese passato al nemico perché Luigi XIV non voleva servirsene)marciasse dal fondo della Germania  in aiuto del Duca di Savoia;non aveva per niente denaro,senza il quale non si prendono né si difendono le città;fece ricorso ai mercanti Inglesi;in una mezz’ora si tempo,gli prestarono cinquanta milioni .Con ciò liberò Torino,batté i Francesi,e scrisse a quelli che avevano prestato quella somma ho ricevuto il vostro denaro  bigliettino:”Signori,ho ricevuto il vostro danaro e mi pregio di averlo usato a vostra soddisfazione”.

Tutto questo conferisce un giusto orgoglio a un mercante inglese e fa sì che egli osi paragonarsi,non senza una qualche ragione, a un Cittadino romano . Così un cadetto di un Pari del Regno non disdegna  di negoziare :Milord Townshend,Ministro di Stato,ha un fratello che si contenta d’essere mercante nella City. 

Nel tempo in cui Milord Oxford governava l’Inghilterra,il suo Cadetto era Dirigente di una agenzia commerciale a Aleppo(Siria del Nord)da dove non volle tornare e dove è morto.

Questo costume,che tuttavia comincia a passare,sembra mostruoso ai Tedeschi,incaponiti  nei loro quarti di nobiltà ;non saprebbero proprio concepire che il figlio di  un Pari d’Inghilterra non sia che un ricco e potente Borghese,visto che in Germania tutto è Principe;si son viste fino a trenta Altezze con lo stesso nome,che non possedevano  come beni che insegne e orgoglio.

In Francia è Marchese chi lo vuole.; e chiunque arrivi a Parigi dal fondo di una Provincia con denaro da spendere e un nome in  -ac o in – ille può dire:”un uomo come me ,un uomo della mia qualità” e disprezzare sovranamente un Negoziante ;il negoziante sente lui stesso parlare con disprezzo della sua professione  da essere così sciocco d arrossirne.Non so pertanto quale è più utile a uno  Stato:un signore ben incipriato che sa  con precisione a che ora il Re si alza ,a che ora va a dormire ,e che si dà arie di Grandezza,recitando il ruolo di uno schiavo nell’anticamera di un Ministro, o un negoziante che arricchisce il suo paese,dà ordini dal suo ufficio a Surate(città dell’India) o al Cairo e contribuisce alla fortuna del mondo.





Rousseau


C.


Du contrat social,I,6                                                        





“Trovare una forma d’associazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ogni associato,e con la quale ciascuno,unendosi a tutti non ubbidisca tuttavia che a se stesso e resti altrettanto libero di prima.” Tale è il problema fondamentale  di cui il contratto sociale dà la soluzione.

Le clausole di questo contratto sono talmente determinate dalla natura dell’atto che la minima modifica le renderebbe vane e di nessun effetto;di modo che ,benché non siano mai state forse formalmente enunciate,esse sono dappertutto le stesse,dovunque tacitamente ammesse e riconosciute;fino a che ,il patto sociale essendo violato,ognuno rientri allora nei suoi primi diritti  e riprenda la sua libertà naturale,perdendo la libertà convenzionale per la quale vi aveva rinunciato.

Queste clausole ben intese si riducono tutte a una tutta  sola,cioè l’alienazione totale di ogni associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità :perché per prima cosa ,ognuno dandosi tutto intero,la condizione è uguale per tutti,e la condizione essendo uguale per tutti,nessuno ha interesse a renderla onerosa agli altri.

Ancor più,l’alienazione essendo fatta senza riserve,l’unione è tanto perfetta quanto lo può essere e nessun associato ha più nulla da reclamare:poiché se restasse qualche diritto ai privati,siccome non ci sarebbe nessun superiore comune che potesse pronunciarsi fra loro e il pubblico,ciascuno essendo in qualche punto il suo proprio giudice pretenderebbe  ben presto d’esserlo in tutti,lo stato di natura sussisterebbe e l’associazione diverrebbe necessariamente tirannica o vana.

Infine ciascuno dandosi a tutti non si dà a nessuno e come non c’è un associato sul quale si acquisisca lo stesso diritto che gli si cede su di sé ,si guadagna l’equivalente di tutto ciò che si perde,e più forza per conservare ciò che si ha.

Se dunque si scarta dal patto sociale ciò che non fa parte della sua essenza,si troverà che si  riduce ai termini seguenti:”Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale;e noi riceviamo in corpo ogni membro come parte indivisibile del tutto.”





Rousseau


D.


Emile,II



La prima educazione deve dunque essere puramente negativa. Consiste,non tanto  nell’insegnare la virtù né la verità,ma nel garantire il cuore del vizio e lo spirito dell’errore. Se poteste  non fare  nulla  e non lasciar fare nulla ;se poteste condurre il vostro allievo sano e robusto all’età di dodici anni,senza che sapesse distinguere  la sua mano destra dalla sinistra,fin dalle vostre prime lezioni gli occhi della sua intelligenza si aprirebbero alla ragione; senza pregiudizi,senza abitudini,non ci sarebbe nulla in lui che , contrariare l’effetto delle vostre attenzioni:ben presto diventerebbe nelle vostre mani il più oculato degli uomini,e cominciando col non fare niente ,avreste fatto  un miracolo educativo.

Prendete bene il contrario dell’abituale e farete quasi sempre bene. Come non  si vuol fare di un fanciullo un fanciullo,ma un dottore,i padri e i maestri non hanno mai abbastanza presto redarguito,corretto,rimproverato adulato,minacciato,promesso,istruito,parlato razionalmente .Fate meglio,siate ragionevole e non ragionate affatto col vostro allievo,soprattutto per fargli approvare ciò che non gli piace.;perché condurre sempre così la ragione nelle cose sgradevoli,non serve che a renderla noiosa,e screditarla  di buon ora in uno spirito  che non è ancora in condizione di intenderla. Esercitate il suo corpo,i suoi organi,i suoi sensi,le sue forse,ma tenete la sua anima oziosa tanto a lungo quanto più si potrà. Abbiate timore di  tutti i sentimenti anteriori al giudizio che li  apprezza. Ritenete,fermate le impressioni estranee e per impedire al male di nascere ,non affrettatevi a fare il bene;perché non è mai tale che quando la ragione lo  illumina. Guardate tutti i rinvii come vantaggi:è guadagnare molto,avanzare verso il termine senza niente perdere;lasciate maturare l’infanzia negli infanti. Infine ,qualche lezione diventa loro necessaria?Guardatevi dal darla oggi,se potete differirla fino a domani senza pericolo.





E.


Emile,V,XXVIII



[…] ciò ,che Sophie sa meglio e che gli si è fatto apprendere con la massima cura,sono i lavori del suo sesso,anche coloro di cui non ci si accorge,come tagliare e cucire  i suoi vestiti. Non esistono lavori con l’ago che non sappia fare ,e che non faccia con piacere,ma il lavoro che preferisce a ogni altro è il ricamo. Perché  non ce n’è uno che dia un atteggiamento più gradevole,in cui le dita si esercitano con maggiore grazia e leggerezza.

Si è anche applicata a tutti i dettagli del menage E’ al corrente della cucina,conosce i prezzi delle derrate,ne conosce le qualità,sa tenere i conti molto bene,aiuta sua madre. Fatta per essere un giorno madre di famiglia lei stessa,governando la casa paterna, impara a governare la sua:può supplire alle funzioni dei domestici e lo fa  sempre volentieri. Il suo unico scopo è di servire sua madre e di alleviarla di una parte dei suoi impegni.

E’ tuttavia vero che non li svolge tutti con uguale piacere Per esempio,sebbene sia golosa ,non ama la cucina;il dettaglio ha qualcosa che la disgusta:non ci trova mai abbastanza pulizia In questo è di una delicatezza estrema e questa delicatezza spinta all’eccesso è diventata uno dei suoi difetti. Per la stessa ragione non ne ha mai voluto sapere della cura del giardino :la terra le sembra sporca.[…]

Sophie ha lo spirito gradevole senza essere brillante,solido,senza essere profondo;[…]Ha sempre  quello che piace alla gente che le parla,sebbene non sia molto eloquente,secondo l’idea che abbiamo della cultura dello spirito delle donne.[..]

Sophie ha una gaiezza naturale .Era anche bizzarra da bambina. Ma poco a poco si è presa cura di reprimere le sue arie svaporate […] E’ dunque diventata modesta e riservata anche prima del tempo in cui si deve esserlo.

E ora che quel tempo è venuto le è più agevole conservare il tono che ha ormai acquisito e che non lo sarebbe prenderlo senza indicare la ragione del cambiamento. E’ piacevole  vederla talvolta lasciarsi andare per un residuo di abitudine alle vivacità dell’infanzia ,poi d’un colpo rientrare in se stessa tacere,abbassare gli occhi e arrossire.[…]

Non solo conserva il silenzio  e il rispetto con le donne,ma anche con gli uomini sposati,o molto più anziani di lei..non accetterà mai un posto al disopra di loro che per obbedienza,e riprenderà la sua al di sotto appena lo potrà:poiché sa bene che i diritti dell’età vanno prima di quelli del sesso,come a avere per loro il pregiudizio della saggezza,che deve essere onorata prima di tutto[…]






F.I letterati echeggiano nelle loro opere la denuncia dell’ingiustizia ,dell’illiberalità,della disuguaglianza.L’individuazione dei nuovi valori  si anima nel profilo dei  nuovi personaggi sociali,arricchiti degli inevitabili elementi di contraddizione. Quelle che sembrano contraddizioni,come gli spifferi di misoginia che qua e là soffiano(in Voltaire:la Torture;in Rousseau:l’éducation de Sophie; in Laclos:Les liaisons dangereuses;perfino in Beaumarchais:Le mariage de Figaro.)tuttavia non sono in realtà che riferimenti coerenti dei nuovi valori ,atteggiamenti e comportamenti borghesi. La condizione della donna sia essa aristocratica o borghese,arretra  in modo vistoso e lo farà a lungo rispetto ai progressi che ,almeno le intellettuali, avevano ottenuto nei salotti aristocratici del secolo precedente Naturalmente le donne del popolo sono ancora di fatto costrette fuori dalla storia: il loro silenzio sarà ancora secolare. Il cosmopolitismo ,peraltro,colora di interesse sincero le pagine degli illuministi per le culture diverse e lontane,non la rappresentazione di un superficiale esotismo ,ma un  confronto  sincero che non  presenta ombre di gerarchia ,neppure mascherata.Sensibilità culturale che noi,oggi,sembra abbiamo smarrito.




Diderot



A.


Supplément au voyage de Bouganville ou dialogue entre A et B sur l’inconvénient d’attacher des idées morales à certaines actions physiques qui n’en comportent  pas.




A.       [,,,]Avete visto il Tahitiano che Bouganville aveva preso a bordo e trasportato in questo  paese?

B.        – L’ho visto;si chiamava Aotourou. Alla prima terra che scorse ,la prese per la patria dei viaggiatori;

sia che gliela avesse  imposto  la lunghezza del viaggio;sia che, ingannato naturalmente per la poca distanza apparente dalla costa che abitava,nel luogo dove il cielo sembra confinare con l’orizzonte,ignorasse la reale estensione della terra .L’uso comune delle donne era così ben radicato nel suo spirito,che si gettò sulla prima Europea  che gli venne incontro,e  si disponeva a farle molto seriamente la cortesia di Tahiti.Si annoiava fra noi. L’alfabeto tahitiano  non avendo né  b,né c,né d,

f,né g,né q, né x,né y, z,non poté mai imparare a parlare la nostra lingua,che offriva ai suoi organi inflessibili troppe articolazioni straniere e  suoni nuovi. Non cessava di sospirare dietro al suo paese,e non ne sono sorpreso. Il viaggio di Bouganville è il solo che mi abbia dato gusto per un’altra contrada

diversa dalla mia;fino a questa lettura,io avevo pensato che non si stava in nessun posto

credevo lo stesso per ogni abitante della terra;effetto naturale dell’attrazione del suolo;attrazione che

riguarda le comodità di cui si gode,e che non si ha la stessa certezza di ritrovare altrove.

A.       – Che!Voi non trovate l’abitante di Paris così  convinto che crescano spighe nella campagna di Roma quanto nei campi della Beauce?

B.       – In fede mia,no!Bouganville ha rinviato Aotourou,dopo aver provveduto alle spese e alla sicurezza del ritorno.

A.       - Quanto sarai contento di rivedere tuo padre,tua madre,i tuoi fratelli,le tue sorelle,le tue amanti,i tuoi compatrioti,che dirai loro di noi?

B.       -Poche cose,e che loro non crederanno .

A.       – Perché poche cose?

B.        – Perché ne ha capite poche ,e non troverà nella sua lingua alcun termine corrispondente a quelli

cui ha qualche idea.

A.       - E perché non lo crederanno?

B.        – Perché paragonando i loro costumi  ai nostri ,preferiranno prendere Aotourou per un bugiardo.

piuttosto che crederci così pazzi..

A .- Davvero?

B .-  Non ne dubito:la vita  selvaggia è così semplice ,e le nostre società sono macchine così    complicate!Il Tahitiano approda  alla fine del mondo e l’Europeo approda  alla vecchiaia .L’intervallo

che lo separa da noi è più grande della distanza dal bimbo che nasce all’uomo decrepito .Non capisce niente delle nostre usanze.,delle leggi,o non ci vede che vincoli mascherati sotto cento forme diverse;

vincoli che non possono che eccitare l’indignazione e il disprezzo di un essere nel quale il sentimento di libertà è il più profondo dei sentimenti.

A.       -Credereste nell’ utopia di Tahiti?

B.       -Non è u’utopia;e voi non avreste nessun dubbio sulla sincerità di Bouganville,sconosceste il supplemento del suo viaggio.






Voltaire


B.


Candide


Ch.XVII





 Si avvicinarono infine  alla prima casa del villaggio. Era costruita come un palazzo d’Europa.Una folla di mondo si affollava alla porta,e ancora  più  nell’alloggio; una musica molto gradevole si faceva ascoltare e un odore delizioso di cucina si faceva sentire. Cacambo si avvicinò alla porta,e, intese che si parlava peruviano; era la sua lingua materna;perché tutti sanno che Cacambo era nato a Tucuman,in un villaggio dove non si conosceva che quella lingua.”Io vi farò da interprete”,disse a Candide;” entriamo, qui c’è un cabaret.”

Subito due ragazzi e due ragazze della locanda,vestiti di drappi d’oro,i capelli annodati con nastri,li invitano a mettersi a tavola. Si servirono quattro minestre,guarnite ognuna di pappagalli,un grosso pezzo di carne ben tagliata,bollita,che pesava duecento libbre,due scimmie arrostite dal gusto eccellente,trecento colibrì in un piatto,e seicento uccelli mosca in un altro;ragù squisiti,pasticceria deliziosa;il tutto in vassoi di una sorta di cristallo di rocca. I ragazzi e  le ragazze della locanda versavano parecchi liquori fatti di canna da zucchero.

I convitati erano per la maggior parte mercanti e vetturini,tutti di una gentilezza estrema,che posero alcune domande a Cacambo con la più circospetta discrezione e che risposero alle sue in modo da soddisfarlo.
Quando il pranzo fu terminato ,Cacambo credette,così come Candide,di ben pagare il suo scotto,gettando sul tavolo due di quelle larghe monete d'oro ch'egli aveva radunato;l'oste e l'ostessa scoppiarono a rideree si tennero a lungo i fianchi.Alla fine si ricomposero:"Signori,disse l'oste,vediamo bene che siete stranieri;e noi non siamo abituati a vederne.Perdonatecise ci siamo messi a ridere quando voi ci avete offerto in pagamento i ciottoli dei nostri grandi sentieri.Non avete senza dubbio la moneta del paese,ma non è necessario averne per mangiare qui. 

 Tutte le locande aperte per la comodità dei commerci sono pagate dal governo. Ve la siete passata male qui,perché è un povero villaggio;ma dappertutto,altrove, sarete accolti come meritate .” Cacambo spiegava a Candide tutti i discorsi dell’oste e Candide  li ascoltava con la stessa ammirazione e lo stesso smarrimento che il suo amico Cacambo gli rendeva.”Qual è,dunque,questo paese,si dicevano l’un l’altro,sconosciuto a tutto il resto della terra,e dove tutta la natura è di una specie così diversa dalla nostra? E’ probabilmente il paese dove tutto va bene:perché bisogna assolutamente che ce ne sia uno di questa specie. E,checché ne dica il maestro Pangloss,mi sono spesso accorto che tutto andava male in Westphalia.”





Diderot



Jacques le  Fataliste                    



C.


Lettre de cachet*



Mentre Jacques e il suo padrone riposano,mi libererò della promessa,col racconto dell’uomo della prigione che raschiava il fondo o piuttosto del suo compagno,il signore Gousse.

-          Era un brav’uomo che si occupava di più del suo forno che del comportamento di sua moglie. Se non era la sua gelosia era la sua assiduità che infastidiva i nostri due amanti?Che fecero per liberarsi di quella costrizione? L’intendente presentò al suo padrone un placet** in cui il pasticcere era tradotto come un uomo di cattivi costumi ,un ubriacone che non usciva dalla taverna,un brutale che picchiava sua moglie ,la più onesta e la più infelice delle donne. Su questo placet ottenne una lettre de cachet  e questa ,lettera di cachet che disponeva della libertà del marito,fu messa nelle mani di un ufficiale di polizia  per eseguirla senza rinvio Accadde per caso che quello era l’amico del pasticcere. Andavano ogni tanto dal mercante di vini. Il pasticcere forniva pasticcini,l’ufficiale di polizia pagava la bottiglia. Costui,munito della lettera di cachet,passa davanti alla porta del pasticcere ,e gli fa il segno convenuto. Eccoli tutti e due occupati a mangiare e a innaffiare i pasticcini;e l’ufficiale di polizia che chiede al suo compagno come andava il suo commercio?

-          “Molto bene.

-          “Se non aveva  nessun cattivo affare?

-          “Nessuno.

-          “Se non aveva nessun nemico?

-          “Non ne conosceva nessuno.

-          “Come viveva coi suoi genitori,i suoi vicini, sua moglie?

-          “In amicizia e in pace.

-          “Da dove può dunque venire ,aggiunse l’ufficiale di polizia,l’ordine che ho di arrestarti?Se io facessi il mio dovere ti metterei le mani sul colletto e ci sarebbe là una carrozza ,molto vicina,ed io ti condurrei al luogo prescritto da questa lettera di cachet. Guarda, leggi …

-          “Il pasticcere lesse e impallidì. L’ufficiale di polizia gli disse:”Rassicurati,Riflettiamo solamente insieme a quello che abbiamo di meglio da fare -“ per la mia sicurezza e la tua. Chi è che frequenta casa tua?

-“Nessuno.

-“Tua moglie è civetta e graziosa.

-“Io la lascio fare di testa sua.”

-“Nessuno le sta dietro?”

-“In fede mia ,no,eccetto un certo intendente che viene talvolta a stringergli la mano e dedicarle  scempiaggini ,ma nel mio negozio,davanti a me,in presenza dei miei ragazzi,e io credo che non succeda niente che non sia del tutto buono e onorevole.

-“Sei un brav’uomo.

-“E’ possibile;Ma il meglio è credere la propria moglie onesta ed è quel che io faccio.

-“E questo intendente ,da chi dipende?

-“Da M. de Saint Florentin.

-“E da quali uffici credi che provenga la lettera di cachet?

-“Dagli uffici di M. de Saint Florentin,forse?

-“L’hai detto.

-“Oh! Mangiare i miei pasticcini,baciare mia moglie e farmi rinchiudere,tutto questo è

troppo ! E io non potrei crederlo!

 -“Sei un brav’uomo! Da qualche giorno,come trovi tua moglie?

-“Piuttosto triste che allegra.

-“E l’intendente,è da parecchio che non l’hai visto?

“-Ieri,credo;sì,era ieri.

-“Non hai notato nulla?

-“Sono poco osservatore;

ma mi è sembrato che separandosi si facessero qualche segno con la testa,come quando uno dice sì e l’altro no.

“-Qual’era la testa che diceva sì?

-“Quella dell’intendente.

-“Sono innocenti o complici. Ascolta,amico mio non rientrare a casa;riparati in qualche posto sicuro,al Tempio,in un’Abbazia,dove vorrai,e tuttavia lascia fare a me;soprattutto ricordati bene …

-“Di non farmi vedere e di tacere.

-“Proprio così.

-“Nello stesso momento la casa del pasticcere è circondata di spie. Spioni con  ogni sorta di abbigliamento,si rivolgono alla pasticcera e le chiedono del marito;risponde a uno che è malato,a un altro che è  partito per una festa,a un terzo per un matrimonio .Quando tornerà?Lei non ne sa niente.

-“Il terzo giorno,verso le due del mattino,vengono ad avvertire l’ufficiale di polizia che avevano visto  un uomo, il naso coperto da un mantello,aprire piano la porta della strada e scivolare dolcemente nella casa del pasticcere. Subito l’ufficiale di polizia ,accompagnato da un commissario,da  un fabbro,da una carrozza e da qualche , porta sul luogo. La porta è scassinata. L’ufficiale di polizia e il commissario salgono senza fare rumore. Bussano alla porta della pasticcera :nessuna risposta;bussano ancora:nessuna risposta;alla terza volta si chiede dall’interno:”Chi è?

-“Aprite.

“Chi è?

-“Aprite,è da parte del re.

“Bene!diceva  l’intendente   alla pasticcera  con la quale era a letto;non c’è nessun pericolo.:è l’ufficiale di polizia che viene per eseguire il suo ordine .Aprite:io mi presenterò;lui si ritirerà,e tutto sarà finito.”

-“La pasticcera ,in camicia,apre e si rimette a letto.

L’ufficiale di polizia.-“Dov’è vostro marito?

La pasticcera.-“Non c’è..

L’ufficiale di polizia,scartando la tenda.- “Chi è là, dunque?

L’intendente. -“ Sono io,sono l’intendente di M. de Saint Florentin.

L’ufficiale di polizia.-“Mentite,siete  il pasticcere,perché il pasticcere è colui che dorme con la pasticcera. Alzatevi,vestitevi e seguitemi.”

“Fu necessario ubbidire; lo condussero qui. Il ministro,istruito della scelleratezza del suo intendente .ha approvato a condotta dell’ufficiale di polizia ,che deve venire stasera al tramonto  a prenderlo

mangerà il suo tozzo di cattivo pane,la sua oncia di bue e raschierà il fondo dalla mattina alla

sera …”







*Lettera col sigillo del re con una condanna alla prigione o all’esilio.

**Nota di iscrizione di una causa.





Beaumarchais



D.


Le mariage de Figaro, Bordas,p.380



Acte V,scène III



Figaro,solo,passeggiando nell’oscurità,dice col tono più cupo, - O Donna !Donna!Donna!

Creatura debole e deludente!...Nessun animale creato può sottrarsi al suo istinto;il tuo è dunque di ingannare?...Dopo avermi ostinatamente rifiutato quando le facevo pressione davanti alla sua padrona,nell’istante in cui mi dà la sua parola;proprio in mezzo alla cerimonia … Rideva,mentre leggeva,il perfido ! Ed io come un  minchione!...No,signor conte,non l’avrete … non l’avrete. Perché siete un gran Signore .Vi credete un gran genio!...

Nobiltà,fortuna,un rango,cariche;tutto ciò rende così fiero!Che avete fatto per tanti privilegi?

Vi siete dato la pena di nascere,e nulla più. Del resto,uomo abbastanza ordinario!Mentre io,

accidenti!Perso nella folla oscura,mi è occorso dispiegare più scienza e calcoli,solo per sopravvivere,di quanto non ce ne siano voluti da cent’anni a questa parte a governare tutti i regni di Spagna;e volete confrontarvi con me … si viene … è lei … non è nessuno. – La notte è nera come il diavolo ,ed eccomi a fare lo sciocco mestiere di marito,sebbene non  lo sia che a metà!(Si siede su una panca)C’è niente di più bizzarro del mio destino?Figlio di non so chi;rapito dai banditi,allevato secondo i loro costumi,me ne disgusto ,voglio esercitare una professione onesta;dovunque sono respinto! Imparo la Chimica,la Farmacia,la Chirurgia,e tutto il credito di un gran Signore  può a malapena mettermi in mano un bisturi da veterinario! – Stanco di assistere bestie malate,e per fare un mestiere contrario,mi butto a corpo morto sul Teatro;meglio mettermi una pietra al collo!Abbozzo una commedia sulla tradizione del serraglio;autore spagnolo,credo di poter attaccare Maometto senza scrupoli: all’istante,un Inviato … di non so dove ,si lamenta che io offendo nei miei versi la Sublime Porta* ,La Persia,una parte della Penisola Indiana,tutto l’Egitto,i regni di Barca,di Tripoli,di Tunisi,d’Algeri e del Marocco:ed ecco la mia commedia bruciata,per piacere ai principi maomettani,di cui non uno,io credo,non sa leggere e che ci assassinano l’omoplatto dicendoci:cani di cristiani!-  Non potendo avvilire lo spirito,ci si vendica maltrattandolo. – Le mie guance si scavavano,la mia fine era segnata;di lontano vedevo arrivare il terribile

ufficiale giudiziario,la penna infilzata nella parrucca;fremendo mi sforzo. Si pone una domanda  sulla natura delle ricchezze;e siccome non è necessario possedere le cose per ragionarne,non avendo un soldo,scrivo sul valore del denaro e sul suo prodotto netto;subito vedo,dal fondo di un a carrozza,abbassare per me il ponte di un castello fortificato,all’ingresso del quale lasciai la speranza e la libertà.(Si alza).Quanto vorrei avere tra le mani uno di quei Potenti da quattro giorni,tanto leggeri sul male che ordinano,quando una buona disgrazia ha calmato il suo orgoglio! Gli direi … che le sciocchezze stampate non hanno importanza che nei luoghi in cui  se ne disturba il corso;che senza la libertà di biasimare,non esiste nessun elogio adulatore.;e che non ci sono che piccoli uomini che paventano i piccoli scritti.





Laclos



E.


Les liaisons dangereuses



Lettre XXXIII


La Marquise de Merteuil au Vicomte de Valmont



Dal momento che temete di riuscire,mio caro Visconte,dal momento che il vostro progetto est quello di fornire armi contro di voi,e che desiderate meno vincere che combattere,non ho più nulla da dire .La vostra condotta è un capolavoro di prudenza. Ne sarebbe uno di scempiaggine  nella supposizione contraria;e per dire il vero temo che non vi facciate illusioni.

Quel che vi rimprovero non è di non aver affatto profittato del momento. Da una parte non vedo con sufficiente  chiarezza che fosse venuto;dall’altro so abbastanza ,checché se ne dica,che un’occasione mancata si ripresenta,mentre,non si riemerge mai da un comportamento precipitoso.

Ma il  vero problema è di esservi lasciato andare a scrivere. Ora vi sfido a prevedere dove tutto ciò può condurre. Per caso,sperate di provare a quella donna  che deve arrendersi? Mi sembra che  non può esserci lì che una verità di  sentimenti,e non di dimostrazione;e che per farla ricevere ,si tratta di intenerire e non di ragionare;ma a che vi servirebbe d’intenerire per lettera,poiché non sareste là per profittarne? Quando le vostre belle frasi producessero l’ebbrezza dell’amore ,vi lusingate che essa sia sufficientemente lunga perché la riflessione  non abbia il tempo d’impedirne  la confessione?Pensate dunque a quel che occorre per scrivere una lettera,a ciò che accade prima che la si consegni; e vedete,soprattutto,una donna di principi come la vostra Devota,può volere così a lungo quel che cerca di non volere mai.

Questo andamento può riuscire con i bambini,che,quando scrivono”vi amo”non sanno  che dicono “mi arrendo”.Ma la virtù razionale di madame de Tourvel  ,mi sembra molto ben conoscere il valore dei termini. Perciò,malgrado il vantaggio che avevate preso su di lei

Nella vostra conversazione,vi batte nella sua lettera. E poi,sapete che succede? Solo per ciò che ci si disputa,non si vuole cedere. A  forza di cercare  buone ragioni ,se ne trovano;le si dicono;e dopo ci si tiene,non tanto perché sono buone quanto per non smentirsi. Di più,una

Notazione che mi sorprendo che non abbiate fatta ,dipende dal fatto che non c’è niente di così difficile in amore ,quanto scrivere ciò che non si sente. Dico scrivere in modo verosimile:non è che non ci si serva delle stesse parole;ma non le si arrangia nello stesso modo,e questo basta. Rileggete la vostra lettera:vi regna un ordine che vi rivela ad ogni frase. Voglio credere che la vostra Presidente sia  abbastanza poco formata  per non accorgersene:ma che importa? L’effetto non è per questo mancato di meno. E’ il difetto dei romanzi;l’autore si batte i fianchi per scaldarsi,e il lettore resta freddo. Héloïse è il solo che faccia eccezione;e nonostante il talento dell’autore, quest’osservazione mi ha sempre fatto credere che il fondo fosse vero. Non è la stessa cosa parlando. L’abitudine a  lavorare il proprio organo,gli conferisce sensibilità;la facilità delle lacrime vi aggiunge dell’altro: l’espressione del desiderio si confonde negli occhi con quella della tenerezza;infine il discorso meno seguito conduce più agevolmente quell’aria di turbamento e di disordine,che è la vera eloquenza dell’amore;e soprattutto la presenza  dell’oggetto amato impedisce  la riflessione e ci fa desiderare d’essere vinte.Credetemi,Visconte:vi si chiede di non scrivere più:profittatene per riparare il vostro errore  e attendete l’occasione di parlare.















































































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