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sabato 30 aprile 2016

La cucina friulana.


Ricetta del frico del Maestro Martino da Como        
Caso in pataellecte
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"Schiarazula Marazula" Testo friulano:
Scjaraçule maraçule la lusigne la cracule la piçule si niçule, di polvar a si tacule Scjaraçule maraçule, cu la rucule la cocule la fantate e jè une trapule il fantat al è un trapolon
CASO IN PATELLECTE
Piglia del caso grasso, e che non sia troppo vecchio né troppo salato et tagliarai in fettolini o bocconi quadri, o como ti piace; et habi delle padellette fatte a tale mistero; en sul fondo metterai un poco di butiro, overo di strutto fresco, ponendole a scaldare sopra le brascie e dentro li mettirai li ditti pezzoli di caso; et como ti piace che sia facto tenero gli darai una volta, et mettendogli sopra del zuccaro e della cannella; et mandaralo subito in tavola, che si vol magnare dopo pasto et caldo caldo.
Item poterai conciare in altro modo lo ditto caso brustolando, prima arrostendo al foco delle fette dello pane tanto che da ogni lato si incomincino a rostire. mettendo le dicte fette per ordine in una padella da torte; et sopra a quelle ponerai altramente fecte di caso un poco più sottili che quelle dello pane; et sopra la padella mettirai lo suo coperchio fatto caldo tanto che il dicto caso si incominci a struggere o a squagliare et facto questo gli buttarai di sopra del zuccaro con un poca di canella, et zenzevero.
(MAESTRO MARTINO DA COMO, “Libro de arte coquinaria",1450)
.
Da:Maestro Martino da Como   Libro de arte coquinaria.
La cucina friulana risente della morfologia della regione che va dal mare ai monti, della diversità delle culture e delle popolazioni che l'hanno abitata contribuendo in maniera sostanziale ad una differenziazione delle tradizioni culinarie.
Dal punto di vista economico, i principali distretti alimentari nel secondo decennio del 2000 sono quelli del settore vitivinicolo e quello del Prosciutto di San Daniele.
È una cucina prevalentemente di terra, con incursioni nella cucina di mare sulla costa adriatica, e anche qualche peculiarità, come ad esempio il boreto alla graisana, (zuppa di Grado ), una zuppa di pesce senza pomodoro e con prevalenza del rombo. L'assenza del pomodoro e un'abbondanza di pepe di questa ricetta ne datano le origini all'alto medioevo, precedente all'introduzione in Europa del pomodoro, oltre che suggerire l'importanza dei traffici della vicina Aquileia nell'abbondanza dell'uso del pepe.

Frico       

Gubana             

Vigneti in Friuli,Abbazia di Rosazzo 
Molti sono gli incroci della cucina friulana con la cucina carnica, alla quale bisogna attribuire i cjarsons, il frico e l'utilizzo delle erbe. Molto importante la polenta  di farina di granturco bianca o gialla. Recentemente la polenta  viene proposta con farine miste, anche di grano saraceno, e granulosità e densità variabili. La prevalenza della farina di mais nella preparazione della polenta rispetto ad altri cereali è dovuta alla maggiore produttività del mais rispetto agli altri cereali. La stessa parola friulana "blave" indicava inizialmente tutte le granaglie, per poi indicare esclusivamente il mais per la prevalenza di questa pianta nell'alimentazione.
Molto rilevanti i vini friulani, bianchi e rossi, e piuttosto importante e caratteristica la tradizione dei distillati, fra i quali la grappa friulana.
I piatti tipici sono il frico, (probabilmente l'etimologia è "fritto") nelle due versioni con patate e croccante, la brovada e il musetto, i cjarsons, i blecs e la polenta  di granturco, la gubana.

venerdì 29 aprile 2016

La festa indiana del Diwali.




 Da "La regina degli zingari  a Venezia."di Michela Gambillara



Oggi è successa una cosa straordinaria. Stavo alle giostre, dove per fortuna mettiamo sempre musica, c’è tanta luce e il profumo di vaniglia e dei dolci venduti dai vicini e quindi anche se sto al freddo tutto il giorno almeno c’è un po’ di allegria, e qualche signora veneziana arriva coi bambini e mentre loro girano con la giostra fumiamo insieme una sigaretta e lei mi racconta la sua storia, quando si e’ avvicinato un signore veneziano. Si è presentato e mi ha detto che è un organizzatore di eventi e che sta organizzando una festa del Diwali a Venezia per un principe indiano.
Sa che cos’è Diwali, mi ha chiesto? Purtroppo no, allora glielo spiego subito mi dice lui: è una delle più antiche e importanti feste celebrate in tutta l’India. Diwali è anche conosciuta come la ‘festa delle Luci ’, una celebrazione che viene riconosciuta anche da Buddisti, Jainisti e Sikh, con motivazioni diverse in base ai credi o della zona dove le persone risiedono. La festa del Diwali ricorda il ritorno di Rama, la incarnazione di Vishnu , continua a spiegarmi il gentile signore veneziano organizzatore di eventi, nella sua capitale che si chiama Ayodhya.
Simbolicamente quindi si festeggia il ritorno della ‘Luce’ nella sua casa di origine (il nostro corpo), da dove manca da molto tempo, dopo avere sconfitto tutte le nostre cattive tendenze.  Così, per celebrare il ritorno di Rama, Sita e Lakshmana, delle loro divinità piu’ importanti, gli indiani festeggiano ogni anno Diwali , facendo scoppiare petardi e illuminando a giorno le case con torce  e altre luci. Mi spiega sempre l’organizzatore dell’evento che il senso della festa è che la divinità della ricchezza farà visita nelle case piene di luci durante il giorno di festa e così vengono preparati cibi speciali per accoglierla.
Il grande palazzo sul Canal Grande, affittato dal principe indiano, sara’ quindi pieno di luce e allegramente decorato, e anche le strade intorno, e in casa verranno allestiti banchetti con tanti dolci, rotoli fatti di farina e miele impastati con acqua, ripieni di delizie varie e  e spezie profumate e poi fritti. Per gli uomini di affari questo giorno è il primo giorno dell’anno ed è importante che inizi bene, per garantire buoni guadagni e siccome il principe indiano è uno degli uomini piu’ ricchi del suo Paese non baderà a spese per l’occasione.
Il palazzo sarà illuminato con torce, candele e lampadine e decorato con fiori freschi e foglie. Durante il Diwali, le luci che illuminano ogni angolo dell’India illumineranno anche Venezia, l’incenso nell’aria con il suo profumo, i fuochi di artificio e i petardi, come segno di obbedienza al cielo, per ricevere prosperità, salute, ricchezza, conoscenza, pace. Giorni di gran festa, coinvolgendo tutti i componenti della famiglia, gli anziani e i bambini. Sarà un po’ come il nostro Natale, si balla, si mangia, si canta e si gioca a carte per tutta la giornata, coinvolgendo anche i piu’ piccoli.
Il signore veneziano organizza la festa per il principe, venuto in Europa per fare investimenti. Quest’anno Diwali, che succede in ottobre o novembre, è la prossima settimana e quindi il principe organizza per la sua famiglia quattro-cinque giorni meravigliosi a Venezia, come fosse in India. Che cosa c’entro io? Sto cercando di rendere questi giorni veramente da ricordare, mi dice l’organizzatore, ho visto la sua bellissima preziosa giostra e ho pensato che sarebbe molto bella nell’ingresso a terra del palazzo che è grandissimo, con la musica, per far giocare i bambini.
Sarebbe bello montare la giostra durante la notte della vigilia, per farla trovare alla mattina come una meravigliosa sorpresa ai bambini della famiglia del principe indiano, ci penso io, continua, per chiedere il permesso al responsabile del villaggio dei divertimenti in Riva degli Schiavoni di permetterle di disallestire la giostra per uno-due giorni, a fine novembre non credo ci saranno problemi, risolveremo, i suoi lavoranti sono in grado di allestirla in una notte di lavoro?

giovedì 28 aprile 2016

La cucina zingara.Secondo Michela Gambillara




Da "La regina degli zingari a Venezia" di Michela Gambillara.

La Signora mi chiede della nostra vita, dei nostri piatti tipici, delle cose che mi piacciono di piu’.Come la musica, così la nostra cucina racconta la nostra vita di continua peregrinazione. La cucina zingara è, infatti, una cucina "contaminata" dalle culture alimentari dei paesi attraversati. E le racconto il "dolma", con i peperoni ripieni di riso, carne tritata e pomodoro, oppure i "sarma", gli involtini di cavolo con lo stesso ripieno. O la “djota”, una buonissima zuppa di patate, carne, crauti e fagioli che mangiavamo in inverno, nelle lunghe sere nei Balcani, davanti al fuoco tutti insieme.  
Una volta quando ho tempo potrei preparare per la Signora anche il nostro pane caratteristico, chiamato "pitta", che ricorda l’azzimo degli ebrei, una sfoglia di acqua e farina non lievitata dalla forma rotonda, al centro una sacca da riempire con il cibo.  E la Signora mi dice: proprio simile al nostro, perché la sua famiglia e’ di origine ebraica, antichi mercanti arrivati dalla Germania ai tempi della Serenissima, per quello si chiama Sara anche lei, che vuol dire “principessa” e per quello è bionda e con gli occhi così chiari.
La nostra carne, utilizzata in zuppe e soffritti, viene prima sempre bollita, anche il montone  come questo che a Venezia chiamano la castradina, prima di essere messo sotto sale.  E poi ceniamo all'orientale, con il cibo disposto contemporaneamente sulla tavola  e ciascuno prende la propria porzione. E mi vengono in mente tante sere, nelle quali mangiavamo tutti insieme, eravamo tanti, c’erano musica e allegria.

mercoledì 27 aprile 2016

La castradina,piatto veneziano secondo Michela Gambillara.



 Da "La regina degli zingari a Venezia",di Michela Gambillara.



Per la Festa della Salute a casa cucinavano la castradina, cioè una coscia di montone castrato che viene salato, affumicato ed essicato, che arriva dalla Dalmazia. Si mangia il giorno della Madonna della Salute in omaggio ai Dalmati, che durante il periodo di isolamento per la grande pestilenza del 1630, erano gli unici a rifornire di cibo la città. I veneziani per quell'anno mangiarono solo carne di montone che avevano imparato a conservare con la salmistratura.
E così, nel giorno in cui si celebra ancora dopo cinque secoli la fine della pestilenza, a Venezia si usa ancora mangiare come allora. Oggi, dopo tanto tempo, ho deciso di preparare la castradina, come la facevano a casa mia a Cannaregio.  Ricordo l’odore forte, di selvatico che si spargeva per la casa, durante la preparazione, mia madre diceva che schifo e gelava la casa tenendo le finestre aperte tutto il giorno, invece vorrei proprio di nuovo sentirlo.
Un cosciotto di montone, una verza, sale e pepe, olio. Ho raschiato con una spazzola la carne in modo da togliere il più possibile la salmistratura e messo a bollire cambiando l'acqua ogni volta che bolle, per tre volte. (La ricetta originale dice "tre volte in tre giorni" in ricordo della processione di tre giorni e tre notti intorno a San Marco a cui i veneziani dell'epoca conferirono il potere di aver placato l 'ira di Dio e quindi la peste). Ho scolato la carne e ricoperto nuovamente la castradina di acqua per la cottura definitiva, e’ pronta quando la carne è morbida e quasi si sfalda, con la verza tagliata a striscioline sottili e poi scaltrita. Una spruzzatina di aceto, pronta. E poi, ho pensato, magari piace anche a Sara Crelia, e’ un piatto che arriva proprio dalle sue parti e così quando è rientrata, in questa sera di freddo, umido e nebbia, l’ho invitata a mangiare con me.

martedì 26 aprile 2016

Il ragù alla cilentana secondo Maurizio De Giovanni

Da "Vipera"di Maurizio De Giovanni-Einaudi
                                                                                                        
IL RAGU' ALLA CILENTANA DI ROSA,LA TATA DEL COMMISSARIO RICCIARDI.
Maurizio De Givanni

Per tutto il pomeriggio Rosa aveva tenuto a Enrica un seminario sul ragù alla cilentana.
Aveva cominciato col dire:
-Signorì,voi lo sapete fare il ragù napoletano? Sì?  E scordatevelo subito.Cancellate tutto quello che sapete,qua si tratta  di una cosa diversa, e se vi volete cimentare lo dovete immaginare come una maniera di dire "Ti voglio bene";voi state facendo nascee un'espressione ,l'uomo vostro deve fare :Mmm! ,e poi  vi deve guardare sorridendo.Gli uomini  cilentani
non fanno troppe chiacchiere ,vi dovete accontentare di quel sorriso.Avete capito bene?
A Enrica ,Rosa faceva enerezza e incuteva un po' di timore ,con in mano la cucchiarella di legno  come un direttore d'orchestra tiene la bacchetta.L'utensile tremava un po' seguendo la mano incerta,ma si muoveva secondo la
straordinaria sicurezza di quello che la donna stava facendo.
Enrica aveva seguito il racconto del ragù::gli occhi e le parole avevano disposto nella pentola carne di castrato con 
l'osso e non di agnello ,fette di carne di maiale stesa sul tagliere sulle quali dovevano essere disposti pezzi di caciocavallo
e di prosciutto,prezzemolo ("Col gambo!" aveva detto Rosa  risoluta),uva passa,sale ,pepe e aglio,successivamente arrotolate,legate con lo spago e poi rosolate  per qualche minuto in un tegame con un po' di cipolla.
-Signorì,non vi pensate che quasto è il secondo piatto! Ci sta il capretto,poi.
Si era fermata a quel punto .Aveva  fissato la ragazza ,le lenti con la montatura di tartaruga ,un ricciolo ribelle  sfuggito al fermagli; o dietro l'orecchio,le guance arrossate dalla vicinanza al fuoco e per la prima volta aveva intuito il fascino della 
giovane,quella silenziosa e subacquea grazia che aveva incantato il suo signorino al di là di  due lastre di vetro.Poi
aveva preso tutto quello che aveva preparato e lo aveva ripoto in uno stipo,e aveva detto.
-Adesso tocca a voi.Vediamo se avete capito quello che dovete fare.
Sul viso di Enrica si dipinse un 'espressione di terrore.
-Signora ,io?Ma io non lo o fare come lo fate voi.io cucino in un modo diverso,io ...non me la sento
Rosa s'intenerì.
-Voi pensate troppo,signorì . Invece di pensare,amate.Non perdete tempo.e poi io sono stanca ,mi fanno male le gambe:mi siedo qua ,vedete?E non dico niente .Gli ingredienti  stanno tutti nella ghiacciaia e nella dispensa ,cucinate senza testa .
Cucinate col core.
E si era seduta.
Ed Enrica aveva cominciato a preparare ilpranzo di Pasqua per Ricciardi.[...]

lunedì 25 aprile 2016

La minestra strinta secondo Maurizio De Giovanni

Da "Vipera"di Maurizio De Giovanni-Einaudi

Maurizio De Giovanni
Rosa impartiva la sua lezione dalla sedia,accostata al tavolo della cucina.
-La minestra strinta ,quella gli piace assai.Gli ingredienti sono quelli qua sopra,li ho preparati apposta  per farveli vedere uno per uno:la cicoria,le bietole,e questi sono i cardi.Mo' li mettiamo a lessare,poi li scoliamo bene e alla fine li asciughiamo in questo panno qua ,vedete?Stringiamo forte,perciò si chiama min estra strinta ,minestra stretta,strizzata.Poi mettiamo tutto nel tegame conl'olio caldo,l'aglio,il peperoncino e le patate,che abbiamo lessato prima eschiacciato ben bene.Avete visto?Tutto chiaro?
Enrica guardò le verdure e. gli altri ingredienti,poi rispose dolcemente.
-Sì,signora.Tutto chiaro.Come al solito,una cosa semplice e buona ,come tutta la vostra cucina.E se dite  che gli piace,allora la imparerò. Il prolema è se tutto questo serva a qualcosa oppure no.
-E questo che vorrbbe dire,signorì?
-Vorrebbe dire che io a quest'uomo non lo capisco,signora.Non ho nessuna esperienza,è vero:ma ho una sorella sposata,,delle amiche  e vado qualche volta al cinematografo.Sento le canzoni,parlo con le persone.E mia madre... mia madre parla solo di questo,di quanto sia importante avere un uomo vicino,che ormai mi sto avviando a essere una zitella,eccetera.[...]


sabato 23 aprile 2016

La pastiera napoletana secondo Maurizio De Giovanni.

Da "Vipera" di  Maurizio De Giovanni-Einaudi.
Maurizio De Giovanni










"[...]Come sempre, Maione aveva fatto in modo di non essere di turno per il sabato
e la domenica di Pasqua:i bambini tenevano molto a quella festa ,e la famiglia aveva le sue  piccole tradizioni .[...]
-Allora,mentre mammà la prepara ,vi racconto la storia della pastiera.Volete sentire?
Come a un segno convenuto ,Lucia cominciò a disporre sul tavolo gli ingredienti necessari   alla preparazione del dolce:la pasta frolla,preparta nelle prime ore della giornata quando tutti ancora dormivano;la ricotta di pecora,in un cestino di paglia intrecciata;il grano,cotto nel latte fresco;lozucchero bianco raffinato;lo strutto,le uova,la cannella,il limone;il cedro e la cucuzzata,zucca candita per la quale Lucia andava famosa; e la delicatissima acqua di fiori,preparata infondendo in acqua
calda, poi filtrata, i fiori dell'albero di arance amare, il vero profumo di primavera.[...]
Mentre i bambini di casa Maione spalancavano gli occhi  davanti a tutto il ben
di Dio che Lucia aveva disposto sulla tavola, il  brigadiere disse:- Molto, molto tempo fa, quando la città era giovane, c'era solo un piccolo villaggio di pescatori vicino al mare. E dal mare veniva quasi tutto quello che c'era da mangiare, il
pesce, i crostacei, le cozze, tutto.
Un giorno però venne una tempesta, e le barche dei pescatori non potevano
 uscire più, la  tempesta non finiva, passavano le settimane e ormai le riserve
erano finite, non c'era più niente.
Maione punteggiava il racconto imitando gli effetti sonori, tuoni, fulmini,
le onde alte del mare. Anche i figli maggiori, che avevano ascoltato la storia
decine di volte, erano affascinati e seguivano a bocca aperta.
Sorridendo,Lucia manipolava sapientemente gli ingredienti.
Sorridendo,Enrica mescolava nella casseruola il grano cotto,lo strutto,il latte
e la scorza grattugiata del limone.
Pensava che il senso dell'amore è proprio nella condivisione. Non che fosse un'esperta, ma chi ha detto, rifletté, che per conoscere a fondo una cosa
 bisogna averla vissuta? Lei, per  esempio, aveva molto letto e molto sognato,
in merito all'amore.E aveva ascoltato le confidenze delle amiche e della sorella,
e aveva visto le pellicole romantiche accompagnate da musiche struggenti al cinematografo vicino a piazza Dante, e nelle sere calde d'estate aveva  udito
le dolcissime serenate degli innamorati.Sapeva tutto, dell'amore. E sapeva,
mentre mescolava metodica nell'attesa che si formasse una crema priva di
grumi, attenta all'orologio sulla  parete mentre trascorevano i dieci minuti
prescritti dall'antica ricetta, che le delusioni allontanavano dall'amore, che
l'amore non  ha bisogno d'esperienza, per formarsi e consolidarsi, anzi,
forse l'esperienza indurisce e rende amari. Meglio essere inesperte, forse.
 Proprio così, pensò, togliendo la casseruola dal fuoco.
- Proprio così,- disse il brigadiere Maione ai figli.- Il mare non ne voleva
sapere, di calmarsi . E siccome ormai era arrivata la primavera e i bambini
avevano fame,i pescatori decisero di uscire lo stesso, anche se la tempesta
urlava ancora. Le mogli e i bambini erano disperati, al pensiero dei papà
che affrontavano quelle onde alte più delle case. Ogni sera si riunivano
sulla spiaggia, sotto la pioggia, e pregavano e piangevano e si disperavano,
perché il mare cattivo estituisse i papà con le loro barche.
Che faccio? Mi  fermo o vado avanti?
Con sapienza ,teneva l'attenzione dei bambini, mentre con altrettanta
sapienza le veloci mani di Lucia componevano la propria sinfonia,
amalgamando la ricotta con le uova, la vaniglia, la cannella, lo zucchero
e l'acqua di fiori d'arancio.Si accorse con una punta d'orgoglio che Maria
e Benedetta, pur ascoltando il racconto di Raffaele, non si perdevano un
suo gesto.
Avanti,pensò lei.
Avanti dissero i bambini in coro.[...]
- La nostra città, - disse Maione,- era piccola,ve l'ho detto.Ma i bambini e
le donne erano come adesso, quando piangevano lo facevano a voce così
alta che era impossibile non ascoltarli. E alla fine una sirena, che sarebbe
una donna con una lunga coda di pesce che vive sotto il mare, di nome
Partenope, venne fuori e disse: ma perché piangete e strillate giorno e notte,
e non mi fate dormire?
La bambina che gli stava in braccio disse,stringendosi a lui:
-Perché volevano i papà!
-E brava,proprio così risposero i bimbi alla sirena Partenope. E lei, che era
 una sirena buona, si commosse e disse:mo' ci penso io. E si inabissò di
nuovo per andare a parlare a suo padre, il Mare.
Per dirgli che c'erano tutti quei bambini e quelle mogli che aspettavano il
ritorno degli uomini per poter mangiare e riabbracciarli.
Lucia unì l'impasto al grano cotto nel latte, aggiungendo la cucuzzata e
il cedro candito tagliato a dadini. Il figlio allungò la mano per ghermirne
un pezzo,e lei rapidissima gli diede uno schiaffetto dicendogli:- Non ancora![...]
-Il Mare brontolò - disse Maione,- perché non voleva consentire alle barche di rientrare  a casa, si stava divertendo troppo con quella tempesta. E poi aveva
fame, ed era di malumore. Partenope, che lo conosceva bene, andò  a dirlo alle mamme e ai bambini sulla spiaggia, e loro si riunirono per decidere cosa fare.
Fu allora che alla bambina più piccola venne in mente un'idea: siccome era primavera, e il Mare non lo sapeva, pensò di dirglielo facendogli vedere
tutte le belle cose che la stagione portava. Così prepararono tante scodelle
con le bontà della  terra: la ricotta  e la farina, simbolo della campagna fertile;
le uova, simbolo della vita che si rinnova; il  grano bollito nel latte e l'acqua d
fiori d'arancio, simbolo dell'incontro delle piante e degli animali; lo zucchero,
simbolo della dolcezza, e le spezie, simbolo dei popoli lontani affratellati
proprio dal mare. E misero tutto vicino alla spiaggia.
Lucia cominciò a tagliare in listarelle la sfoglia residua, che aveva tenuto da
parte proprio per quello, ascoltando la voce piena e rotonda del marito e
 pensando a quanto lo amava.
- Durante la notte, le onde portarono i doni in fondo al mare : Partenope, che aspettava,unì tutto e preparò una torta che diede al padre. Lui se la mangiò
una fetta alla volta, e la fame gli passò, e insieme alla fame gli passò la rabbia 
e si calmò, diventando una tavola. Così le barche poterono rientrare, cariche di pesce, e i bambini  riabbracciare i propri padri. Da allora, ogni volta che viene
la primavera, le mamme ripensano a quel giorno e preparano la torta che
preparò Partenope.E noi ce la mngiamo.
Lucia guardò Raffaele  che abbracciava tutti i bambini; Benedetta le si avvicinò
e le diede un bacio, così lei le consentì di applicare l'ultima listarella sulla pastiera ,che sarebbe stata portata al forno.
Le sorrise, e pensò che era meravigliosa.[...]
Fuori,la Pasqua irrompeva silenziosa nella primavera.