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sabato 23 dicembre 2017
giovedì 18 maggio 2017
La.ricetta degli arancini di Montalbano
Un viaggio nel cuore caldo della cucina siciliana d'autore.
Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria ,la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a
foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro,sedano,prezzemolo e basilico. il
giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano,
pi carità! ),lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella,si riducono a pezzettini 'na poco di fette di salame
e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna,(nenti frullatore,pi carità di Dio! ). Il suco della carne s'ammisca col risotto. a questo punto si piglia tanticchia di risotto, s'assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro
quanto un cucchiaiodi composta e si copre con dell'altro riso a formare una bella palla. Ogni
palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato. Doppo,
tutti gli arancini s'infilano in una padeddra d'oglio bollente e si fanno friggere fino a quando
pigliano un colore d'oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u
Signiruzzu,, si mangiano.
(Da:"Gli arancini di Montalbano" di Andrea Camilleri ,Sellerio ed.)
Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria ,la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a
foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro,sedano,prezzemolo e basilico. il
giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano,
pi carità! ),lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella,si riducono a pezzettini 'na poco di fette di salame
e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna,(nenti frullatore,pi carità di Dio! ). Il suco della carne s'ammisca col risotto. a questo punto si piglia tanticchia di risotto, s'assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro
quanto un cucchiaiodi composta e si copre con dell'altro riso a formare una bella palla. Ogni
palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato. Doppo,
tutti gli arancini s'infilano in una padeddra d'oglio bollente e si fanno friggere fino a quando
pigliano un colore d'oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u
Signiruzzu,, si mangiano.
(Da:"Gli arancini di Montalbano" di Andrea Camilleri ,Sellerio ed.)
sabato 8 aprile 2017
Conclusione.
Conclusione.
Le prime sommarie deduzioni dall’analisi.
Ed eccolo il momento in cui si possono tirare alcune conclusioni sommarie.
Una prima
constatazione è quella per cui i
temi drammaturgici appaiono molto
strettamente legati
al territorio .
Se nella Nouvelle
Caledonie il problema è quello di aprire
la comunità insulare all’ ”Altro”,
alla
diversità, poiché nessuna cultura è un’isola
[1],Pierre Gope costruisce un teatro popolare
impegnato
che permetta di sensibilizzare ,rivolgendosi a tutte le
comunità esistenti in Nuova Caledonia.In un paese
dove le etnie si
fiancheggiano senza mescolarsi,il teatro costituisce uno spazio dove si può
–sia pure per
la durata di una rappresentazione –
coabitare,mescolarsi . Il teatro infatti permette di esprimere ad alta
voce quello che la gente
pensa a bassa voce,senza tabù.Un
teatro,ha dihiarato l’autore una
volta,che
non offre soluzioni,ma
una riflessione,un’apertura di spirito,un impegno al dialogo.Se le identità,spesso
dimenticate, appartengono al patrimonio dell’umanità,il teatro
contemporaneo è lo strumento utile e
utilizzato spesso nei vari
continenti per raggiungere quell’obiettivo,quando la tradizione tenderebbe a
ostacolarne la
realizzazione. Come servirsi, però , del francese,lingua quasi sempre “altra”,senza mutilare
da subito e
bruscamente la propria tradizione?Come
non perdere così la propria anima allora? E’ una
domanda che ritroviamo in
ogni società in cui la tradizione resta
un riferimento fondamentale della vita.
Ed ecco che per far vivere e trasmettere i valori della tradizione e dare un senso però alla tradizione
come alla modernità ,il teatro deve contribuire a svegliare le coscienze,a
scuotere le opacità, le letargie.
Tradizione e modernità possono altrimenti diventare entrambe nefaste, nei
loro eccessi ,capaci di
impedire lo sviluppo e il benessere . Il teatro può favorire
l’apertura delle coscienze ad altre
realtà,
lontane nello spazio
eppure così vicine alle proprie. L’adozione
del francese in quel teatro facilita allora
l’apertura dell’orizzonte,il
confronto col diverso e la sua
conoscenza,problema riconosciuto e anche
formalizzato a
livello istituzionale col modello interculturale proposto dai diversi accordi
ratificati nel 1988 e 1998.
Se in Nouvelle Caledonie il teatro francofono serve dunque
soprattutto a non lasciarsi chiudere
dalla tradizione,in Québec l’adozione di quella stessa lingua nella scrittura e nella rappresentazione
teatrale serve piuttosto a
provare a scrollarsi di dosso
l’abbraccio soffocante della modernità,
rappresentata
dall’influenza dominante del modello statunitense di civiltà e a cercare di
ricostruire
una identità più
indipendente,autentica , articolata e dialettica.
Nel Continente
Nero l’adozione del francese a teatro
è più complessa ,variata e anche talora
contraddittoria ,tuttavia è estremamente interessante. Anche se il sapore aspro e amaro
dell’esperienza
coloniale è ancora molto vivo,il teatro
francofono riesce soprattutto a farsi
conoscere a pubblici più vasti e lontani (festival du Limousin,per esempio) ,anche se spesso
si impegna a decostruire quella lingua
per riadattarla alle proprie esigenze identitarie.
Quello che poi appare in
modo molto evidente è la tendenza comune di tutto il teatro francofono
contemporaneo
a intervenire sul ‘rituale’,frammentandolo,arricchendolo per
superarlo.
Naturalmente i percorsi sono molto
diversificati. Ma l’obiettivo resta comune.
In Québec - nel teatro,ad esempio di Evelyne de la
Chenelière e Daniel Brère - l’influenza principale
nel linguaggio e nella struttura adottati,trae
origine dalla mediatizzazione e
dall’informatizzazione :
allora i clichés/stereotipi tipici di quei linguaggi,che qui assumono
però spessori vivacemente e
talora paradossalmente ironici,sono scagliati contro
quel modello di modernità.
In Oceania e in Africa il ricorso
alla tradizione produce invece una rappresentazione
multidisciplinare dove musica,danza e maschere intervengono
in modo determinante
a modificare la scansione e la
sequenzialità nella struttura della
rappresentazione .
L’adozione di una linea di tendenza comune ,probabilmente
,qui è legata alla comune
condizione sostanzialmente post-coloniale delle due
realtà geo-politiche -anche se con
a notevoli differenze [2]–che
determina il ricorso alla tradizione,alle
sue espressioni della cultura
orale locale,accanto a
quell’introduzione dell’uso del
francese, utile a slargare gli eventuali i
limiti imposti da una tradizione vissuta
rigidamente.
Un modo di intrecciare due
piani d’intervento-quello dell’introduzione del francese accanto a
realtà multidisciplinari della tradizione
- per
evitare il rischio di accentuare
chiusure o
determinare eventuali
rifiuti del pubblico se fosse stata
adottata la scelta delle due modalità
d’intervento
separatamente.
Nel teatro di Pierre Gope
dell’isola di Maré,nell’arcipelago di
Loyauté a oriente della Nuova
Caledonia, la sua cultura kanak entra
con i canti della tradizione,che si alternano ai dialoghi,
costantemente
in lingua francese,che servono invece alla denuncia dei mali che oscurano la
libertà del suo popolo. Una voce libera,la
sua, impegnata con testarda generosità
nella lotta
per l’altrui libertà.
Nel caso del teatro africano- come nel teatro di Sony Labou Tansi
in Congo – rivolgersi al mito
e alla multidisciplinarità
necessaria alla sua rappresentazione,è stato anche e soprattutto utile
per
camuffare riferimenti troppo espliciti di denuncia e sottrarsi così alla scure impietosa del
censore,attraverso
l’immersione evasiva in quella insospettata dimensione.
L’esempio vietnamita è il
più sorprendente,inatteso .La vivace inventiva del drammaturgo
ha saputo infatti
risolvere molti problemi per non rinunciare al contributo ad aprire la porta,
all’avvicinamento,alla
conoscenza,al confronto. Costituisce una realizzazione paradigmatica ed
estrema delle realtà
incontrate negli altri continenti. Infatti la tradizione culturale vietnamita,
come quella cinese ,dalla
quale del resto quel paese deriva la propria ,non conosce la rappresentazione
teatrale. Conosce invece
lo spettacolo multidisciplinare affidato
a musica,danza,maschere ecc.
Ma la conoscenza del
francese per l’esperienza coloniale fa scoprire il teatro francese e il
pubblico vietnamita si appassiona alla commedia di Molière come all’epica di Corneille.
Ma il popolo
vietnamita,per la sua storia,ha un forte sentimento di identità nazionale che
gli
impedisce di servirsi della francofonia per
creare una nuova tradizione teatrale in
quella lingua.
Ed ecco la bella
esperienza completamente originale in un passato molto più recente. Il
drammaturgo
Alain Destandau compie soggiorni di studio dello spettacolo
in Vietnam .E’ la conoscenza diretta
e appassionata di quella
realtà così particolare che gli
suggerisce e stimola una soluzione
davvero
estremamente interessante e particolare,grazie
alla quale il pubblico potrà assistere alle sue
rappresentazioni – ne sarà
infatti anche il regista –
indipendentemente dalla conoscenza del
francese o del vietnamita. Gli attori di
entrambi i paesi lavoreranno collaboreranno insieme non solo
col reciproco rispetto,ma anche apprezzando e
godendo delle prestazioni dell’altro. Ma come è possibile
realizzare un simile paradosso? La chiave per la
soluzione è semplicemente nella scrittura,ma bisognava
pensarci. La pièce è strutturata in modo che
in scena non ci siano mai meno di due personaggi che
costantemente
dialogano,ciascuno nella propria lingua. Alla battuta in francese dell’uno
replica l’eco
in vietnamita dell’altro con l’identico
contenuto. Una scrittura che non solo consente la soluzione del
problema, ma che non è affatto noiosa , senz’arie
pedantesche, ma, a tratti, addirittura brillante per
promuovere l’eroina dei diritti civili,Ti An.
Insomma se il problema identitario in Africa si serve del francese soprattutto
per farsi conoscere
e nel Québec per farsi
piuttosto riconoscere, in Nuova
Caledonia fa un balzo in avanti e si serve
delle lingue nel teatro per costruire una più complessa
dialettica del riconoscimento,particolarmente
utile a superare lo
sbriciolamento socio-culturale, favorito anche dalla configurazione geografica
del
territorio; mentre in Vietnam cerca una soluzione a teatro per
superare il rischio di chiusura che il
forte spirito nazionale
potrebbe implicare.
Infine, è ancora una volta l’Europa - come abbiamo potuto constatare - a realizzare ai nostri
giorni l’ intervento più radicale sul rituale della
rappresentazione teatrale, confermando allo
stesso tempo la
tendenza del fenomeno osservato negli altri continenti.
Condizione naturale del resto perché tutto è nato in realtà dal Vecchio Continente
e si
irradia attraverso l’utilizzazione di una delle
sue lingue. E’ sufficiente alla
verifica ripercorrere
la cronologia
delle produzioni analizzate.
E’ il teatro di Tardieu, come abbiamo visto, che raccoglie tutta l’eredità dirompente
delle
avanguardie per offrirci un modello drammaturgico estremo in cui
la forma si sostituisce
al tema per diventarne
essa stessa, paradossalmente, il
soggetto . Non certo a giustificazione
di una capricciosa
scommessa esclusivamente estetica, partendo ogni volta da un pretesto
formale per arrivare
all’oggetto scenico che sostituisce direttamente il soggetto dell’opera .
Mette così in discussione
la sacralità stessa delle regole, per
scardinare la struttura stessa
della
sua identità. E’ in questo modo
che con l’apparente aggressione dei contenuti si
propone di rappresentare l’umano. Arriva così a
mostrare l’assurdità e l’insicurezza della
nostra condizione, attraverso gli strumenti dell’immaginario. Si
svuotano così di senso i
principi classici come la
regola delle unità, la coerenza dei personaggi, o la necessità dell’intrigo.
Fondamentale importanza acquisisce d’altro
lato il linguaggio l’accurata
concatenazione delle
associazioni verbali. Un gioco con le forme del rituale teatrale
che determina la drammaturgia
astratta delle sue commedie - lampo, veri cataloghi di forme drammatiche che si
beffano delle
convenzioni teatrali e
allo stesso tempo le convenzioni della conversazione, che moltiplicano
all’infinito le
disfunzioni, fino al burlesco, come in Oswald et Zénaïde, composta in pratica,
quasi solo di a-parte, dove gli attori rappresentano al pubblico il
loro imbarazzo a comunicare,
la loro strutturale
difficoltà . Un semplice espediente di destrutturazione, con cui, con immediatezza
efficace molto più che con
i contenuti della trama, il drammaturgo
riesce nell’invenzione di
condurre la ricerca
dell’umano direttamente intervenendo per scardinare il rituale. E completa
la sua operazione
rivoluzionaria costringendo infine la lingua a superare
tutte le regole della
tradizione del teatro
occidentale per imporle il rigore della partitura musicale.
Si è saputo servire di un’ironia
ora esplicita ora velata, sempre diretta
a svelare il nulla
dell’esistenza come della
poesia per testimoniare anche i
sentimenti dell’uomo del nostro tempo,
la sua paura che sfocia nell’angoscia, la sua solitudine
nel mondo e l’impossibilità per lui di sapersi
collocare nel tempo e
nello spazio, la sua incertezza identitaria .
Il suo teatro rappresenta insomma un tentativo di trovare un modo per esprimere gli sforzi
dell’uomo alla ricerca
d’identità in un universo privo di senso,
un vacillare di significati che rimette
tutto in discussione.
Ma è anche nel Vecchio
Continente che la dialettica del riconoscimento
chiude il cerchio ,
siglando la temporanea
fine del percorso e ancora una volta in
un modo del tutto originale,
estremamente innovativo. È
infatti dalla prestigiosa istituzione culturale della città di Pau ,
il Théâtre Monte Charge, che uno dei direttori,Alain
Destandau, drammaturgo e regista, è
riuscito a tessere una fitta rete di rapporti con
istituzioni politiche e culturali del Vietnam
che gli consentono di realizzare
un’interessante concatenazione di scambi tra il teatro di Pau
e il Vietnam:
E’ nel 2006 e nel 2008 che due creazioni bilingui - Ti An Antigone Vietnam e Cercles de sable –
che riuniscono artisti vietnamiti del Théâtre National Tuong di Hanoi e francesi del
Théâtre
Monte-Charge sono
scritte e messe in scena da Alain Destandau.
Il Ministère de la Culture
del Viet Nam e l'Espace Centre Culturel Français sostengono
tutta la strutturata iniziativa.
L’affermazione di esperienze tanto innovative , che aprono
alla conoscenza del diverso,anche
in realtà
dove la orgogliosa difesa dell’identità nazionale rischia la chiusura sterile e
pericolosa
in se
stessa,è dimostrata dalla felice continuazione delle attività reciproche nonché
dai
riconoscimenti e dai premi ai protagonisti che
hanno consentito l’ideazione e la realizzazione
di eventi culturali tanto stimolanti e fertili.
Infatti in occasione delle Stagioni Incrociate France
- Viet Nam, l'Association Nationale
des Artistes de Théâtre du Viet Nam presieduta
dal Vice Ministre Le Tien Tho ha auspicato
la
realizzazione della terza creazione
comune franco-vietnamita « Les Saisons
de riz » per
les
Saisons Croisées France Viet Nam in
occasione dei 40 anni di rapporti diplomatici
positivi
fra i due paesi e i 10 di scambi fra il teatro di Pau e il théâtre national
Tuong Viet Nam .
Un paese d’Europa ,la Francia, che si lascia
guidare dallo “spirito dell’incontro” fra artisti,
che la
storia e la distanza hanno forgiato in
modo diverso, dove uno dei suoi intellettuali,
sostenuto da tutta una fitta rete di istituzioni
politiche e culturali, che consente di far emergere
e
dare una sottolineata visibilità a tali
esperienze-pilota esemplari,continua il suo impegno
nella convinzione di contribuire ad aprire la porta a incontri fra culture “altre”dell’Africa,
dell’America
Latina e che tali continenti fra loro
possano in futuro continuare il percorso.
Particolarmente
significativa in questo senso l’affermazione dell’autore protagonista
quando
dice :”Nous ne sommes que de passage,mais pouvons servir de passeurs, passeurs
d'espérance
et de valeurs humanistes”[3]con cui ci piace concludere
questo viaggio appassionante
che
in ciascun Continente ci ha fatto scoprire un contributo perché possa nascere un nuovo umanesimo.
[1] Per
riprendere la bella immagine di P. Masaka nella prefazione all’opera di Pierre Gope “Le dernier
crépuscule”.
[2]In Africa
attualmente gli Stati sono indipendenti,mentre la Nuova Caledonia,pur
disponendo di ampi spazi di autonomia ,non è una Nazione indipendente.
[3] “Non
siamo che di passaggio,ma possiamo servire da trasmettitori,trasmettitori di
speranza e di valori umanistici.”
Profili sommario di Pierre Wakaw Gope
Pierre Wakaw Gope nasce il 31 gennaio 1966 in Nouvelle-Calédonie,est, a Maré, una delle isole dell’ arcipelago Loyauté,
in uno dei clans della tribù di Pénélo. Cresce fra la scuola e la vita alla tribù, all’ascolto del nonno e della terra. L’incontro
con il
teatro non può avvenire in un modo più casuale. Giovane stagiario di football
si trova ad assistere alle prove del
gruppo
Koteba, compagnia africana di teatro, diretta dal regista Suleyman Koly che si è installata
proprio lì di fronte
allo stadio dove Pierre Gope è stato convocato per
gli allenamenti. Ed ha l’immediata
coscienza che lì esiste una forma
che rende possibile una parola nuova, tanto che finisce
per disertare tutti i suoi allenamenti folgorato
dalla quella scoperta.
Poi il
favore della sorte . L’attore protagonista diserta a sua volta l’impegno e il
giovane kanak si sente pronto per
proporsi
per la
sostituzione, visto che non ha perso un solo istante delle prove. E’ lui stesso che
afferma :
« Tutto
quello mi è veramente piaciuto e mi sono
impegnato in questo cammino. Dopo ho acquisito una certa maturità
di spirito
– una forza interiore,un gusto per la ricerca,la
lettura, l’apprendimento del francese e della scrittura. »
Il suo primo
compito deve essere stato ben assolto se il regista lo invita dopo a seguirlo ad Abidjan, in Côte d’Ivoire. Lascia
allora per
la prima volta la sua terra natale per il Continente Nero, dove lavora con Suleyman
Koly, il regista conosciuto in
patria. Poi raggiunge Peter Walker al Vanuatu, segue una formazione con
Peter Brook à Rennes e fonda agli
inizi degli
anni 1990 la
sua compagnia, la Compagnie Cebue (Cebue significa « mémoria » in nengone, la lingua della
sua isola natale
di Maré).Dal
1992, la creazione con l’opera di Wamirat,
le fils du chef de Pénélo rivela tutta l’originalità della sua voce che
qui s’impegna a tessere le risorse formali e simboliche della lingua francese con quelle della lingua
materna , il nengone, valorizzando inoltre la teatralità delle culture oceaniche, dove l’humour e la poesia, la malizia e la
solennità fanno sorprendentemente un ottimo
impasto. Una voce originale, la sua, ma che sembra anche echeggiare la voce dell’impegno
che
è stata
quella di un altro isolano, di un altro Territorio d’Oltre Mare , quella dell’impegno
di Aimé Césaire. Questa voce non ha
cessato di interpellare quella società che è la sua. Quella della Nuova Caledonia per la quale
cerca di rappresentare elementi nuovi da innestare in un destino comune a
tutte le sue comunità. Quella della società kanak cui Pierre Gope propone uno
specchio che
sa riflettere senza concessioni, su temi
tanto difficili quanto lo stupro, l’incesto, il suicidio, l’alcoolismo, il
compromesso sotto ogni forma, la violenza. Ma col
richiamo ad andare a cercare in se stessa nei suoi valori profondi di
accoglienza e di apertura, negli apporti dall'esterno, la forza di dire no all'esclusione e di padroneggiare il suo sviluppo.
Dal 24 settembre al 25 novembre 2001, in
compagnia di autori di teatro d'oltre-mare francesi , Pierre Gope ha
partecipato
alla
residenza di scrittura. « D’un océan
à l’autre » à Villeneuve-lès-Avignon – la Chartreuse. Da tale
residenza è nata, con l'
autore caledoniano Nicolas Kurtovitch, l'opera Les Dieux sont borgnes La scrittura
de La Parenthèse è
cominciata in questa occasione. Pierre Gope è d’altronde membro dell’Associazione degli
scrittori della Nouvelle-Calédonie.
E’ ancora Pierre Gope che dichiara : «Il mio teatro è lo specchio della mia società. E’ come uno spazio vuoto
dove solo le parole risuonano, si
confrontano, e si interrogano affinché
gli uomini arrivino a comprendersi e riescano a superare i tabù e i loro limiti
per far
posto alla parola universale. »
Opere principali:
Teatro:
·
Wamirat,
fils du grand chef de Pénélo, 1992.
·
Où est le droit ? (1994).Où
est le droit ? Okorenetit ? Nouméa: Grain de sable, 1997, 2002.
·
Le
Silence brisé, 1996.
·
Le Cri du
désespoir, 1997.
·
Cendres
de sang, 1998.
·
Pavillon
5, 1999.
·
Le
Dernier crépuscule. Nouméa:
Grain de sable, 2001.
·
La Fuite
de l’Igname, 2002.
·
Les dieux
sont borgnes (avec Nicolas
Kurtovitch). Nouméa: Grain de sable, 2002.
·
Les Murs
de l’oubli, 2003.
·
La
Parenthèse (2004).Nouméa:
Traversées, 2005.
·
Les
Champs de la Terre, 2005.
·
Passe,
j’ai le temps, 2005.
·
La
Nouvelle et sublime histoire de Roméo et Juliette, 2007.
Poesia:
·
S’ouvrir. Nouméa: L’Herbier de Feu, 1999.
Messe in scena:
·
Oltre a
quelle delle proprie opere :
·
Pierre
Gope a mis en scène Kënâké 2000, pièce d’une auteure kanak d’importance,
Déwé Gorodé, lors du Festival des Arts mélanésiens à Nouméa en 2000.
·
Pierre
Gope a travaillé avec la compagnie réunionnaise Acte 3 et l’auteure Lolita
Monga à une adaptation du texte d’Aristophane Les Grenouilles. Créée à
la Réunion avec des acteurs de la compagnie réunionnaise et des acteurs kanak
de la Compagnie Cebue de Pierre Gope, cette adaptation des Grenouilles a
effectué une tournée dans le Pacifique en 2004.
Premi e distinzioni letterarie:
·
2009 Prix
Vi Nimö du SILO (Salon international du livre océanien), pour Où est le
droit ? Okorentit ?
Traduzioni:
in English:
·
The Last
Nightfall (Le Dernier
crépuscule). Trad. Baineo-Boenengkih et Penelope S. Keable. Nouméa: Grain
de sable / Suva (Fidji): Institute of Pacific Studies, University of the South
Pacific, 2002.
in italiano:
·
Gli dei
sono ciechi (Les Dieux sont
borgnes). Trad. Micaela Fenoglio. Turin: L’Harmattan, 2003.
Su Pierre Gope:
·
Fenoglio,
Micaela. Des Racines et des ailes : La littérature francophone de la
Nouvelle-Calédonie. Préface de Anna Paola Mossetto. Turin: L’Harmattan
Italia, 2004.
Legami:
altrove sul web:
·
« À la rencontre d’un dramaturge Kanak :Entretien avec
Pierre Gope », propos
recueillis par Sylvie Chalaye Avignon, Africultures, juillet 2003.
·
Les dieux
sont borgnes,
préface, par Sylvie Justome, de la production audiovisuelle de la pièce de
Pierre Gope et Nicolas Kurtovitch (CDP de la Nouvelle-Calédonie).
·
Les dieux sont borgnes, présentation de la pièce et sa mise en scène de 2003 sur le site de la
compagnie Le Bruit des hommes.
·
Les Grenouilles, présentation de la pièce d’Aristophane adaptée par Lolita Monga et Pierre
Gope (CRDP de la Réunion).
·
Pierre Gope, présentation de l’auteur sur le site de l’Association des Écrivains de la
Nouvelle-Calédonie, avec un court extrait de la pièce, Les dieux sont
borgnes.
·
Pierre
Gope, écrivain, auteur Kanak,
présentation de l’auteur sur le site de Caraktéres, émission 33 (octobre
2001).
Retour:
dossier Pierre Gope préparé par Anne Bihan
http://ile-en-ile.org/gope/
mis en
ligne : 3 juillet 2005 ; mis à jour : 25 novembre
2015
Pierre Gope “Dov’è il
diritto?Okorenetit?”,[1]2002,Nouméa.
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